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di ARIANNA DURANTI

  

«...una testa per il giorno, una per la notte, una per le feste civili, una per le cerimonie religiose, una per stare in casa, una per uscire, una per gli estranei» (Etienne de Bourbon).

     

Il Medioevo è un periodo contrassegnato dalle profonde differenze che dividevano le classi sociali. Ciò si riflette sul costume del periodo concretizzandosi in un sistema di regole ben preciso. Fogge, colori, tessuti ed ornamenti assumono il ruolo di lettere e parole in un complesso codice linguistico che ha il compito di comunicare in forma immediata l’appartenenza ad un determinato ceto. E non solo questo. Particolari dell’abbigliamento e dell’apparato decorativo devono trasmettere, soprattutto per quanto riguarda le donne, dati persino sullo stato civile.

In un contesto sociale in cui la donna quasi non gode di diritti civili e sicuramente non di quelli politici è di vitale importanza manifestare “l’appartenenza” ad un uomo, padre, fidanzato o, meglio ancora, marito. Nel XIV secolo infatti cappelli, acconciature e copricapi sono codificati con metodo e precisione. Le adolescenti e le giovani donne non fidanzate sono praticamente le uniche a potersi permettere il lusso dei capelli portati sciolti sulle spalle. Tale acconciatura è infatti simbolo del fascino femminile più sfacciato, ritenuto da alcuni predicatori quasi diabolico. Solo chi è alla ricerca di un marito può permettersi l’uso di questa potentissima arma.

Una delle immagini più ridicole che ci viene tramandata da religiosi e poeti satirici è quella dell’attempata zitella dalle poco fluenti chiome sparse sulle spalle (strane concezioni dell’igiene personale portavano anche le donne alla calvizie o quasi).

Il colore dominante nei canoni di bellezza che permangono fino al Rinascimento è il biondo. è sufficiente osservare dipinti realizzati nelle più disparate località italiane per notare che le donne sono tutte bionde o al limite con riflessi ramati. è ovvio dedurne che, non essendo le italiche genti celebri per essere aurochiomate, era necessario ricorrere a qualche artificio.

I procedimenti di tintura dei capelli spesso erano simili a quelli usati per le stoffe. Il più semplice di questi è l’esposizione al sole con la testa cosparsa di infuso di camomilla, ma con il viso coperto dal sole da un cappello di paglia per evitare antiestetiche tracce di abbronzatura (la cupola del copricapo veniva tagliata per permettere ai capelli di fuoriuscire). Da questo si passava a combinazioni di erbe, acidi e a volte sali metallici che schiarivano il capello ossidandolo fino a “spolparlo”. Ovviamente la concezione di effetti collaterali non esiste.

Bionde ma a capo coperto le donne sposate. E con i capelli corti. Essi venivano tagliati a volte subito dopo il matrimonio ma nelle maggioranza dei casi dopo qualche anno da questo. Questo accorgimento doveva servire a mantenere viva la passione del marito almeno per tre o quattro anni dopo il Sacro Vincolo. Di conseguenza la donna, mutilata del suo più prezioso ornamento,rinunciava simbolicamente alla vanità femminile. Tale usanza era comune alle religiose ed è rimasta in uso per lunghissimo tempo, fino quasi ai giorni nostri. Durante la Consacrazione delle suore infatti il taglio dei capelli era uno degli elementi che richiamavano il matrimonio mistico con Cristo, oltre alla rinuncia alle lusinghe dei piaceri terreni.

Il velo è l’acconciatura più comune. Copre i capelli ma lascia scoperto il viso. è realizzato in lino, seta e cotone. Oltre alle caratteristiche intrinseche dei materiali, a determinare la pesantezza e il grado di trasparenza sono i differenti tipi di filatura e tessitura. Si passa da pesanti panni di lino e cotone, a mussole degli stessi materiali fino ad aeree ali di organza inconsistenti e quasi completamente trasparenti (Giotto, Madonna in Maestà, 1310, Firenze, Uffizi, e Simone Martini, Maestà, 1325/1321, Siena, Palazzo Pubblico).

Alla preziosità del filato possono essere fatte numerose aggiunte. Nelle opere di Gentile da Fabriano è possibile cogliere un riflesso dorato del tessuto, dato probabilmente dall’inserimento di trame metalliche in tessitura. E poi i listati, particolari tessuti che presentavano aree di colore bianco interrotte da righe colorate e con inserti metallici. E le decorazioni ai bordi.

Scritte, moduli decorativi floreali, geometrici e addirittura zoomorfi, ricamati in seta policroma e fili d’oro o d’argento, concorrono a rendere quello che nasce come uno strumento per mortificare la vanità un mezzo potentissimo per esaltare e trasfigurare la bellezza del volto.

Man mano che l’età avanza al velo si aggiunge un complicato intreccio di bende che fa prendere all’acconciatura nel suo complesso il nome di Soggolo. Le bende sono realizzate negli stessi materiali dei veli, solitamente bianche e più consistenti del velo stesso. Agli occhi maschili, la loro funzione è quella di nascondere il viso ingiuriato dallo scorrere del tempo. Ma in fondo trasformarle in gioiello non è difficile. Innanzitutto l’onnipresente ricamo, figlio delle lunghe ore passate all’interno della case senza altre occupazioni o di manodopera a basso prezzo, come quella delle Suore senza dote e quindi costrette a lavorare, o gratuita come quella delle schiave. Ricamo con fili di seta, metallo e con l’inserimento di perle o pietre preziose. Forse il massimo lo si raggiunge a Venezia, patria delle “Stropoli”, in tela di seta o velluto colorato ed arricchite fino all’inverosimile.

La ricerca della bellezza a dispetto di leggi, usanze e condizioni economiche ha suscitato l’ira dei più fervidi predicatori, che hanno per secoli invocato punizioni sulle donne che più ostinatamente perseguivano tale scopo. Ma guardando le immagini a noi pervenute attraverso le testimonianze artistiche e i frammenti di tessuto mi accorgo di provare uno spontaneo senso di gratitudine verso chi si è macchiata di tali colpe.

    

  

   

©2003 - Medioevo.ws - Una finestra sul Medioevo. Articolo apparso nel sito Medioevo.ws nel maggio 2002, e qui ripresentato con il consenso del responsabile contenuti storici di quel sito.

  


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