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a cura di MARCO DOLCETTA*

   

Incontro Marc Ferro nella stanza che occupa al settimo piano della Maison des Sciences de l’Homme a boulevard Raspail, Rive Gauche Parigi. È la sede della più prestigiosa rivista di Storia del mondo: «Les Annales». Lo conosco bene, ho studiato per anni con lui ed ho realizzato anche con lui diversi documentari storici per Rai e per la tv franco tedesca «Arte». È uno storico di rilievo internazionale: ha scritto più di 50 libri, tradotti nel mondo intero, su cinema e storia, sulla Francia e sulle colonie, sull’Unione Sovietica e gli Zar, su come si deve insegnare la storia.

   

Qual è la funzione della Storia, ora che siamo nel XXI secolo?

La prima è una funzione militante, missionaria, solo che il segno della sua missione cambia seguendo il segno dell’ideologia (lo Stato, il monarca, la nazione, i partiti, eccetera). Ha d’altra parte anche una funzione «scientista»: è quella delle «Annales»: la scienza costruisce un proprio oggetto. Questa funzione scientista è la punta di diamante della Storia. Lungi da me l’idea di condannarla. Ci vuole infatti una Storia scientista - così come ci vogliono di laboratori negli ospedali. Semplicemente però non bisogna che tutti i malati siano affidati ai laboratori. Vi sono delle malattie psicologiche la cui origine è chiara; la moglie ha tradito, non hanno bambini, eccetera. Le Annales sono il laboratorio della Storia. Ora questo laboratorio Annales, scopre un certo numero di correlazioni, si fanno nuove scoperte. Queste spiegazioni però non spiegano tutto. Allo stesso modo in cui il rapporto globuli bianchi globuli rossi non spiega tutte le malattie degli uomini, così, le correlazioni tra il prezzo degli affitti e l’età del matrimonio nelle vedove nell’Inghilterra del XVII secolo non spiega a sua volta tutto il capitalismo o a maggior ragione tutta la storia della società. Penso dunque che questa storia di punta vada sviluppata.

Essa però ha avuto finora troppo la tendenza a non dare la parola ai vari soggetti che compongono la Storia. Ed infine ai giorni nostri la Storia diventa terapeutica, nella misura in cui certi gruppi sociali non vogliono più affidare agli storici la cura di parlare al loro posto. Così come d’altra parte i cittadini non vogliono più affidare ai partiti politici la cura delle loro rivendicazioni. È un po’ lo stesso fenomeno. Allo stesso modo i pazienti non vogliono più saperne di un medico che tiene nel loro confronto un linguaggio a loro incomprensibile. Preferiscono lo psicologo o lo psicanalista.

  
Ma che cosa deve dunque fare lo storico? Forse egli deve autocancellarsi, deve scomparire dietro le quinte?

No, non deve cancellarsi più di quanto lo facciano il laboratorio o la medicina. Lo sbaglio che lo storico ha sinora commesso è stato quello di essersi troppo allontanato dai soggetti, dai cittadini, dalla gente, un po’ come i militanti dei partiti politici si stanno allontanando dalla popolazione. I loro discorsi rischiano così di apparire loro incomprensibili e senza legami con le aspirazioni della società. Allo stesso modo esistono dei discorsi storici, dei libri scritti da storici che sono troppo lontani dai bisogni della società, dalle sue richieste e che diventano così articoli puramente scientifici.

Lo storico allora, questa è la sua funzione, deve innanzitutto raccogliere tutti i discorsi di coloro che non hanno mai avuto la parola; Foucault l’ha già detto molto tempo fa e aveva ragione. Lo storico deve confrontare le fonti della Storia, siano esse in rapporto a un’immagine o a un testo scritto, deve ricercare nuovi metodi di punta come hanno cercato di fare le Annales, deve immaginare delle spiegazioni globali, perché di esse abbiamo maggiormente bisogno: non possiamo lasciare agli uomini politici o ad esempio ai biologi, il monopolio delle spiegazioni della società; dove andremo a finire? Ecco la conclusione: rimangono un sacco di funzioni per lo storico. Anche la funzone militante, ma non al servizio dello Stato, del partito e della Chiesa cattolica, bensì al servizio di una società che si sviluppa indipendentemente dai poteri che la opprimono. Ecco allora che il discorso cambia completamente.

  
Le Annales godono almeno di un’autorevolezza, per così dire, istituzionale?

No, non ne godono. Non sono più nella posizione di ghetto come lo erano nel 1946 o nel 1950. Hanno delle buone posizioni, occupano delle roccaforti, a destra e a sinistra, come l’Ecole des Hautes Etudies en Sciences Sociales. E annoverano anche dei militanti - se così posso esprimermi - un po’ dappertutto. E soprattutto hanno un grande peso all’estero, e godono di un grande riconoscimento. In Francia hanno vinto in un certo senso la battaglia della Storia. Non v’è dubbio, però, le Annales non regnano. Non dobbiamo credere che esse regnino incontrastate: sarebbe assolutamente falso.

Che esistano d’altra parte altre forme di Storia, e che le Annales si rigenerino a contatto con le altre storie, non è affatto un male, sebbene sia vero che sono state al contrario sovente copiate. Intellettualmente invece le Annales regnano. Regnano anche nei mass media, ma penso per altre ragioni. Vi sono state infatti alcune persone di grande talento fra gli storici dell’«histoire nouvelle»: i lavori di Emmanuel Le Roy Ladurie, hanno segnato per esempio un punto di convergenza tra la pratica e gli interessi della gente.

  
E in Italia? C’è la possibilità di uno sviluppo di una storiografia annalista?

In Italia, senza dubbio, la Storia è rimasta molto tradizionale poiché essa è essenzialmente uno strumento della politica. È uno strumento della politica e in un certa maniera è il prolungamento delle organizzazioni politiche. Noi invece, in Francia, un po’ grazie anche alle Annales, siamo almeno in parte sfuggiti a tutto questo: da qui il nostro conflitto con i comunisti, che ho potuto ben constatare all’interno della rivista. Per molto tempo la Storia è stata al servizio delle organizzazioni, è stata tipicamente ideologica ed è dipesa dal Partito comunista, non come organizzazione, ma come ideologia, o dal Partito socialista, o dai trotskisti, o da altre formazioni, ecc. E questo è decisivo quanto alla metodologia. A ciò si è opposta chiaramente la linea delle Annales che si sono scagliate contro questo tipo di approccio negli anni 20 e non certo per approvarlo oggigiorno.

Marc Bloch

  

Passiamo ad un argomento di più stretta attualità per uno storico nel mondo di oggi. La comunicazione per uno storico non avviene più soltanto su supporto cartaceo ma soprattutto attraverso il mezzo televisivo e l’utilizzo di videocassette e i dvd. Qual è la sua opinione sullo stato attuale della storia per immagini in movimento visto che Lei è stato il primo storico già dagli anni '70, a realizzare numerosi documentari e anche la decennale trasmissione «Histoire Parallele» che per 10 anni ogni sabato pomeriggio è stata trasmessa in Francia ed in Germania.

Voglio anche ricordare quello che abbiamo fatto insieme io e lei: «La storia in un minuto» per la Rai, tutto il XX secolo come uno spot pubblicitario. Vorrei parlare dell’Italia, anche se spesso i problemi della comunicazione non sono solo italiani. Riguardano soprattutto gli archivi. In Italia esiste l’archivio dell’Istituto Luce, quello di maggiore importanza. Innanzitutto c’è da rilevare che gli originali dei filmati del Luce, e quindi anche i negativi della pellicola, sono negli archivi di Stato di Washington, che detengono tutti i diritti delle cinematografie di Stato degli Stati vinti nella seconda guerra mondiale. Vengono considerati dei bottini di guerra e così vengono concessi in maniera praticamente gratuita a chi li richiede; è curioso come gli archivi di Stato di Berlino e gli archivi degli Stati, che hanno perduto la guerra, vendano questo materiale non autentico, ma che hanno in copia, a delle cifre che si aggirano sui 1.000 euro al minuto! Questo è il primo problema, i costi elevatissimi, e inoltre la difficile reperibilità dei detentori reali dei diritti. Un comportamento più trasparente spesso viene da grandi fondi privati o da istituzioni universitarie che hanno più scrupolo e meno scopo di lucro, come la U.C.L.A. Università di Los Angeles, e noi delle Annales.

  

Un altro problema è il controllo della veridicità storica dei testi ed immagini.

Lei mi accennava prima all’assurdo caso del congelamento fatto dalla redazione giornalistica della Rai del suo documentario sulle «Sette Torri del diavolo» ovvero sull’analisi dell’attuale crisi medio-orientale e dei rapporti Occidente-Islam. È un tipico esempio di superficialità, da parte dell’emittenza, la non comprensione, voluta o inconscia, di questa problematica basata sulle teorie dello storico Renè Guenon, unico riconosciuto conoscitore degli Yezidi, una setta nomade molto importante e ancora operativa. Decisiva per intendere il simbolismo della salvaguardia territoriale islamica e che spiega le ragioni sottili del terrorismo integralista. È un sintomo della superficialità del giornalismo televisivo, che è comprensibile per il dovere della spettacolarità della televisione, ma che rivela carenza di conoscenza storica dei responsabili delle rubriche televisive.

Per ovviare a tutto questo il ruolo delle Annales, che si sta strutturando a livello di tecnologia avanzata nella razionalizzazione dei suoi archivi, prevede la consulenza nella fornitura ed il reperimento di immagini, foto, filmati, riproduzioni di documenti, l’inquadramento del sistema dei diritti e soprattutto il coordinamento di storici qualificati sui singoli argomenti trattati, al fine di assicurare un’opinione di garanzia per il testo definitivo delle trasmissioni di carattere storico e quelle di attualità con riferimenti storici.

  

  

* ©2004 «l'Unità» del 3 gennaio 2004; articolo qui ripubblicato con l'autorizzazione del quotidiano.

  


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