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di MARIANO TOMATIS*

 

«Ormai non è più un mistero.
Fino a un decennio fa ne sussurravano
tra loro soltanto gli “addetti ai lavori”,
poi pian piano la notizia è trapelata
facendo sussultare il pubblico:
il Santo Graal è a Torino? Forse sì.»

 

Queste le parole di Giuditta Dembech nel suo libro Torino Città Magica.

Tra le città candidate come sede ultima del Santo Graal viene frequentemente citata Torino. La prima motivazione portata a sostegno di questo fatto è la presenza - nella stessa città - della Sindone, il lenzuolo che secondo la tradizione avrebbe avvolto il Corpo di Gesù dopo la morte. L’argomento viene spesso presentato in questo modo: se la Sindone si è conservata duemila anni ed è custodita nel capoluogo piemontese, perché non potrebbe esserci anche il Graal?

  

Una lettura critica della leggenda

La leggenda del Graal nella città della Mole non sono molto antiche; affondano le loro radici in un libro scritto nel 1978 da una giornalista appassionata di esoterismo, Giuditta Dembech, che propose la teoria sul primo volume di Torino Città Magica.

Nel capitolo intitolato Torino e il Graal dapprima cita la storia tradizionale dell’oggetto: fu usato come calice durante l’Ultima Cena e al suo interno Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue sparso sulla croce. In seguito alla risurrezione di Cristo, Giuseppe raggiunse una città chiamata Sarras, dove fece costruire un tempio per custodire la coppa. Senza specificare dove si trovi questa città e - anzi - ammettendo che «resta abbastanza impreciso il luogo in cui [il Graal] veniva custodito», ella si lancia in una ricostruzione genealogica interpretando alla lettera i romanzi sul Graal e dilungandosi per quattro pagine sulla linea dinastica di Giuseppe e quella di un suo contemporaneo, Nascien, dai quali nasceranno - nel corso di nove generazioni - rispettivamente Galaad e Lancillotto.

Al termine di questo lungo elenco di nomi, la Dembech trasforma il Graal in un oggetto evanescente, dalla luce accecante. Cita Albrecht von Sharffenbergh che, nel 1270, così lo descrive: «Il Graal allora non aveva una sede fissa, ma vagava invisibile nell’aria». Ovviamente non si tratta più della reliquia della Passione, ma di un oggetto magico, ricettacolo di forze cosmiche e simbolo di ordine ed armonia. Non è chiaro in quale preciso momento della storia avvenga questa “elezione” del Graal da semplice coppa a oggetto prodigioso: la Dembech non lo dice esplicitamente. è ovvio, però, che questa sua natura gli permette di trovarsi in più luoghi contemporaneamente, in quanto prodotto della mente più che oggetto dalle precise caratteristiche archeologiche. Siamo in presenza di un salto, neanche troppo velato, tra la Linea Archeologica e quella Simbolica: la Dembech scrive, infatti, che «il messaggio esoterico del Graal è in fondo quello della ricerca della restaurazione di un ordine, di un’armonia poi andata distrutta».

Esso, inoltre, sarebbe il «sigillo invisibile» della Sindone, e dunque nel corso dei secoli ne avrebbe seguite le vicende. Oggi «il Graal veglia su di essa dall’altro della cupola del Guarini».

Le considerazioni a carattere simbolico possono affascinare ma non ci conducono verso alcuna identificazione precisa del luogo che custodirebbe il Graal. Eppure il libro della Dembech ebbe sull’opinione pubblica l’effetto di trasporre sul piano fisico le considerazioni ch’ella aveva fatto ad un livello simbolico. Ancora recentemente (26 febbraio 1998) Cesare Medail scrisse sul Corriere della Sera:

Se si tratta di un oggetto e non di un simbolo, dove potrebbe essere il Graal? […] [A] Torino. Giunto nel capoluogo insieme alla Sindone, sarebbe nascosto nel tempio della Gran Madre.

  

La stessa Giuditta Dembech giocò sull’ambiguità di quanto da lei affermato sul primo volume di Torino Città Magica aggiungendo, su un secondo volume, ulteriori elementi allo scenario. Dapprima citò un’intervista da lei tenuta con due esponenti di un’organizzazione segreta torinese ispirata agli “Esseni”, i cui membri si ritenevano depositari di una tradizione iniziatica. Ecco un frammento del loro dialogo:

“Le rivelazioni secondo cui il Graal potrebbe trovarsi a Torino sono attendibili?”
“Lo sono molto più di quanto possa sembrare all’apparenza”.
“Allora vera la teoria secondo cui la città che detiene la Sindone possiede anche il Graal?”
“Posso confermare che il Graal è qui a Torino […]”
“Chi può possedere e nascondere un tesoro del genere?”
“Secondo lei, a chi spetterebbe di diritto?”
“Gli Esseni? Ma è vero, lo avete voi?”
“Non lo teniamo nascosto, ma neppure esposto al pubblico…”

Pur non possedendo alcun carattere di prova, un’intervista del genere è certamente ricca di allusioni e risonanze, che - lungi dal chiarire la distinzione tra Oggetto e Simbolo - sembrano suggerire implicitamente che l’ipotesi di una coppa celata da qualche parte in Torino non sia così inverosimile. La Dembech è comunque onesta nell’aggiungere:

Mi sembra assurdo che la mistica coppa cercata per duemila anni in mezzo mondo, mi venga offerta così, su un vassoio d’argento. è troppo semplice, troppo a portata di mano per poterlo credere. Meglio peccare di diffidenza che di credulità. Probabilmente, questi esseni redivivi, non si riferiscono ad un oggetto reale, tangibile. Ho quali la certezza che il “loro” Graal sia qualcosa di metafisico.

Nel capitolo A proposito del Santo Graal la giornalista riprende il tema, descrivendo un oggetto che sembra possedere precise caratteristiche fisiche:

Giuseppe d’Arimatea è il primo […] a vederlo nella sua realtà fisica, come una coppa che collocherà all’interno di un’Arca.

Ad esso sono associati poteri straordinari: esso sarebbe in grado di emettere luci meravigliose, dare visioni angeliche ed emanare commoventi musiche celestiali. Per tutto il periodo in cui il Graal viene custodito all’interno dell’Arca, si palesano prodigi di ogni genere: guarigioni, visioni, rivelazioni sul futuro…

In un periodo imprecisato, poi, il calice viene rapito in cielo e portato nella Gerusalemme Celeste, dalla quale non tornerà più sulla terra. è qui che si palesa il passaggio da una confusa Linea Archeologica che sembrava voler proporre la Dembech ad una Linea più esplicitamente Simbolica. Scrive:

Il Graal ormai, è soltanto un simbolo, non lasciamoci incantare dalla letteratura romantica o avventurosa alla “Indiana Jones”. […] La Coppa in quanto tale, non esiste più. Inutile cercarla nel mondo materiale a tre dimensioni.

E, confutando le voci sorte intorno alla possibile presenza del Graal in Torino, aggiunge:

In tutti questi anni, dopo aver divulgato le notizie di un legame fra la città di Torino ed il Graal, e soprattutto, fra la chiesa della Gran Madre ed il Graal, ho ricevuto centinaia di lettere da persone più o meno lucide mentalmente. […] Qualcuno ha scritto che il Graal è sepolto nei sotterranei della Gran Madre, quindi, scavando, prima o poi verrà fuori. Altri ancora mi hanno contattata per raccontarmi che il Graal si trova all’interno della scultura, nella coppa che la statua dinanzi alla chiesa porge verso il cielo. Anche questa è una follia pericolosa. […] Insomma, si è scatenata la giostra delle ipotesi più strampalate. […] Il Graal è un simbolo immateriale, nessuno l’ha mai più custodito o catturato. […] Escludiamo dunque l’ipotesi di un Graal sepolto o murato da qualche parte, a Torino o altrove. […] Come simbolo in effetti, potrebbe trovarsi a Torino, come oggetto no!

  

Basterebbero queste parole da parte di colei che ha dato il via alla leggenda per chiudere una volta per tutte la questione. Ma ci sono diversi altri elementi che rendono poco verosimile l’ipotesi di un calice nascosto in città.

Innanzitutto sarebbe assurdo che i Savoia, in possesso di entrambe le reliquie - Sindone e Graal - avessero reso pubblico solo il telo sindonico, organizzandone periodiche ostensioni. Se avessero rinvenuto una qualche reliquia associabile al Graal l’avrebbero certo mostrata come ulteriore segno della particolare benevolenza divina nei confronti della nobile famiglia.

è inoltre inverosimile l’idea che la disposizione delle statue della Chiesa della Gran Madre di Dio possano indicare quale sia il nascondiglio; una di queste, la Statua della Fede, è assistita da un angelo, tiene nella mano destra un libro aperto, e nella sinistra un calice levato verso il cielo. L’idea che stia guardando verso il nascondiglio del Graal, avanzata da alcuni, non è certo priva di un suo fascino, ma la mancanza di pupille sui suoi occhi rende oltremodo difficile il calcolo di una qualunque coordinata a partire dalla direzione dei suoi occhi.

C’è anche chi ha cercato di recuperare la teoria della Dembech proponendo una identificazione tra la Sindone di Torino e il Graal, entrambe reliquie che, in qualche modo, “raccolsero” il sangue di Cristo dopo la Crocifissione. è il caso di Noel Currer-Briggs che nel suo The Holy Grail and the Shroud of Christ - The Quest Renewed del 1984 segnalò un gran numero di possibili punti di contatto tra la leggenda del Graal come veniva raccontata nei romanzi medioevali e la storia del mandylion di Edessa, un piccolo telo sul quale era riprodotto il volto di Gesù.

è lo stesso Pier Luigi Baima Bollone ad affermare sul suo Sindone o no:

Il Graal non sarebbe una coppa, ma il contenitore della Sindone.

  

Questa teoria ha però diversi punti di debolezza. Innanzitutto essa dà per scontata l’identificazione tra il mandylion di Edessa e la Sindone di Torino, che è invece oggetto di discussione e per gran parte degli storici non sembra essere verosimile. E se anche la presenza di un tessuto recante l’immagine di Cristo in Oriente avrebbe potuto influenzare in qualche modo le leggende sul Graal, l’ipotesi di una totale identificazione tra coppa e lenzuolo pare un po’ forzata.

Allo stesso modo non si può attribuire alla scoperta di una syndon a Costantinopoli l’improvvisa nascita delle leggende del Graal nell’Europa medievale: una visione così ingenua non tiene conto del contesto archetipico di quell’epoca, in cui i calderoni celtici e le cornucopie dell’abbondanza erano già così carichi di significati mistico-religiosi.

I vari studi citati, inoltre, non sono affatto concordi: secondo alcuni il Graal sarebbe in realtà la Sindone, perché entrambi “reliquia del sangue di Cristo”, secondo altri - tra cui Baima Bollone - il Graal sarebbe il contenitore della Sindone, vero “contenitore del sangue di Cristo” impresso sul telo sindonico, a seconda che i vari brani tratti dai romanzi sul Graal sembrino alludere alla prima o alla seconda forma.

Sembra, dunque, che nemmeno questo tentato “recupero” abbia avuto i suoi frutti.

Giuditta Dembech cita ancora l’autore di un libro di esoterismo su Torino, che sosterrebbe di conoscere un luogo in città ove si troverebbe un fantomatico “pozzo del Graal”. Solo lui, però, sarebbe a conoscenza dell’esatta locazione di tale nascondiglio.ù

Di fronte ad una affermazione del genere, chi più di colei che creò la leggenda può indicarci l’atteggiamento da seguire? è la stessa giornalista ad ammonire:

Non diamo credito a coloro che scavano, o cercano in luoghi sotterranei e nascosti, fra ruderi e rovine del passato.

  

Come raggiungere i "Graal" di Torino

Le due statue raffiguranti il Graal si trovano una di fronte alla Chiesa della Gran Madre di Dio, di fronte a piazza Vittorio Emanuele, appena superato il ponte sul Po, l'altra sulla facciata della Chiesa dei Santi Martiri nella centralissima via Garibaldi.

  


* Sull'autore: www.marianotomatis.it

  

  

©2002 Mariano Tomatis. Questo articolo, qui riprodotto con il consenso dell'autore, è apparso in Guida dei luoghi e oggetti misteriosi del Piemonte, a cura del CICAP gruppo Piemonte.

  


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