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Gennaro Tedesco

Il mito tra didattica e storia. Un viaggio allucinante

 

Vorrei cominciare ad affrontare questo difficile e complesso rapporto tra Didattica e Storia a partire da alcune considerazioni preliminari e di base scaturite dalla predisposizione di un convegno effettivamente svoltosi all’ex Irre-Lombardia il 16 giugno 2005 sull’argomento in questione e di un altro sullo stesso argomento previsto nella sede dell’ex IRRSAE-Lombardia, però, non svoltosi, in data precedente al 2005 che avrebbe dovuto vedere la presenza e la partecipazione di Edgar Morin.

Nella situazione attuale nelle scuole e nelle università del Bel Paese la Didattica della Storia, malgrado l’introduzione di notevoli innovazioni non solo metodologiche, ma anche tecnologiche, è ancora caratterizzata dalla prevalenza della lezione frontale.

I tentativi di integrazione delle Nuove Tecnologie all’interno della didattica tradizionale non ne hanno minimamente scalfito la logica unilineare, sostanzialistica e riduttivistica . Anche se ampiamente teorizzata, poco o nulla si pratica una didattica della storia centrata sull’apprendimento attivo, personalizzato e individualizzato del soggetto con notevole riduzione dell’insegnamento diretto e della lezione frontale in un contesto di laboratorio educativo e formativo transazionale , d’interazione per gruppi. Vi è assenza di apprendimento complesso e reticolare, non lineare con flash-back, devianze, azioni, interazioni e retroazioni. Non meno assente è l’apprendimento della storia basato sul gioco come motivazione e acquisizione delle conoscenze e delle competenze, come costruzione sociale del soggetto e dei soggetti. L’acquisizione delle conoscenze e delle competenze non avviene attraverso la soluzione di problemi reali e concreti in situazione contestualizzata (problem-solving) e carente è l’apprendimento cooperativo e collaborativo (cooperative-learning). Per stimolare l’interesse e sollecitare l’attenzione degli allievi di un Biennio Superiore riformato verso la storia antica e medievale si possono e si debbono utilizzare le nuove tecnologie, dal computer ad Internet, come spinta alla motivazione, alla conoscenza, alle competenze e alla ricerca individuale e di gruppo. Tecnologie nell’antico , nel medievale e nel presente in interazione costante anche attraverso simulazioni cibernetiche contro l’approccio grammaticalistico e monotematico ai problemi della civiltà antica e medievale. Necessità dell’interdisciplinarità come modalità didattica, educativa e formativa di maggiore aderenza alla complessità della storia e del reale, pur non raggiungendo mai, ovviamente, l’esaustavità. Tali considerazioni preliminari e di base ampiamente e abbondantemente sviluppate e approfondite in http://www.instoria.it/home/modello_apprendimento.htm dallo scrivente sono il punto di partenza per tentare di far avanzare la discussione sul rapporto tra didattica e storia, che, però, potrebbe aiutarci anche a chiarire alcuni aspetti più generali della didattica.

Vorrei porre al centro del mio discorso simboli, miti e riti che, in modo consapevole, sono o dovrebbero essere gli elementi portanti di una didattica della Storia, ma anche della didattica generale e della Scuola e dell’Università, queste ultime come luoghi non solo istituzionali.

Di recente per divulgare e approfondire per allievi di un Biennio Superiore riformato lo studio della Romania e dei Balcani mi sono servito del mito di Dracula.

Il mito draculico consente di portare al centro dell’attenzione adolescenziale e giovanile una complessa e avvincente simbologia e un notevole livello di recondita e arcana ritualità.

Simboli, miti e riti draculici li consideriamo come elementi di un linguaggio simbolico di un moderno, cooperativo e collaborativo apprendimento, gestito e coordinato da un interdisciplinare, transdisciplinare e transazionale gruppo docente in un laboratorio storico interdisciplinare appositamente concepito, allestito e interattivamente praticato.

Studiare, riprogettare e praticare un mito incentrato su un personaggio come Dracula tra immaginario e realtà storica può rivelarci e aprirci la via al chiarimento di alcune strutture profonde indispensabili per capire e interpretare non solo il Simbolo Dracula, ma anche per contestualizzare i suoi rapporti con la società e i suoi fruitori.

Il modello draculico non è solo un monumento istituzionale e floklorico perché, in quanto simbolo, si iscrive all’interno di un linguaggio comunicativo e attivistico, è comunicazione e azione. Non a caso esso si è continuamente arricchito e nutrito di contenuti, emozioni ed immagini, metafore ed analogie in una estenuante evoluzione caleidoscopica e mitopoietica senza limiti fino alla recente esplosione di cd, ma soprattutto di siti e assemblaggi informatici ed elettronici che ne moltiplicano le ibridazioni e ne rinverdiscono il culto, accrescendone smisuratamente la fama e garantendone una diffusione globale e globalizzata senza precedenti.

Una saga rumena, risalente probabilmente ad epoche storiche e preistoriche, intrecciatasi con avvenimenti storici catalizzatisi nel Medioevo rumeno e fortemente contaminata da influenze nordeuropee. Questa, grosso modo, la struttura portante del simbolo, del mito e del rito. Essa, poi, grazie al cinema, si è ulteriormente trasformata, divenendo patrimonio dell’immaginario universale.

Essa, comunicando e consolidando un patrimonio storico e mitologico, possente , e comune nell’animo del contadino rumeno, è stata sapientemente e abilmente manipolata e interpretata dal dittatore rumeno Nicolae Ceaucescu per agire sull’immaginario più profondo del popolo rumeno: un sanguinario, storico e reale Dracul , contaminato da un alone mistico e patriottico, è diventato il modello dell’Eroe Nazionale, votato con la vita e la morte, a difendere la patria rumena dall’Aggressione occidentale ed orientale. L’immaginario nazionalistico e vittimistico del cittadino rumeno ha trovato piena e assoluta soddisfazione e identificazione: Dracul-Ceaucescu-Romania contro l’Aggressore Universale. La riattualizzazione di un mito in funzione politica e sociologica, ma anche riorientativa rieducativa, una “innovativa” Educazione alla cittadinanza nazionalistica e sciovinistica, che apertamente e chiaramente dichiara e denuncia la sua strutturazione ideologica, un potente avvertimento ai nostrani e “spensierati” sostenitori di un’asettica e neutrale educazione alla cittadinanza. Dal macrocosmo del simbolo e del mito al microcosmo claustrofobico del nazionalismo e viceversa in un circuito (cortocircuito ) chiuso, ma transazionale e interattivo al suo interno. Il mito draculico non solo come asettica ed esotica comunicazione di informazioni, ma anche come attivizzazione di profondi processi mitopoietici, identificativi e identitari e riconfigurazione, rielaborazione e proiezione di nuovi atteggiamenti e comportamenti “civici” e politici.

L’inesausta vitalità, potenzialità, trasformatività e transazionalità del simbolismo e del ritualismo draculico è riconfermata ai nostri giorni non solo dalle riproposizioni e rivisitazioni cinematografiche, teatrali ed elettroniche, ma anche dalla mitopoietica adolescenziale e giovanile che a tutti i livelli dell’immaginario lo pratica e lo utilizza in abbondanza . Dai giochi non solo elettronici alle feste, dal gergo ai siti informatici, dai ritmi sonori alle pratiche di scrittura elettronica o meno che sia, i nostri adolescenti e giovani sguazzano nel guazzabuglio draco-gotico. Non è solo una questione, pur importante, di ritrovarsi a proprio agio in un immaginario e in una coinvolgente e accattivante simbologia che li rende entusiasti e goliardici. Il “gioco” del draculismo e del gotismo adolescenziale e giovanile è un gioco rituale in cui ci si immerge totalmente e ci si identifica integralmente perché esso consente alle nuove generazioni elettroniche, proprio grazie alle potenzialità informatiche e virtuali, giochi elettronici, simulazioni cibernetiche, realtà virtuali, ipercomunicazione e iperaccelerazione della posta elettronica e iperaccumulazione di siti e scambi elettronici, di ricavarsi e di ritagliarsi uno spazio mitopoietico, simbologico e soprattutto rituale in cui prefigurare e allestire scenari alternativi e “sovversivi” di transizione verso una Società, una Scuola e una Università che si vorrebbe diversa da quella che si vive quotidianamente.

In questo senso capire e interpretare le dinamiche draco-gotiche , che non sono solo una effimera e meteorica moda come qualcuno si azzarda ad affermare ripetutamente, significa comprendere i complessi e sottili legami che uniscono simbolismo, ritualismo, immaginario e adolescenti-allievi e poterle, una volta che ce ne siamo impadroniti come docenti e anche come discenti, porre al servizio di una giovane e soprattutto ermeneutica didattica.

Danze, canzoni, feste, mascherate, ibridazioni teatrali ed amatoriali, simulazioni elettroniche, metabolismo sanguinario, mito e rito della Rigenerazione e della Vita, della Morte e della Resurrezione, Metamorfosi, Apocalisse e Palingenesi sono morfologie di una Simbologia sociale, adolescenziale e giovanile, che è comunicazione e azione, che con il suo proprio linguaggio cinetico, iconico, prossemico e gestuale, manifesta una dinamica transalfabetica del disagio esistenziale e della protesta politica. Tale dinamica è al tempo stesso espressione, identificazione, trasformazione, costruzione ed innovazione all’interno di un linguaggio che è comunicazione e azione, simbologia sociale e non mera e autosufficiente ludicità e anarchismo confusionario e inconcludente.

Internet, il cinema, la televisione, le trasformazioni sociali, le metamorfosi delle istituzioni sociali, l’irruenza dirompente delle tecnologie, la globalizzazione economica e degli stili di vita, franti, scissi, frammentari, disarticolanti, caotici e stressanti, in una parola schizofrenici, ha prodotto la iper-rigenerazione e iper-moltiplicazione di simbologie, riti e miti, come quello draculico, che si collocano, anzi, si ricollocano all’interno di un linguaggio simbologico e sociale che non si serve più della razionalità alfabetica, ma di una propria e originale “razionalità” che tenta di decifrare e interpretare quella sfera della comunicazione sociale che sta tra quelli che normalmente e ufficialmente siamo soliti definire i due poli opposti, o presunti tali, della “razionalità" verbale e dell’ “irrazionalità” emotiva.

Il simbolismo sociale e dinamico dell’immaginario adolescenziale giovanile sembra sfuggire a questa dilacerante e massacrante camicia di forza, che è l’ “alfabetismo” razionalistico, imposta da una società, da una Scuola e da una Università in piena fase di involuzione e di disgregazione.

La nascita di questo nuovo linguaggio simbolico e sociale non è solo un fatto comunicativo di estrema importanza senza il quale non possiamo capire e interpretare l’universo mitopoietico dell’adolescenza e della gioventù globalizzata. Esso è molto di più, è la nascita di un modo di apprendere e di un modo di percepire e guardare la realtà che rifonda la Scuola, l’Università e la Società. Infatti la comunicazione simbologica e sociale, nella sua struttura essenzialmente olistica, scuote alla e fondamenta il modo di essere a scuola. Essa non può tollerare ambiti e contesti educativi che, genericamente, possiamo definire “freddi”. Per poter funzionare e dare il meglio di sé, il linguaggio simbologico e sociale ha bisogno di contesti educativi non solo vagamente accoglienti, ma soprattutto caldi.

Il mito e il rito di Dracul non è solo un mito e un rito esaltante e coinvolgente per adolescenti e giovani delle nostre Scuole Esso, in quanto simbologia sociale, è uno di quei non molti contesti apprenditivi ed educativi in cui gli allievi percepiscono di elidere la loro alienazione educativa. E non solo. Essi sperimentano anche la possibilità di liberarsi e di svincolarsi da quel disagio sottile, insinuante e persistente che non è solo psicologico, sociale, politico, comunicativo e relazionale, ma è anche e soprattutto esistenziale e metafisico, essi si liberano dall’ansia e dall’angoscia indicibile dell’essere gettati nel mondo, si riconciliano con l’esistenza e con se stessi prima che con gli altri.

Il laboratorio d’apprendimento collaborativo, cooperativo , interdisciplinare e transazionale nonché elettronico e virtuale comincerebbe a configurarsi come un luogo particolare, originale e specifico, si verrebbe a costituire quasi come uno spazio teatrale, come una zona sacra al cui interno pubblico e attori, allievi e docenti, cesserebbero di recitare separatisticamente le loro parti, i loro copioni per recuperare fisicamente, metaforicamente e spiritualmente una dimensione olistica.

Non sarebbe un’operazione facile, tutt’altro, ma a chi scrive, essa pare una delle poche possibili, se non l’unica , per ricominciare a movimentare, rinnovare e riattualizzare la Scuola , che negli ultimi anni , accentuando il distacco dalla “realtà”, immaginario, codice, linguaggio ed esperienza esistenziale e metafisica oltre che psicologica, storica e politica degli adolescenti e giovani, non sembra godere buona salute e ancor meno interesse e attenzione presso i propri principali fruitori, adolescenti e giovani non solo italiani.

La mitopoietica draculica porterebbe al centro del laboratorio non solo miti, riti, metafore, analogie e altro ancora, ma anche e soprattutto le nude e crude strutture profonde e portanti di quello che abbiamo definito il nuovo linguaggio, situato tra la razionalità verbale e l’irrazionale, le cui immagini metamorfiche e dinamiche diventerebbero oggetto di peculiare e rilevante interesse oltre che di penetrante analisi non convenzionale.

L’analisi non convenzionale della saga draculica solleciterebbe, stimolerebbe e incentiverebbe la formazione di un vero e proprio, originale e preziosissimo circolo ermeneutico , prodotto proprio dalla esuberante inesauribilità e infinita generatività del draculismo. E non sarebbe solo un’ermeneutica proveniente dal dinamismo olistico dell’interazione collaborativa e cooperativa di allievi e docenti . Infatti la configurazione anche teatrale del laboratorio consentirebbe di volta in volta di sperimentare ruoli e parti diverse e, soprattutto, di assumere identità continuamente interscambiali così da consentire a tutti di entrare nei panni del personaggio del Principe della Notte e di interpretarlo e, facendolo proprio, riviverlo in tutti i modi e le modalità possibili.

Il simbolismo sociale, associato al simbolismo teatrale e potenziato dall’olismo intrinseco alla realtà elettronica e virtuale, immette l’allievo in una dimensione spazio-temporale che, prima che psicologica, è soprattutto comunicativa, esperienziale, dinamica e metafisica.

E’ proprio l’abitudinaria e conformistica prassi dell’andazzo quotidiano, senza aneliti e senza speranze, senza prospettiva di senso e di significato, che allontana l’allievo, sia adolescente che giovane, dalla Scuola, dall’Università e dalla Società.

L’eventuale senso politico di un rifiuto e di una possibile rivolta tanto adolescenziale quanto giovanile contro la Comunità Educante è pervaso da un disagio soprattutto esistenziale che scaturisce in parte notevole da quella mancanza di senso, ma abbondanza di iper-razionalismo parolaio e verbalistico che corrode le membra, lo spirito e la mente della nostra società a una dimensione.

All’adolescente il mito di Dracula o qualunque altro mito possente e significativo, consente di ritrovare quei sentimenti profondi, che trasmessi e potenziati dal simbolismo sociale e da quello teatrale, intesi come comunicazione e azione e non come mero psicologismo, lo riavvicinano alla essenza naturale dell’uomo. La violenza, la crudeltà, la malvagità, la brutalità insite nella saga draculica, ma non solo in essa, non sono incentivi alla “Maleducazione”, ma sollecitazioni a giochi profondi, a riconsiderazioni, riflessioni e rivisitazioni delle nostre emozioni.

E queste emozioni di adolescenti e giovani non sono contemplate nell’alfabeto razionalistico e verbalistico della Scuola e dell’Università.

Solo il simbolismo sociale e teatrale, con le sue realtà immaginarie e “oggettive” perché nelle cose che ci circondano e non nella “mente” di qualcuno, suscitano il coinvolgimento assoluto dell’allievo. L’immersione nella crudeltà mitopoietica di Dracul o di qualunque altro essere “mostruoso” è sprofondare nel proprio terrore, riconoscerlo e riemergerne rinnovati, è un ennesimo e totalizzante rito di passaggio, è riscoprire il significato di un linguaggio solo apparentemente interiore, ma profondamente incarnato nelle “esteriori” simbologie sociali e teatrali, irriducibili alla gabbia del verbalismo razionalistico e del generico e superficiale paniconismo psicologistico e mass-mediologico.

Il riconoscimento delle proprie paure attraverso la brutalità draculica è il riconoscimento di un mondo che va al di là della pura fisicità, in questo senso, in questa direzione e in questa dimensione è pura metafisica, una metafisica delle emozioni riconducibili al linguaggio del simbolismo sociale e teatrale, ma non riducibili ed esauribili in esso.

La potenza e la radicalità del mito e del suo alfabeto, posseduto da adolescenti e giovani, sta proprio nella sua inesauribilità interpretativa, ma soprattutto esistenziale e metafisica, nel riuscire ad attrarre e captare, trasformandole, latenze primordiali. Il mito contribuisce non solo all’estrinsecazione di nuove forme di apprendimento e comprensione, ma soprattutto, attraverso il suo incarnato simbolismo sociale e teatrale, al superamento di quel senso di mancanza, di carenza, di assenza, che contraddistingue le nuove generazioni globalizzate, attraversate e profondamente lacerate dall’ansia e dall’angoscia dell’essere gettati nel mondo e spinte dalla propria solitudine e separatezza esistenziale alla continua, perenne e sacrosanta ricerca di senso e significato e di una assoluta quanto altrettanto mitica e metafisica Comunità assoluta a cui ricongiungersi.

Riferimenti bibliografici

C.Geertz, Interpretazione di culture, Bologna 1998
C.Geertz, Antropologia interpretativa, Bologna 2006
J.Bruner, La Cultura dell’Educazione, Milano 2002
A.Calvani, M.Rotta, Comunicazione e Apprendimento in Internet, Trento 2001
L.Vygotskij, Pensiero e Linguaggio, Firenze 2007
P.Watzlawick (a cura di), La realtà inventata, Milano 2008
V.Turner, Dal rito al teatro, Bologna 2007
A.Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino 2006

 

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