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di IRIS MIRAZITA*

 

La concessione di Corleone da parte di Federico II ai lombardi di Oddone de Camerana e la loro adesione quasi immediata al tumulto del Vespro sono gli eventi che caratterizzano la storia di questa terra  nel corso del XIII secolo ed i cui esiti, gravidi di conseguenze sul piano etnico, religioso, socio-economico e politico, si protrarranno nel secolo successivo. Mutamento etnico e religioso innanzitutto poiché ai musulmani di religione islamica, messi in fuga sulle montagne circostanti Corleone dagli incalzanti assalti di Federico II, si sostituiscono i lombardi, cristiani di religione e di fede ghibellina, con ovvie ripercussioni sull’economia, sulla composizione sociale e sulle scelte politiche conseguenti. Infatti al villanaggio che caratterizzava il regime delle terre, i musulmani erano villani ascrittizi, legati cioè al padrone della terra con un vincolo significativamente riduttivo delle loro libertà personali, si sostituisce la concessione delle terre con tutti i diritti di possesso; ai lombardi che trasferiscono la loro residenza a Corleone vengono concesse terre e diritti di erbatico e legnatico nei boschi demaniali.

Ad un’economia più libera corrisponde una maggiore circolazione di prodotti e di scambi ed una diversificazione a livello sociale: non soltanto contadini, ma anche commercianti a medio e lungo raggio.  L’incardinamento dei lombardi a Corleone si riflette sull’impianto urbanistico dei quartieri della città, mutandone l’aspetto e ridisegnandone talvolta il tracciato all’interno della sua cinta di mura. L’adesione sollecita dei lombardi alla rivolta del Vespro, a quasi cinquant’anni di distanza dal loro arrivo a Corleone, avviava quel sodalizio con Palermo foriero, da un lato di privilegi economici, i corleonesi venivano infatti esentati dal pagamento di tutta una serie di tributi, dall’altro di scelte politiche precise come la successiva adesione ai Chiaromonte, alleanza che in più occasioni nel corso del XIV secolo avrebbe diviso la città all’ interno, opponendo il quartiere alto a quello basso, fedele sostenitore del potere regio.

I lombardi dunque costituivano un valido alleato per Federico II nella lotta contro i saraceni, come del resto era già avvenuto in età normanna durante il cancellierato di Stefano di Perche (1166-68), quando, come ci racconta nella sua Historia Falcando, un cronista del XII secolo, ventimila lombardi avevano scacciato i musulmani da quelle città della Sicilia orientale, che successivamente avevano occupato, rilatinizzandole1.

Anche Federico II ricorreva ai Lombardi e con le stesse motivazioni: lotta ai Saraceni e ripopolamento su base latina degli spazi urbani lasciati da loro disabitati. E per questo rispondeva affermativamente alla richiesta del miles  Oddone di Camerana e nel 1237 da Brescia concedeva, a lui ed agli hominibus de partibus Lombardiae, la terra di Corleone2. Questa concessione costituiva dunque la giusta risposta non soltanto alle esigenze dell’imperatore, ma anche alle necessità di un gruppo, che, deciso a dare un taglio netto al proprio passato, cercava nuove terre da abitare e nelle quali esportare e mettere a frutto le esperienze politiche maturate nelle regioni di provenienza.

In effetti in un primo momento Federico II aveva offerto ad Oddone ed ai suoi lombardi la terra di Scopello, nel Val di Mazara, e solo in seguito e su richiesta dello stesso Oddone, poichè il sito non era risultato sufficiens nec aptus ad habitandum, lo sostituiva con  Corleone3, terra supramodum dives, populata et munita  e soprattutto apta hostilibus insultibus ad resistendum opportune4 ed importante nodo viario sia nei collegamenti tra Palermo e Trapani, attraverso Salemi e Calatafimi, che tra Palermo ed Agrigento.

Lo stanziamento dei lombardi a Corleone, pur con connotazioni  sociali diverse, non avveniva in un unico momento ed in maniera massiccia, ma  gradualmente e con una certa continuità nel corso del XIII secolo; una fase successiva al primo impianto lombardo è infatti documentata nel gennaio del 1264, quando la Curia di Corleone affidava al nobilis vir  Corrado di Camerana, figlio di Oddone, l’incarico super donandis et distribuendis casalinis pro faciendis domibus hominibus venientibus habitare Corilionem. Tra gli altri Corrado concedeva appezzamenti di terra ad Enrico Curto, giunto a Corleone cum eius familia  ed ai suoi eredi5. Nella concessione ad habitandum  della terra  di Corleone si precisava che essa apparteneva al demanio e pertanto non si può parlare di infeudamento, né del resto i de Camerana  vengono mai indicati come signori della città.

Pur non essendo gli unici ad abitare Corleone, definita «populata» nell’atto del 1264, i lombardi ne costituirono il nerbo vitale, poichè con la loro partecipazione agli eventi politici successivi, determinarono l’evoluzione delle sue vicende storiche.

Ma chi erano questi lombardi e da dove venivano? Anche se con il  termine “lombardo” si fa riferimento in modo generico a quanti erano approdati in Sicilia dalle città e dalle campagne dell’Italia padana, travagliate da una profonda crisi economica e sociale, i lombardi di Corleone, diversi per origine geografica e per formazione politica da quelli stanziatisi nelle altre colonie lombarde intorno all’XI secolo, erano soprattutto piemontesi, esuli da Alessandria e dalla sua provincia,  come è ampiamente testimoniato dalle fonti documentarie, dove vengono menzionati con l’indicazione della località di provenienza: de Alexandria, de Salis (Sale), de Pontecurone, de Vultaggio (Voltaggio), de Ponzono (Ponzone), de Ceva, de Monte de Vi, de Alba, de Caramagna, de Coronato (Cocconato) e più genericamente de Monferato, ma non mancavano quelli provenienti da città della Lombardia, come Milano, Pavia, Voghera, Cremona e Brescia6. Si trattava di una zona che aveva il suo confine più orientale nel Veneto e quello più meridionale nei centri liguri di Ortovero, tra la riviera ligure di ponente e la regione piemontese a sud delle Langhe, e di Sarzana, sulla linea di confine tra la Liguria e la Toscana.

L’evento clou  che connotò definitivamente la storia di Corleone e che legò indissolubilmente i destini dei lombardi di Corleone a quelli degli altri abitanti dell’isola in particolare di Palermo, fu la loro adesione immediata e spontanea alla rivolta del Vespro; avvenimento che avrebbe coinvolto siciliani, angioini ed aragonesi per circa cento anni ed i cui esiti sarebbero stati carichi di conseguenze per la stessa vita del Regnum.

I corleonesi, restando fedeli alla causa sveva, avevano mandato le loro milizie in soccorso a Corradino contro Carlo I d’Angiò, la cui risposta fu l’invio di 36 milites  e 67 armigeri per presidiare i territori intorno a Corleone, in particolare le tenute reali alle quali il re Carlo era particolarmente interessato. Queste erano state ampliate a danno dei corleonesi, cui furono imposti divieti sull’uso del pascolo e del taglio della legna, riducendo così quei privilegi concessi loro da Federico II, in particolare ai lombardi stanziatisi a Corleone7.

Spia del disagio e dello stato d’indigenza in cui versavano i corleonesi tra il 1270 ed il 1280 è la vexata quaestio  tra l’Universitas di Corleone e l’arcivescovo di Monreale, nata in seguito al mancato pagamento delle decime ecclesiastiche; questione conclusasi nel maggio del 1280, quando ad un primo accordo che prevedeva un pagamento in natura, in verità poco affidabile e pericoloso perchè suscettibile di interpretazioni diverse, se ne sostituiva un secondo che fissava il pagamento in denaro e precisamente in cinquanta onze d’oro8.

Lo scoppio della rivolta del Vespro, nel marzo del 1282, vedeva dunque i lombardi ghibellini di Corleone tra i primi ad aderire con entusiasmo; nell’ambasceria inviata il 3 aprile alla città di Palermo, per offrire fedeltà e fraternità, era presente Guglielmo Curto di origine lombarda. E lombardo, figlio di Oddone di Camerana, era quel Bonifacio, capitano del popolo di Corleone, che insieme a tremila uomini faceva strage di gallicos , infierendo su di loro come se ognuno dovesse vendicare la morte del padre, del fratello, del figlio. E aggiunge Saba Malaspina:iungunt se simul Lombardi de Corillione cum Panormitanis, ad quod etiam illa tota contrata una eodemque spiritus furia concitata concurrit, conflunt omnes sanguinem gallicum sitientes9.

In cambio del soccorso portato prontamente a Palermo i corleonesi chiedevano aiuto per conquistare il castello di Calatamauro, sito nei pressi di Contessa Entellina, dove si erano rifugiati gli angioini, e che costituiva una spina nel fianco per Corleone in quanto probabile rifugio in caso di rinnovate offensive nemiche.

La partecipazione dei lombardi corleonesi alla guerra del Vespro non fu un episodio isolato: nel 1288 infatti, su invito del re Giacomo, Bonifacio ed Obberto di Camerana accorrevano in difesa di Marsala, «con gli uomini di lor terra, sì feroci nel primo scoppio della rivoluzione« a portare rinforzi a Berardo de Ferro, cui era stato affidato il comando10. E fatalmente l’ultimo episodio bellico, così come il primo, vedeva Corleone al centro degli eventi, poiché nel 1302, in seguito allo sbarco di Carlo di Valois presso Termini, Corleone diveniva centro strategico di notevole importanza per la duplice possibilità di comunicare sia con Palermo che con Sciacca.

Ancora una volta si trattò di una partecipazione particolarmente sentita: i corleonesi infatti tesero un’insidia presso la porta settentrionale più vicina al castello superiore e dall’alto delle mura bersagliarono il nemico con pietre e dardi; una donna poi, lanciando un sasso o un mortaio di pietra, uccideva il fratello del duca di Bramante. Questa notizia viene riferita, nella Historia Sicula da Nicolò Speciale, che così descrive l’episodio: atque in eodem conflictu inter alios frater ducis Brahamantis, qui se bello plus aliis ingerebat, iactu lapidis, quem mulier quedam projecit e menibus, inter claustra portarum extinctus est11. A questo proposito l’erudito corleonese Giovanni Colletto narra che «fu dato il nome di via del Mortaio alla strada, dove si apriva la via» e che ai suoi tempi il mortaio era collocato nella sala del Municipio12.

La pace di Caltabellotta, conclusa nell’agosto del 1302, poneva fine a vent’anni di guerra, almeno momentaneamente, poiché il trattato assicurò soltanto una precaria tregua; vent’anni durante i quali si era stretto il sodalizio tra Palermo e Corleone e che avevano visto Corleone in primo piano in tre momenti particolarmente significativi: nel 1282 a Palermo, nel 1287 a Marsala e nel 1302 nel suo stesso territorio.

Le nozze stipulate tra Federico III d’Aragona e la figlia di Carlo II d’Angiò, Eleonora, non riuscirono a consolidare la pace sancita tra i due regni e la guerra riprese nell’agosto del 1313 quando, dopo avere aderito alle istanze di Enrico VII, Federico III per ordine dell’imperatore si accingeva a muovere contro Roberto d’Angiò. E nonostante la morte di Enrico VII ponesse una battuta d’arresto, la proclamazione nel parlamento di Messina del 1314, da parte di Federico III del suo primogenito, Pietro II, ad erede del regno di Sicilia, costituiva una gravissima infrazione al trattato di Caltabellotta, in virtù del quale alla morte del re di Trinacria ai suoi eredi sarebbe stato assegnato un altro regno, poiché la Sicilia era considerata dominio personale di Federico III.

La guerra dunque riprese con alterne vicende ed agli scontri armati si succedettero momenti più o meno lunghi di tregua, a volte rispettata altre volte infranta sia dall’una che dall’altra parte. Corleone fu coinvolta in più occasioni: nel 1316, quando gli angioini si diressero con la loro armata verso Marsala, Salemi e Palermo, le truppe corleonesi combatterono a fianco di quelle palermitane ed il territorio corleonese venne devastato, furono bruciate le messi ed il paese fu ridotto alla fame13 ed una seconda volta nel 1325, quando la flotta angioina al comando del duca di Calabria, primogenito di Roberto d’Angiò, puntò su Palermo. Anche in questa occasione gli angioini non riuscirono ad avere la meglio e a distanza di un mese circa si ritirarono a Marsala e, dopo avere attraversato Risalaimi, Corleone e Salemi, le truppe di terra si riunirono alla flotta14.

A distanza di dieci anni, nel 1335, una spedizione angioina composta da 60 galee e 1000 cavalieri, tra i quali 100 fiorentini, come riferisce Nicolò Speciale, si accingeva a sbarcare a Brucato, sulla costa occidentale siciliana tra Termini e Cefalù15. Ancora una volta Corleone si trova impegnata in prima persona, come si evince indirettamente da un accenno di Michele da Piazza16 e come è testimoniato, con maggiore dovizia di particolari, da una pergamena del Tabulario di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, dalla quale si apprende che il castello superiore di Corleone veniva rifornito di armi e viveri per sei armigeri in occasione dell’adventu  infellicium hostium qui in Sicilia eorum malo omine applicaverunt, ad opera di Pietro de Pontecurono, mercante ed imprenditore di origine lombarda, stabilitosi a Corleone intorno al 1285, proprio gli anni della rivolta del Vespro17. 

Nella pergamena sono descritti in dettaglio l’armamento fornito agli armigeri, i viveri e la durata del periodo di rifornimento; Pietro de Pontecurono infatti aveva fatto portare al castello armi per sei servientes  (consistenti in coracias sex, corgerias sex, capellinas sex, balistas sex, centinaria quadrolorum sex) e 12 salme di frumento, aveva fatto riempire d’acqua la cisterna del castello e soprattutto s’impegnava a consegnare altre armi e vettovaglie qualora fosse stato necessario. I rifornimenti vennero lasciati al castello a disposizione serviencium... a dicto adventu hostium usque quo ipsi infellices hostes eorum malo omine de Sicilia et terre Brocati infeliciter recesserunt.

La morte di Federico III, il 25 giugno del 1337, non poneva fine ai problemi che avevano travagliato il Regno, anzi il continuo ed esasperante stato di guerra con gli angioini aveva messo in evidenza una condizione endemica di lotta strumentalizzata dalla classe feudale, che ogni giorno di più andava dilatando i suoi spazi a danno dell’autorità regia. La situazione non migliorò durante gli anni ‘40 del Trecento, poichè alle guerre esterne si aggiunsero quelle intestine che portarono in alcuni casi a veri e propri episodi di guerra civile.

Il rientro a Palermo di Giovanni Chiaromonte (bandito da Federico III in seguito al ferimento di Francesco Ventimiglia, conte di Geraci) a circa sei mesi dalla morte del re su invito della Magna Curia (che gli restituiva la contea di Modica e condannava il Ventimiglia) e l’allenza con un’altra potente famiglia siciliana, quella dei Palizzi, rientrati in Sicilia dopo lunghi anni di esilio nel 1348 dopo la morte del duca Giovanni, faranno culminare l’insurrezione della città nell’episodio dell’assedio del castello di Vicari; episodio che con il pretesto di una rivolta contro gli stranieri, questa volta i catalani, opponeva fazione a fazione al grido di Morano li Catalani  e Viva  Palici et Claramunti , poichè i sostenitori dei Chiaromonte non sfogavano le loro ire soltanto sui Catalani, ma anche sugli stessi siciliani nemici dei Chiaromonte e fautori del ripristino dell’autorità regia, vero bersaglio della sommossa.

Preludio a questi eventi si devono interpretare i disordini avvenuti a Palermo tra il 1339 ed il ‘40 sollecitati dalla carestia che, seppure endemica in alcune città siciliane come Messina, non aveva ancora assunto toni così allarmanti a Palermo. In effetti tra il 1340 edl 1341 alcuni provvedimenti erano stati presi da Manfredi Chiaromonte, figlio di Giovanni senior, regio siniscalco e capitano di Palermo, che acquistava 600 salme di frumento e vietava (tramite uno dei giurati inviato dall’università e dal pretore) alle terre ed ai casali dell’hinterland  palermitano, tra i quali Corleone, di portare frumento alle spiagge e di esportarlo se non dopo il raccolto ed in ogni caso dopo essersi assicurati del rifornimento della città18. 

Probabilmente alle cause delle sommosse degli anni ‘39-’40 si devono fare risalire gli episodi di guerra civile scoppiati a Corleone tra opposte fazioni, concretizzatisi nell’opposizione del quartiere alto, di fedeltà chiaromontana, a quello basso, episodi documentati in alcuni atti inediti del Senato della città, in uno scambio di lettere tra l’Universitas  di Palermo e quella di Corleone nell’agosto del 134119.

L'ostilità  tra quartieri non era un fatto nuovo né limitato a Corleone, già negli anni trenta del Trecento, si verificava  in altri centri lombardi, come San Fratello e Nicosia, in lotta tra loro per la conquista di una maggiore fetta di potere all’interno dell’amministrazione municipale; a Corleone la rivalità andava al di là degli orizzonti municipalistici, per aderire alla causa chiaromontana ed al partito angioino in opposizione al potere regio sostenuto dai Ventimiglia.

A questo tipo di conflitti si può fare risalire la prima diaspora di lombardi corleonesi verso Palermo, tra il 1333 ed il ‘34, in particolare nel quartiere del Cassaro, il più antico tra quelli palermitani, che proprio in quegli anni cominciava a svuotarsi, perchè i suoi abitanti cercavano scampo verso la campagna come si può leggere tra le righe del privilegio che concedeva la cittadinanza palermitana e i diritti relativi a coloro che avessero ripopolato il quartiere20. 

Il Cassaro non era l’unico quartiere scelto dai corleonesi per trasferirsi e fissare la residenza, infatti la loro presenza si espandeva da un lato verso il Seralcadi e dall’altro verso l’Albergheria. Gli atti della città di Palermo ci testimoniano della vendita di una casa, avvenuta nell’agosto del 1333, da parte di Benvenuta di Corleone, vedova di Giacomo di Corleone, cittadino di Palermo, ad un’altra vedova, Isabella de Barbera; si trattava di una casa terranea,  sita nel quartiere Seralcadi, arricchita da un cortile nel quale si trovavano un forno ed un albero di arance21.

Nel quartiere dell’Albergheria, in contrada ecclesie sancti Iohannis de Tartaris, erano ubicati il fondaco e le case, una coperta e l’altra scoperta, che nel settembre del 1337 il corleonese Guglielmo de Monte Aguto, cittadino di Palermo, e sua moglie Rosa concedevano dietro corresponsione di un censo annuo, ad un loro concittadino il quartararius  Luca de Senisio22; sempre nell'Albergheria si era trasferito da Corleone Giacomo Binelli che, nel maggio del 1342, faceva richiesta della cittadinanza palermitana al pretore di Palermo, il nobile Giovanni Tagliavia, poiché vi aveva fissato la sua residenza insieme alla moglie e cum tota familia23. E d’altro canto la presenza corleonese nel quartiere era già attestata nel 1328 dal notaio  Giovanni de Cisario, che non solo vi abitava, ma era il magister xurte del quartiere, come risulta dall’elenco degli ufficiali della città24.

Non erano soltanto i conflitti interni a spingere i corleonesi a trasferirsi a Palermo ed a richiederne la cittadinanza, ma si può parlare di un vero e proprio fenomeno di pendolarismo tra Corleone e Palermo, poiché se da un lato Corleone rappresentava il centro di produzione agricolo, dall’altro lato Palermo costituiva per i corleonesi il referente cittadino e lo sbocco al mare. Numerosa è la documentazione notarile relativa ad atti di compravendita di derrate alimentari, formaggi, carni e relativo trasporto da Corleone a Palermo, un esempio per tutti il fondaco che Carlino de Nazano, lombardo di Corleone,civis Panormi, gestiva insieme alla moglie Margherita e che riforniva di formaggi e carni salate acquistati a Corleone dal vaccaro Guglielmo de Randazzo (1342)25. A Palermo i lombardi di Corleone mandavano i figli ad imparare un mestiere presso magistri  lombardi, come nel caso di Baiamonte de Crissuta che impiegava il figlio Giacomino, per quattro anni, presso il fabbro, mastro Matteo Lombardo26, o quello di Ricca di Corleone che metteva a servizio il figlio quindicenne Perrono, come bovaro, presso il palermitano Guglielmo di Barbera27. Palermo inoltre era punto di transito e d’incontro di lombardi provenienti dalle altre terre lombarde di Sicilia, come Nicosia, Aidone e Piazza.

Nell’agosto del 1341 uno scambio di lettere tra l’Universitas di Palermo e Corleone testimonia la presenza di un focolaio di guerra tra gli abitanti; in una prima lettera inviata al baiulo, ai giudici, ai giurati ed agli uomini di Corleone, si rendeva noto che era giunta fama  di un detestabilis furoris  e che cotidie bellum civile preparare e pertanto si comunicava che il capitano della città, il magnifico et egregio domino Manfrido comite Claromonte regni Sicilie senescalco ac iusticiario, aveva deciso di inviare come nuncium specialem  il miles Abbo Barresi, probabilmente per verificare la veridicità della notizia28. Con un'altra lettera Manfredi Chiaromonte comunicava al re, Pietro II, che i corleonesi cotidie adversus se ipsos invicem bellum detestabile peragebant e la decisione di inviare il miles Abbo Barresi a far da paciere29. Il 23 agosto il capitano di Corleone, il miles  Riccardo de Manuele di Trapani, faceva presente che i corleonesi non desistevano dai loro eccessi e che si temeva che la sommossa si potesse estendere aliis terris proximis con esito ruynosum, dal momento che la missione del nobile Abba Barresi, inviato per riportarli ad una situazione di pacifico statu, aveva avuto esito negativo30. A seguito di questa comunicazione l'Universitas di Palermo consigliava al re, con un’altra lettera, di disinteressarsi della questione fintantoché i corleonesi avessero perseverato nella loro fatua presumpcione31.

Quale fosse stato l'atteggiamento assunto dal re, relativamente a questi fatti, e quale la conclusione di questi eventi, che costituivano materiam scandali, non c'è dato sapere, né i documenti sono più espliciti sulle cause di questa rivolta; possiamo però avanzare l’ipotesi  che i motivi  non fossero riposti soltanto in problemi a carattere locale o di tipo municipalistico, ma fossero di portata ben più ampia, se il capitano di Corleone, temeva che la rivolta si potesse propagare ad altri centri prossimi, forse quegli stessi - Prizzi, Cammarata, Ciminna e Castronovo - ai quali qualche anno più tardi si rivolgeranno i Chiaromonte nel richiedere aiuti nella lotta contro i Catalani. 

E la fatua presumpcione che in quel momento istigava alla rivolta e dalla quale veniva messo in guardia il re, non era spia di una precisa presa di posizione a favore dei Chiaromonte e contro il potere regio?

La fedeltà corleonese alla causa chiaromontana si rinnovava infatti a distanza di qualche anno, nel 1348, con l’adesione alla parzialità latina  cui facevano capo anche i Palizzi, appena rientrati dall’esilio dopo la morte del duca Giovanni, di contro alla parzialità catalana, raccolta intorno a Blasco d’Alagona; e non si trattava di una ribellione contro lo straniero, di un altro Vespro, questa volta anticatalano, ma di una  guerra civile che opponeva ai sostenitori dell’autorità delle grandi famiglie, quelli dell’autorità regia, messa in crisi dalla morte del duca Giovanni e dalla giovane età di Ludovico.

Di nuovo la rivolta palermitana si diffondeva a macchia d’olio coinvolgendo i centri del Val di Mazara, Prizzi, Castronovo, Cammarata, Ciminna, oltre naturalmente Corleone, poichè uno degli episodi più rilevanti  riguardava il castello di Vicari, dove si erano asserragliati i catalani che erano riusciti a sottrarsi con la fuga all’impeto dei palermitani. La vicenda è ampiamente documentata negli atti della città, dai quali traspare però un atteggiamento ambiguo nell’apportare aiuti, come del resto dimostrano le reiterate richieste da parte dell’Universitas. Ma seguiamo l’evolversi dei fatti fin dalle prime battute: il 12 febbraio del 1349 l’universitas  di Palermo scriveva a quella di Corleone perchè fossero inviati in aiuto al castello ed alla terra di Vicari, assediati dai catalani, 15 cavalieri e 30 fanti; la stessa richiesta veniva rivolta il 15 maggio a Corleone, a Castronovo e a Cammarata32. Non avendo avuto alcun riscontro il 2 ed il 9 giugno ed il 9 luglio lettere più perentorie venivano inviate a Corleone e agli altri centri, tra i quali questa volta anche Prizzi e Ciminna, e si giungeva anche a minacciare rappresaglie in caso di inadempimento33.

Sulla vicenda cadeva il silenzio sino al 6 ottobre, quando gli aiuti venivano sollecitati questa volta in soccorso del castello di Cefalà34. Non si sa se alla fine i fanti e i cavalieri fossero stati mandati dai centri del Val di Mazara, si sa invece che Manfredi Chiaromonte inviava a Corleone 10 balestrieri genovesi, in subsidium regiorum fidelium superioris capitanei dicte terre, ad confusionem hostium male eorum omnium degentium tunc in capite inferiori35.

Probabilmente il riaccendersi di focolai di guerra tra il quartiere superiore e quello inferiore, tra la fazione chiaromontana e quella regia, era una delle cause del ritardo nell’aderire all’invio di aiuti da parte dei corleonesi, impegnati a risolvere tali contrasti e soccorsi a loro volta dai balestrieri genovesi.

Capitano delle truppe palermitane all’assedio di Vicari era il lombardo corleonese Gandolfo de Pontecorono, che nell’anno successivo ricoprirà la carica di pretor urbis Panormi36, la più alta nell’ambito dell’amministrazione cittadina, già occupata nel 1329 da un altro membro della famiglia: Guglielmo. Le vicende dei Pontecorono sono emblematiche degli intensi rapporti tra i lombardi di Corleone e Palermo e dell'intensificarsi dei nessi politici in due momenti particolarmente significativi della storia del Regno. 

Originari di Pontecurone, nei pressi di Tortona (provincia di Alessandria), i Pontecorono costituiscono un caso particolare nella tipologia delle famiglie lombarde trasferitesi a Corleone, perchè i loro iniziali commerci erano legati al mare più che all’hinterland agricolo. La prima notizia, intorno agli anni del Vespro, ci informa dei rapporti commerciali intrattenuti, tra Corleone e la Toscana, da un certo Bertolino de Coriliono, habitator Pisarum, giunto in Sicilia, non solode suis mercimoniis pertractandis... ut mercator, ma anche a compiere atti di pirateria nel Canale di Sicilia, in mari Pantalarie, a capo di una galea armata de gente Pisanorum37.

Intorno ai primi anni del Trecento avveniva il definitivo trasferimento a Corleone con  Pietro, homo novus  della famiglia, che spostava gli interessi economici dal mare alla terra e, attraverso un'abile politica d’investimenti finanziari, nell'acquisto di beni, urbani ed extraurbani -case, vigne, mulini-, legava il suo destino e quello familiare alla città e ad un quartiere, quello di San Giuliano, dove era ubicato il palazzo di famiglia, l’hospicium magnum, e dove possedeva più di cinquanta immobili38.

Attraverso le consuete vie di consolidamento delle risorse economiche, da mercante ed usuraio, Pietro, si inseriva nella gestione politica di Corleone, trovandovi una precisa collocazione. Per due trienni (1324-26/1334-37) ricopriva la carica di giudice, raccoglieva i fondi per la ricostruzione del ponte di San Marco, in qualità di sindicus et procurator, su incarico dell’Universitas di Corleone39 e partecipava attivamente agli avvenimenti politici quando, in occasione della conquista angioina di Brucato, riforniva il castello superiore di Corleone di armi e viveri40. La sua escalation sociale nell’ambito della comunità corleonese emerge anche dai termini con i quali è designato nelle carte notarili: syr, discretus vir, che ci testimoniano della reputazione della quale godeva, ma il salto di qualità e l’incardinamento a Palermo avveniva con Gandolfo. Notaio e giudice a Corleone, tra il 1323 ed il 1331, Gandolfo, divenuto miles, approdava a Palermo, dove la sua dichiarata fedeltà ai Chiaromonte ed alla parzialità latina, in occasione del Vespro anticatalano, gli procuravano nel 1349 la nomina a capitano delle truppe palermitane in difesa del castello di Vicari e nel 1351 l’incarico prestigioso di regius pretor felicis urbis Panormi.

In qualità di pretor Gandolfo continuerà ad avere un ruolo attivo nei rapporti con Corleone ed a sostenere l’interesse dei corleonesi a Palermo, come emerge dagli atti del Senato di questi anni, dai quali risulta come, tra le altre, avesse perorato la causa del genero, Gugliotta de Craiatore, accanito sostenitore dei catalani, in una disputa contro Giovanni de Avisali di Corleone, fautore dei Chiaromonte, dimostrando come la sua appartenenza alla fazione chiaromontana non gli impedisse di difendere gli interessi dei corleonesi e dei familiari41.

Si profila così l’appartenenza ad opposte fazioni nell’ambito della stessa famiglia e Corleone si offre nella contrapposizione tra quartiere alto, di fedeltà chiaromontana, a quello basso, fedele al re, come un microcosmo nel quale si riflettono conflitti di più ampio respiro tra i sostenitori del rientro della Sicilia nella sfera d’influenza angioina e quelli dell’autorità regia, che tornava ad appoggiarsi alla parzialità catalana per restare fedele all’ideale dell’indipendenza.

Nell’ottobre del 1353 la rivolta anticatalana si spegneva e le parti stremate dalla fame giungevano ad una tregua e ad un successivo accordo. La conclusione di questa vicenda vedeva Corleone, almeno nella sua parte chiaromontana, allontanarsi da quegli ideali del Vespro che l’avevano vista insorgere per prima accanto a Palermo contro lo straniero.

La storia di Corleone continuerà a ruotare negli anni a venire nell’orbita della politica dei Chiaromonte, coinvolta com’è con le vicende personali di questa famiglia, anche se è difficile trovarne tracce nella memoria collettiva, poiché dal 1351 la documentazione della città di Palermo tace per riprendere, nel 1392, con l’arrivo dei Martini.

E in questo vuoto documentario si riflette la condanna all’oblio, da parte del duca di Montblanc, di tutto quanto concerne le scelte politiche delle grandi famiglie siciliane negli anni del Vicariato ed anche sulle vicende di Corleone in questi anni cala il sipario.

  

  

  


* Edito in Corleone. L'identità ritrovata, a cura di A. G. Marchese, Milano 2001, pp. 26-37.

1 U. FALCANDO, Historia o Liber de Regno Sicilie, a cura di G. B. Siragusa, Roma 1897, p. 155.

2  J. L. A. HUILLARD-BREHOLLES, Historia diplomatica Friderici secundi, t. V, pars I, p. 128.

3 Ivi, p. 129.

4 HUILLARD-BREHOLLES, Historia diplomatica cit., t. VI, 2, p. 696.

5 A.S.Pa. Tabulario di Santa Maria del Bosco di Calatamauro (d’ora in poi Tab. S.ta M.B.C.) perg.1, pubblicata parzialmente e in data 1263 da G. BATTAGLIA, Diplomi inediti, in Documenti per servire alla Storia di Sicilia, Palermo 1896, I serie, vol. XVI, fasc. I, parte I, pp. 191-192; interamente edita nell’appendice di un mio precedente saggio su Una famiglia “lombarda” a Corleone nell’età del Vespro, in Mediterraneo Medievale. Scritti in onore di Francesco Giunta, a c. del Centro di Studi tardoantichi e medievali di Altomonte, Soveria Mannelli 1989, vol. III, pp. 913-952. Sull’insediamento di nuclei lombardi a Corleone si veda I. PERI, Uomini, città e campagne in Sicilia dall’XI al XIII secolo, Bari 1978, pp. 148-49 e p. 312 n. 5.

6  ASPa., Tab. S.ta M.B.C., Guglielmo di Alessandria perg.49; Saymus barberius de Alexandria perg. 54; Enrico de Alexandria pergg. 100, 103; Musso de Alexandria perg. 108; Giovanni de Alexandria pergg. 129, 205; Princivali de Alexandria perg. 210; Anselmo de Alexandria perg. 202; Francesco Grasso di Alessandria pergg. 223, 225. ASPa., NOTAI DEFUNTI, notaio Salerno de Peregrino, reg.2, f. 36r. Obberto de Alexandria di Corleone. ASPa., Tab. S.ta M.B.C., Giacomo de Salis  pergg. 102, 204; Gubbiernerius de Salis  perg. 207; ASPa., N.D., notaio Salerno de Peregrino, reg.3, f. 21r. Guglielmo de Salis, lombardo; Acta Curiae Felicis Urbis Panormi, Registri di Lettere Gabelle e Petizioni, a cura di F. POLLACI NUCCIO e D. GNOFFO, I, Palermo 1982, notarius Bondius de Salis p.31.

Sulle origini e le vicende familiari dei Pontecorono si vedano alcuni miei saggi: Una famiglia “lombarda” cit.; La borsa di un usuraio: Pietro de Pontecorono mercante corleonese, in Aspetti e Momenti di Storia della Sicilia (sec.IX-XIX),  Palermo 1989, pp. 65-78; inoltre per quanto riguarda le proprietà fondiarie: Strutture urbane e società a Corleone nel XIV secolo, in LA MEMORIA, 7, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, 1993, pp. 75-95; ASPa., Tab. S.ta M.B.C., Anselmo de Vultaggio pergg. 159, 241; Obberto de Ponzono pergg. 108, 135, 142, 237 e 239; mastro Rofino de Ponzono perg. 525; Facio de Ceva perg. 158; Guglielmo de Ceva perg.175; ASPa., N.D., notaio Salerno de Peregrino, reg. 5, f. 118v. Gilberto de Ceva; Raimondo de Monte de Vi perg. 49; Guglielmo de Monte de Vi perg. 216; Giordano de Alba perg. 18; Francesco de Alba pellipario, perg. 142; Acta Curiae Felicis Urbis Panormi, Registri di Lettere (1321-22 e 1335-36), 6, a cura di L. SCIASCIA, Palermo 1987, Pagano Longo de Caramagna de Coriliono, doc. 165, p. 279; ASPa., Tab. S.ta M.B.C., Sullo de Coronato, notaio, perg. 138; Guglielmo de Coconato, notaio, perg. 201; Aycardo de Monferato, perg. 86.

7 G. COLLETTO, Storia della città di Corleone, Siracusa 1934, p. 46.

8 Ivi, pp. 47-52.

9 Historiae Sabae Malaspinae, continuatio ab anno MCCLXXVI ad MCCLXXXV, in Bibliotheca scriptorum cui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, a cura di R. GREGORIO, II, Palermo MDCCXCII, pp. 357-358.

10 M. AMARI, La guerra  del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, I, p.421.

11 N. SPECIALE, Historia Sicula, in Bibliotheca scriptorum cit., I, libro VI, cap. VIII, p. 447. Nell’anonimo Chronicon Siculum, in Bibliotheca  cit., II, cap. 70, p. 180, si parla dell’assedio di Corleone, ma non dell’intervento femminile: Et euntes ad terram Corilioni, obsiderunt eam, et tenuerunt eam obsessam diebus XVIII infra quos proeliaverunt pluries  terram ipsam acriter, et in uno ex dictis proeliis interemtus fuit ab hominibus ipsius terrae Corilioni inter alios Dominus... qui erat de dicto esercitu dicti Regis Caroli, completis dictis XVIII diebus, multum ignominiose recesserunt de dicta terra Corilioni, et iverunt abinde ad dictam terram Saccae...

12 COLLETTO, Storia della città cit., p. 70.

13 R. GREGORIO, Considerazioni sopra la Storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti, ristampa, introduzione di A.Saitta, Palermo 1972-73, libro IV, cap.I.

14 I. PERI, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne 1282/1376, Bari 1990, p. 98.

15 SPECIALE, Historia sicula, in Bibliotheca cit., libro VIII, cap. VI, p. 502.

16 M. DA PIAZZA, Historia Sicula, in Bibliotheca cit., I, pars I, cap. XV, pp. 544-45.

17 A..S.P., Tab.S.ta M.B.C., perg. 234 edita da H. BRESC in Brucato, Histoire et archéologie d’un habitat médiéval en Sicile, sous la direction de J. M. Pesez, Collection de l’Ecole Francaise de Rome-78, Rome 1984, pp. 82-83; sulla conquista di Brucato da parte degli Angioini si leggano le pp.52-55.  

18 PERI, La Sicilia cit., p.160.

19 Archivio del Comune di Palermo, Atti del Senato, vol. XIII, docc. inediti 85, 86, 88, 92, 93.

20 M. DE VIO, Felicis et fidelissimae urbis panormitanae privilegia, Palermo MDCCVI, p. 138.

21 M. S. GUCCIONE, Le imbreviature del notaio Bartolomeo de Alamanna a Palermo (1332-33), Roma 1982, doc. 355, pp. 501-03.

22 A.S.Pa., N. D., notaio Salerno de Peregrino, reg.4, f. 49 r.-v.

23 A.C.Pa., Atti del Senato, vol.XIII,  ff.69r.-70v.

24 Acta Curiae Felicis Urbis Panormi, Registri di Lettere ed atti (1328-1333), 5, a cura di P. CORRAO, Palermo 1986, doc. I p. 4, e doc. 5 pp. 9-17. Inoltre su Giovanni Sizario e sull’alterco col miles Giovanni Aiello si leggano le pp. XXVII-XXIX dell’introduzione e n. 28, p. XXIX.2.

25 ASPa., N.D., notaio Salerno de Peregrino, reg. 3, ff. 38v.-39r., la spesa ammontava ad 11 oz. e 10 tr. che Carlino si impegnava a pagare entro il mese di marzo. Il documento è datato 7 settembre 1342.

 26  A.S.P., N.D., notaio Salerno de Peregrino, reg.5, f.116r.

27 GUCCIONE, Le imbreviature cit., doc. 356, pp. 503-504. Il compenso per un anno era di 26 tr. e 3 tumuli di frumento al mese, oltre ai vestiti che, nel doc., vengono specificati in dettaglio. Il doc. è datato 17 agosto 1333.

28 A.C.Pa., Atti del Senato, vol. XIII, doc. 85.

29 Ivi, doc. 86.

30 Ivi, doc. 92.

31 Ivi, doc. 93.

32 ACTA CURIAE FELICIS URBIS PANORMI, Registri di Lettere (1348-49 e 1350), 8, a cura  di C. Bilello e A. Massa, introduzione di L. Sciascia, Palermo 1993, docc. 78, 135, 136, 137.

33 Ivi, docc. 145, 146, 147, 155, 176, 177, 178, 179.

34 Ivi, doc. 232.

35 Ivi, doc. 272.

36 Ivi, docc. 89, 90.

37 Relativamente ai Pontecurono si veda il mio saggio: Una famiglia "lombarda" cit., in particolare p. 919.

38 Su Pietro de Pontecorono oltre al già citato saggio si veda MIRAZITA, La borsa di un usuraio: Pietro de Pontecorono cit.; inoltre relativamente ai beni urbani ed extraurbani: EAD., Strutture urbane e società cit., pp. 75-95.

39 MIRAZITA, Siciliani e lombardi cit., p. 109.

40 Cfr. nota 17.

41 ACTA CURIAE cit., 8, doc. 91.

  

  

©2004 Iris Mirazita

  

 


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