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di IRIS MIRAZITA*

 

Dopo avere studiato la formazione del cognome a Palermo alla fine del ‘200 e più precisamente dopo il 1282, periodo di tempo di particolare interesse, e per gli eventi politici che coinvolsero oltre i regnicoli, angioini e aragonesi per circa cento anni, e per la formazione di una coscienza siciliana, la ricerca si propone di indagare sulla stabilità del cognome e sulla sua trasmissione, attraverso lo studio della prosopografia, insistendo sull’ereditarietà dei cognomi e, laddove sia possibile, anche dei nomi, cercando di stabilire nell’arco di più generazioni, l’esistenza di uno stock onomastico familiare, allargando l’ampiezza del ventaglio cronologico fino al 1350.

è nostra intenzione continuare l’indagine iniziata nella precedente ricerca1 partendo da una documentazione diversa per tipologia, cioè dai Registri di Lettere dell’Università di Palermo, dei quali sono stati pubblicati sette volumi, dal 1274 al 1350, nella collana degli Acta Curie Felicis Urbis Panormi2, seguire le vicende prosopografiche di alcune famiglie palermitane della “aristocrazia urbana” e di quella che potremmo chiamare “aristocrazia del denaro” che, affermatesi durante la rivoluzione del Vespro, hanno continuato a tessere i fili della politica cittadina occupando i posti chiave nell’amministrazione della cosa pubblica nel cinquantennio successivo, ed effettuare sondaggi nei due volumi dei registri notarili del notaio Adamo de Citella (I,1286-87; II,1298-99)3 nel registro del notaio Bartolomeo de Alamanna (1332-1333)4 e nel registro del conto del tesoriere, notaio Bartolomeo Nini (1345)5, che interessano all’incirca lo stesso arco cronologico.

Nonostante la quantità di documentazione edita consenta di indagare in senso diacronico, da un primo sondaggio su un ristretto numero di famiglie, sembra che non si possa andare al di là di due generazioni e che i dati si espandano in senso orizzontale; riguardo quindi l’ereditarietà dello stock onomastico è piuttosto esigua e non probante l’analisi di due generazioni; alcuni esempi possono essere chiarificatori in tal senso.

Nel caso della famiglia De Mayda, i cui componenti sono numerosi (Matheus, Senator, Thomasius, Iohannes, Nicolaus, Raynerius, Marcus e Iacoba), primeggia fra tutti per l’importanza del ruolo svolto e di conseguenza per il numero di volte in cui lo riscontriamo il miles Senator de Mayda , iuris civilis professor, baiulus  e poi pretor felicis urbis Panormi(+1329)6, è evidente che il cognome è ormai stabile per i vari membri della famiglia, ma non si può verificare l’esistenza di una tradizione onomastica familiare perché i personaggi cui si è fatto cenno appartengono alla stessa generazione. Analoga situazione si ripete per altre due famiglie, i de Milite, provenienti dai feudi sulle Madonie, (Albertus, Iohannes, Raynaldus, Guillelmus, Symon, Vitalis, Vinchius ) ed i Pipitono (Andreas, Matheus, Nicolaus, Iaymonus, Bertinus, Conradus, Iohannes ); per i de Caltagerono si verifica invece l’altra tipologia: di questa famiglia abbiamo notizie per due generazioni e padre e figlio portano lo stesso nome Iohannes maior o senior e Iohannes iunior.

Si tratta di famiglie di milites, la cui formazione risale all’età sveva, sarà Manfredi infatti a concedere il cingolo militare ai Pipitono, milites che costituiscono un gruppo di potere all’interno della città e partecipano a vario titolo alla sua vita politica ricoprendo cariche diverse, da quella di giurato, come nel caso di Vitalis de Milite, iudex , giurato del quartiere del Cassero e Andreas Pipitono, giudice della Corte pretoriana e giurato del quartiere del Seralcadio, a quella più prestigiosa di pretor, carica che dal Vespro in poi sarà sempre assegnata ad un miles come nel caso di Senator de Mayda, Iohannes de Calvellis senior, Matheus e Nicolaus Pipitonus, Albertus de Milite, la cui decadenza avrà inizio con l’assedio di Palermo da parte degli angioini (1325), per l’ingombrante presenza dei Chiaromonte.

All’età sveva, precisamente al 1255, risalgono le prime notizie dei Maletta, famiglia di rango di gran lunga superiore a quelle trattate fin qui, ma che presenta un significativo collegamento di tipo matrimoniale con una di queste, i de Calvellis , tramite l’ultimo rappresentante di cui abbiamo notizie. In effetti quella dei Maletta è una famiglia atipica rispetto a quelle considerate, sia perchè si tratta di grande feudalità, sono familiares del re, imparentati attraverso la madre Bianca Lancia, sia perché i loro possedimenti sono dislocati in tutto il regno, Principato, Calabria, Basilicata e Puglia, anche se il nucleo del loro dominio era in Sicilia, «che rappresentò il centro di irradiazione del loro potere feudale»7.

La presenza però di Matteo Maletta, figlio naturale di Manfredi poi legittimato, nei registri degli Acta Curie e in quelli notarili già menzionati, e le sue nozze con Florencia de Calvellis, figlia del miles Giovanni, spinge a indagare a ritroso in altra documentazione8 e a rinvenire così la testimonianza del perpetuarsi dell’onomastica, sia maschile che femminile, all’interno della famiglia. Infatti se ripercorriamo con lo sguardo l’albero genealogico dei Maletta si nota che il nome di Federico, il maggiore dei due fratelli Maletta, probabilmente zii materni del re Manfredi, l’altro, minore d’età ma di maggior prestigio è Manfredi, viene ripreso nelle due generazioni successive: Manfredi infatti chiamerà Federico il suo primogenito, nato dalle nozze con Filippa d’Antiochia, e così pure un altro suo figlio, Giovanni Maczoctus, darà al suo unico erede maschio il nome dello zio.

Analogamente accade per Isabella, signora di Caccamo, sorella di Federico e Manfredi, il cui nome viene dato da ciascuno dei due fratelli e dal figlio di Manfredi Federico ad una delle figlie. Similmente nella famiglia de Calvellis, si verifica una ripetizione dei nomi di battesimo, sia maschili che femminili, infatti dal testamento del nobilis dominus Giovanni de Calvellis senior veniamo a conoscenza dell’omonimia con il figlio Giovanni iunior, padre a sua volta di Giovannuccio, e apprendiamo che la figlia Beatrice, moglie del nobilis dominus Matteo de Sclafano, porta il nome della nonna paterna9.

Anche per i Filangeri si tratta di una famiglia appartenente al baronaggio filomanfrediano, per le cui vicende si deve fare riferimento, così come per i Maletta, alle pagine dedicate loro da Pispisa nel suo studio sul Regno di Manfredi10, qui è importante soltanto sottolineare la presenza del nome Riccardo nell’onomastica familiare, che ritorna nella nostra documentazione con un Riccardo, padre di Riccardello, che, alla morte del padre, passa sotto la tutela dello zio, il nobilis dominus Guido; fra gli altri esponenti della famiglia, la sorella di Guido e Riccardo, Bella ed il nobilis dominus Iordanus.

Una nota a margine nell’ambito della trasmissione del cognome meritano le donne, che appaiono citate sempre in funzione dei rapporti di parentela con gli elementi maschili della famiglia, come mogli, vedove, madri, figlie, tranne in alcuni casi nei quali vengono nominate con nome e cognome; accade così per domina Bella Filangeri, creditrice del defunto fratello Riccardo; per domina Agatha de Milite e domina Perna de Milite; per Costancia de Claromonte, per Aloisia Maletta e Aloisia de Tallavia. Ciò avviene non soltanto nelle famiglie di un elevato livello sociale, anche se vi sono delle eccezioni come per Allegranza, figlia del miles Branca Frumentinus, detta filia quondam, o per Albamonte de Murra, citata appunto come nobilis domina relicta quondam domini Andree de Murra militis, ma anche ad altri livelli sociali come nel caso di Costanza de Principatu e di Contissa de Citella.    

Dall’analisi dei 378 atti rogati dal notaio Bartolomeo de Alamanna, dal 9 settembre del 1332 al 31 agosto 1333, emerge un cospicuo numero di notai, circa 77, sia in veste di rogatari di atti notarili che di testimoni di altri rogiti; numero che non deve meravigliare poichè sappiamo che tra il 1300 ed il 1377 a Palermo erano presenti circa 506 notai, dei quali 86 esercitavano l’ufficio di notaio, anche se purtroppo soltanto di 28 di essi si conservano, presso l’Archivio di Stato di Palermo, registri o spezzoni di registri.

Non è facile dare ai notai una connotazione precisa all’interno della società siciliana, perché, come ha ben rilevato Bresc nei suoi studi sul notariato, esso «si presenta dalle origini come un mondo complesso ed ambiguo: legami con i ceti inferiori della nobiltà, apertura all’ascesa sociale di elementi modesti, tradizione indigena ed immigrazione. La sua unità proviene, oltre che dalla funzione collettiva di registrazione e conservazione degli atti giuridici, dalla comune cultura giuridica che apre ai notai eccezionali possibilità di arricchimento ed autorità: la stessa mobilità sociale ha probabilmente impedito al notariato di rimenere un gruppo chiuso, ma i notai non hanno saputo approfittare al meglio delle potenzialità aperte nella struttura della società siciliana»11. Se dunque non si riesce a definire la classe sociale alla quale il notariato appartiene se non con una generica collocazione “mediana”, un elemento caratterizzante è costituito dalla ricchezza, che crea delle distinzioni sociali anche all’interno della stessa categoria.

Certamente ad una fascia alta appartengono i de Citella, presenti nella nostra documentazione con tre personaggi:Bartholomeus notarius et iudex, Henricus e Iacobus, notai sicuramente per tre generazioni, e forse anche per quattro, dalla fine del XIII secolo con il capostipite Adamo, fino al 1354 circa con il notaio Iacobus12.

Le notizie, invero scarse, sulla famiglia de Citella e la ricostruzione prosopografica, che è stato possibile effettuare attraverso l’analisi degli atti rogati sia dal notaio Bartolomeo de Alamanna che da altri notai, tra i quali gli stessi de Citella, ci forniscono dati preziosi ai fini della nostra indagine antroponimica. Originari dalla Toscana giungono in Sicilia, in età angioina, probabilmente attraverso la Basilicata, precisamente da Melfi come attesta il cognome originario riscontrato in un atto redatto dallo stesso Adamo de Citella, nel quale viene menzionato un Bartholomeus de Citella de Melfia, in qualità di testimone13. Adamo, la cui data di nascita è collocata dal Burgarella intorno al 1246-47, aveva ottenuto la conferma alla carica di pubblico notaio della città di Palermo, già tenuta durante il regno di Carlo d’Angiò, da Pietro III nel 1282, l’avere perciò fissato la residenza a Palermo rendeva inutile il reiterarsi del toponimo, de Melfia, nel cognome.

Insieme a lui nell’esercizio della professione ed eredi della clientela paterna troviamo i figli Bartolomeo e Nicolò, gli altri due, Rinaldo e Giovanni, non sono citati come notari; ancora notai nella generazione successiva sono i figli di Bartolomeo, Enrico e Francesco detto Chicco, e così pure il notarius Rogerius (+1348) ed il notarius Iacobus (+1357), probabilmente nipoti di Bartolomeo, ma si ignora se siano figli di Francesco o di Enrico, del quale invece si conosce il nome della figlia: Allegranza. Come emerge da quanto detto non vi è all’interno della famiglia de Citella una tradizione onomastica, infatti per nessuno dei suoi membri viene riproposto il nome dell’avo; unica eccezione, della quale però non vi è alcuna certezza relativamente al rapporto di parentela, un Adamo speciarius, con ogni probabilità figlio di Contissa Citella e nipote di Adamo.

Alla stessa fascia socio-economica appartiene certamente un’altra famiglia di notai, i de Peregrino, legati da saldi rapporti di affari ai de Citella, dei quali abbiamo notizie per più generazioni; del capostipite Salerno direttamente dalla documentazione del notaio Bartolomeo de Alamanna, dei suoi discendenti diretti, il figlio Perrono ed il nipote Tommaso, figlio di un altro figlio Bartucio, che non seguì nella professione la tradizione familiare, attraverso altre fonti notarili. Anche nella famiglia dei notai de Menna due fratelli Enrico ed Andrea esercitano la professione del padre Lorenzo nella prima metà del Trecento, così come Nicolaus Turrichola, figlio del defunto Guglielmo notaio de Turrichola, il notaio Matteo de notario Iohanne, Pagano de notario Vergilio, per i quali l’ereditarietà della professione è ribadita anche nel cognome. 

Non è raro trovare altri casi di fratelli all’interno del ceto notarile che fanno supporre più generazioni di notai, anche se non ne riscontriamo i nomi nella documentazione presa in esame, considerata la tendenza a riproporre la professione all’interno dei nuclei familiari; è il caso dei notai Albaneto: Manfridus e Robbertus, ci sono anche un giudice Philippus, un magister Robertus ed un clericus Stephanus, di questi ultimi però non conosciamo i rapporti di parentela nè tra loro nè con i due notai; dei due fratelli Crisafi, Bartucio ed Enrico, notai de Messana; di Manfredi de domino Bonaccurso e di suo fratello Bartolomeo, figli del siri Martino de domino Bonaccurso; dei due fratelli Mastrangelo (de Magistro Angelo) Federico e Perrono. Per alcune famiglie notarili sono menzionati i nomi di più rappresentanti anche se non è espresso il vincolo di parentela che li lega: è questo il caso dei Pipitono: Andrea, Corrado e Robberto; degli Ecclesiastico: Vitale e Filippo: dei Principato: Fazio e Giacomo; dei Pani e Vino: Guglielmo e Matteo; per altri il cui cognome è un patronimico, come de Marco, de Gerardo, de Iacobo, de Iordano, de Leonardo, de Leone, de Robberto, per citarne alcuni, o un topononimo come nel caso di Iohannes de Cathania dictus Fancellus, Lucas de Marsalia, Iohannes de Trapano, non si possono azzardare parentele.

Molte e più numerose rispetto a quelle citate sono le famiglie delle quali conosciamo il nome di un unico componente e pertanto non possiamo servircene per un’indagine prosopografica al fine di verificare la persistenza ovvero la trasmisssione del cognome nel corso di più generazioni; vogliamo però citare alcuni casi particolari, degni di riflessione e, per motivi di completezza, fornire un elenco a parte. Numerosi sono i notai provenienti da Messina; tra questi i due fratelli Crisafi: Barthucius ed Henricus notarius de Messana, come è detto nel testo, Stephanus de Amato notarius de Messana, Iohannes Paulillus de Messana, Nicolaus Ursone de Messana e Raynerius Valiano de Messana, per citarne alcuni; anche fra i notai alcuni sono indicati oltre che con il cognome con un soprannome che sostituisce a volte il cognome, per es. notarius Iohannes de Cathania Fancellus o anche de Fancello; mentre altre volte il cognome cambia completamente come nel caso di Nicolaus de Monte Sancti Iohannis alias dicto Manianti de Piperno.

Anche per elementi appartenenti ad altri strati sociali a volte il soprannome diventa quasi cognome di famiglia, come nel caso di Symon de Alanzano (de Aranzano, de Lanzano) dictus de Berricterio, mercante di una certa caratura, e di suo fratello Iacobinus, anch’egli dictus de Berricterio, citati in modi diversi come de Alanzano, de Alanzano dictus de Berricterio o più semplicemente de Berricterio.

All’interno della composizione di alcune famiglie di notai bisogna mettere in evidenza la presenza di giudici e imprenditori che, attraverso una mirata diversificazione di attività ed un’abile strategia matrimoniale, riusciranno talvolta a raggiungere la dignità della militia ed a porsi accanto alle famiglie della nobiltà civica, quando non riusciranno a soppiantarle. Alcuni esempi: nella famiglia Albaneto abbiamo rilevato la presenza di due notai, Manfridus e Robbertus, e di un iudex Philippus; gli Afflitto annoverano tra i loro esponenti due giudici: Antonius e Bartholomeus; tra i Butera un notarius Gualterius ed un miles Gualterius; tra i de Citella Bartholomeus è notaio e giudice, così come Petrus de Deumiludedi; anche i de Marco annoverano un Philippus notarius e il dominus miles Symon pretor (la più alta carica cittadina), tra i de Sergio due giudici Matheus e Saladinus, e tra i de Milite un Vitalis iudex ed un miles Albertus.

Emblematiche a questo proposito le vicende dei Carastono (di origine araba, qarastun è il peso della bilancia) tra i quali sono presenti giudici e notai, almeno dieci, e la cui fortuna è legata ad attività imprenditoriali, quali quella della canna da zucchero, e ad attività finanziarie, quali la gestione delle gabelle. Oltre al giudice Homodeus, primo dottore in legge della famiglia e avvocato della Gran Corte (1341-46), figlio di Iacobus, e al notarius Philippus, figlio del giudice Ruggero, citati nella nostra documentazione, bisogna ricordare il giudice Giovanni, padre del notaio Nicola (II), anch’egli giurista e giudice della Gran Corte nel 1351, ed i notai Omodeo, Simone, Giacomo, Giovanni, Nicola (I), Pietro, Enrico e Filippo (II)14. 

Un numero esiguo di cognomi al plurale emerge dalla nostra documentazione senza alcuna distinzione sociale; tra essi infatti riscontriamo il notarius Franciscus de Arenis, il campsor Franciscus de Astrictis, il comitus Guillelmus de Guerchiis ed i milites Gambinus de Thetis e Petrus de Missinellis detto anche de Missinello.

Dall’analisi degli atti rogati dal notaio Bartolomeo de Alamanna emerge una società alquanto composita nella Palermo del primo trentennio del Trecento sia per l’aspetto sociale, che per la provenienza geografica, come del resto avevamo avuto modo di constatare dalla documentazione del notaio Adamo de Citella, provenienza geografica che si rifletteva e si riflette tuttora, a distanza di 50 anni circa nell’antroponimia.

Moltissimi sono i cognomi derivanti da toponimi e quelli patronimici, che non si possono utilizzare per la nostra indagine, poiché non sono indicativi per la formazione del cognome, né tantomeno per ipotizzarne la trasmissione, a meno che il rapporto di parentela non sia chiaramente espresso nel testo del documento, come avviene per Symon de Modina, filius quondam Oddonis de Modina, Matheus de Montealbano, filius Gerardi de Montealbano pecorarii, Robbertus de Monteleonis, magister cirorgicus, filius Iohannis de Monteleonis magistri medici, Nicolaus de Pisano, filius Mathei Pisani, Guillelmus de Policio, filius quondam Guillelmi de Policio, per citarne alcuni. L’esigenza di una connotazione familiare più precisa scaturisce però in alcuni casi laddove alla città di provenienza si aggiunge il patronimico quasi per una necessità di distinguersi, accade così per Alloccus Galli de Florencia, Nicolaus Burgii de Florencia, Matheus Benedicti de Florencia, Brachinus Chanini de Florencia, Petrus de Stephano de Montereali, Bartholomeus Ursonis de Panormo o anche per Silvester de Amanthea filius Andree. In alcune situazioni oltre alla trasmissione del cognome viene evidenziato il nome paterno, ad es.: per Iohannes Ricius de Silvestro, Nicolaus de Iohanne dictus Ricius, Petrucius de Iohanne Ricio e Iohannes de Iohanne Ricio, o anche per Philippus Vinchiguerre de Rosano o de Vinchiguerra de Rosano e per Philippus de Rosano iunior; a volte anche per più generazioni come nel caso di Petrus Faylla o Favilla filius Petri de Matho Favilla, detto anche Petrus de Favilla iunior per distinguerlo dal padre Petrus de Matheo Favilla, nei quali si deve mettere in rilievo l’omonimia padre/figlio (Giovanni f. di Giovanni, Pietro f. di Pietro, Filippo f. di Filippo) e pertanto anche una trasmissione onomastica come del resto abbiamo già rilevato in alcune famiglie di milites.

Un altro elemento da mettere in evidenza è la persistenza del soprannome ancora nella documentazione del Trecento, che in alcuni casi assume valenza di cognome e diventa caratterizzante dell’appartenenza familiare, anche se non si può parlare di trasmissione poiché non abbiamo esempi per più generazioni, come accade per il mercante Symon de Alanzano dictus de Berricterio e per suo fratello Iacobinus, detti più semplicemente de Berricterio, per il notaio Iohannes de Cathania dictus Fancellus o, senza il toponimo, de Fancello o Fancellus, per Iohannes de Lamidinia dictus Nasellus o anche Iohannes Nasello, per Iacobus de Sergio dictus Pipi, per Iohannes Pichulillo dicto de Marcolfo o anche Iohannes Marcolfo e numerosi altri.

Un'ultima considerazione si deve fare sulla consistente presenza nella documentazione di un gran numero di artigiani dalle attività più diverse, il cui cognome laddove esiste è quasi sempre un toponimo o un patronimico e questo fa pensare che il ceto dei magistri, che negli anni della rivolta del Vespro, rivolta della quale costituisce la spina dorsale, come ha ben rilevato Giunta e come del resto è emerso dalla documentazione degli anni '80 del Duecento, assume un’identità sociale più decisa e non cerca una connotazione attraverso il cognome, bensì attraverso il nome del mestiere e la città di provenienza, come accade per quegli artigiani di origine lombarda che in questi anni operano a Palermo, soprattutto come armaioli, con stretti legami di lavoro e di solidarietà con i lombardi di Corleone.

   

Alcune conclusioni si possono trarre da quanto detto fin qui, seppure non definitive, almeno come linee di tendenza, e cioè:

   a) che la trasmissione del cognome è ampiamente documentata almeno dagli anni '80 del XIII secolo sia per le famiglie dell’"aristocrazia urbana", che occupano le più prestigiose cariche dell’amministrazione cittadina, sia per quelle dell’"aristocrazia del denaro", giudici e soprattutto notai, le cui vicende abbiamo potuto seguire per più generazioni, all’interno delle quali vi è una certa tendenza anche alla trasmissione onomastica. Nelle famiglie dei milites poi la trasmissione del cognome sembra estendersi anche alle donne, almeno nella fascia più alta (Maletta, Filangeri);

   b) che i soprannomi assumono valenza di cognome, anche se non è possibile dimostrarne la trasmissione;

   c) che risulta evidente una certa ristrettezza nella formazione del cognome, e di conseguenza nella trasmissione, nelle altre fasce sociali come dimostra la persistenza dell’uso del toponimo e del patronimico come “cognome”, anche se si avverte l’esigenza di una connotazione familiare più precisa laddove vengono usati entrambi;

e infine

   d) che si riscontra un’attenzione alla trasmissione del nome del mestiere e non del cognome soprattutto a livello del ceto artigianale, ma anche in alcune famiglie di notai.

 


  


* Relazione tenuta al Seminario di Antroponimia medievale all'Ecole Francaise de Rome, febbraio 1997, in «Mélanges de l’Ecole Francaise de Rome-Moyen Age», tome 110, 1998, 1, pp. 103-12.

1 I. MIRAZITA, L’antroponimia nelle imbreviature del notaio Adamo de Citella (1° registro:1286-87), in «Mélanges de l’Ecole Francaise de Rome-Moyen Age», tome 107-2-1995, pp. 415-425.

2 ACTA CURIE FELICIS URBIS PANORMI, Registri di Lettere, Gabelle e Petizioni 1274-1321, 1, a cura di F. P. Nuccio e D. Gnoffo, introduzione di F. Giunta, Palermo 1982; ACTA CURIE FELICIS URBIS PANORMI, Registri di Lettere, Frammenti (1321-1326), 3, a cura di L. Citarda, Palermo 1984; ACTA CURIE FELICIS URBIS PANORMI, Registro di Lettere (1327-1328), 4, a cura di M. R. Lo Forte Scirpo, Palermo 1985; ACTA CURIE FELICIS URBIS PANORMI, Registri di Lettere e Atti (1328-1333), 5, a cura di P. Corrao, Palermo 1986; ACTA CURIE FELICIS URBIS PANORMI, Registri di Lettere (1321-22 e 1335-36), 6, a cura di L. Sciascia, Palermo 1987; ACTA CURIE FELICIS URBIS PANORMI, Registro di Lettere (1348-49 e 1350), 8, a cura di C. Bilello e A. Massa, Palermo 1993.

3 P. BURGARELLA, Le imbreviature del notaio Adamo de Citella a Palermo (1° Registro: 1286-87), Roma 1982; P. GULOTTA, Le imbreviature del notaio Adamo de Citella a Palermo (2° Registro: 1298-99), Roma 1982.

4 M. S. GUCCIONE, Le imbreviature del notaio Bartolomeo de Alamanna a Palermo (1332-33), Roma 1982.

5 M. R. LO FORTE-SCIRPO, Società ed economia a Palermo nel sec. XIV. Il conto del tesoriere Bartolomeo Nini del 1345, Palermo 1993.

6 Su Senator de Mayda e sulle famiglie dell'aristocrazia cittadina a Palermo si veda: L. SCIASCIA, Vita cittadina a Palermo tra il 1320 ed il 1340, in Il Seme Nero. Storia e memoria in Sicilia, Messina 1996, pp. 67-104, in part. pp. 78-82.

7 E. PISPISA, Il regno di Manfredi. Proposte di interpretazioni, Messina 1991, p. 66.

8 P. F. PALUMBO, Contributi alla Storia dell’età di Manfredi, Roma 1959, pp. 111-225.

9 A.S.P., S.Martino, II, 116/2, cc.92r.-124v., copia del notaio Manfredi Bonaccorso. Il testamento, datato Palermo 5 luglio 1337, è pubblicato in A. ROMANO, Famiglia, successioni e patrimonio familiare nell’Italia medievale e moderna, Torino 1994, pp. 203-11.

10 PISPISA, Il regno cit., pp. 93-95 e ss.

11 H. BRESC, Il notariato nella società siciliana medievale, in Politique et société en Sicile, XII-XV siècles, Paris 1990, pp. 191-220, in particolare pp. 197-98.

12 B. PASCIUTA,I notai a Palermo nel XIV secolo, Soveria Mannelli 1995, in part. pp. 13-21.

13 BURGARELLA, Le imbreviature cit., p. 10.

14 H. BRESC, Un monde méditerranéen. Economie et société en Sicile 1300-1450, Roma-Palermo 1986, II vol., p. 653.

   

  

©2004 Iris Mirazita

 

 


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