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di DOMENICO ASPRELLA

Transumanza sull'Appennino lucano

   

Sebbene non manchino attestazioni di un’economia dell’Europa post-glaciale basata sulla raccolta e sul controllo di mandrie, è con il VI e V millennio che - anche in Basilicata, grazie all’esistenza di un clima mite, simile all’attuale ed alla spinta innovativa di popolazioni provenienti dal Vicino Oriente che importano nuove tecniche di sfruttamento del territorio, nonché, pare, di nuove specie animali - la vita si rifà più sedentaria: nascono l’agricoltura, basata su un più regolare ritmo delle stagioni, e l’allevamento che pone un rimedio all’estenuante movimento dei cacciatori, indispensabile per procurarsi la carne ora più disponibile [1].

L’allevamento supera i limitati ambiti territoriali precedenti: accanto a quello stanziale, gravitante in aree ristrette e capaci con la propria fertilità di nutrire un certo numero di animali necessari a piccole aziende, la grande massa del bestiame per poter sopravvivere deve cercare le risorse alimentari in aree di montagna e di pianura ove si sposta stagionalmente lungo sentieri interni, anche molto lunghi; questi permettono, avvicinando anche località distanti, le prime forme commerciali che comportano fin da quel periodo numerosi scambi di materiali e di tecniche utili all’evoluzione delle società antiche locali.

Un nuovo impulso a questa attività proviene nuovamente dall’Oriente, donde giungono, in varie fasi tra il 2500 e il 1800 a.C., genti di formazione nomade, pastorale e guerriera, possessori della tecnologia per la lavorazione dei metalli (metallotecnica) che li rende superiori alle popolazioni indigene.

Esse sono fondate su una struttura gerarchica patriarcale: venerano divinità non più legate alla terra (ctonie), ma al cielo, e seppelliscono collettivamente i loro morti in grotticelle [2].

Le Culture di Serra d’Alto (dalla collina presso Matera) e di Diana (a Lipari), nelle quali si hanno scambi di prodotti tramite la transumanza tra la costa e l’interno, sono le prime attestate per quest’epoca, seguite da quella di Laterza e quella Gaudo (quest’ultima in territorio pestano): esempi di queste in territorio lucano si hanno a Latronico (PZ) e nella contrada Madonnelle di Policoro (MT).

è però con la cultura appenninica, diffusa nell’Età del Bronzo sugli Appennini (dal 1700 a.C. circa), che la civiltà pastorale raggiunge uniformità disponendo di recipienti e attrezzi semplici e funzionali (bollitoi, ciotole carenate, ecc…), che permettono anche attività connesse all’agricoltura.

Un clima più umido, adatto ai pascoli, favorisce di più l’allevamento che rimane una delle industrie più solide sebbene risenta periodicamente e localmente nelle aree interessate dalla transumanza dei rapporti spesso critici tra gli Indigeni e i nuovi gruppi etnici sopraggiunti dal nord: questi si impongono con i nuovi riti della cremazione entro urne nel Bronzo finale (1200-1000 a.C.).

Tra l’VIII e il VII sec. a.C. i Greci con le loro colonie della costa ionica promuovono nella Basilicata interna, tramite scambi commerciali e culturali, dottrine collegate ad una civiltà urbana piuttosto che pastorale: le principali sono il consumo di carni nel banchetto e l’ideologia del guerriero.

Costui, quale esponente del potere, partecipa ai conviti escludendo le donne, alle quali è delegata l’attività domestica della lavorazione della lana.

Sono questi e pochi altri detentori del potere economico a controllare anche l’allevamento che in un contesto di insediamenti sparsi, facenti capo ad un centro politico e religioso ove risiedono il sacro ed i maggiorenti, si pratica localmente in aree libere destinate ad esso.

I lunghi percorsi stagionali del bestiame sono effettuati dai membri della società, liberi e di grado servile, che lasciano sul posto i propri nuclei familiari o li conducono con sé [3].

La conquista romana porta ad una ristrutturazione territoriale che privilegia alcuni assi della viabilità pastorale colleganti importanti centri. Però non intendendosi stravolgere un’attività così importante per le popolazioni sottomesse e per Roma stessa, anche nell’organizzazione coloniale si lasciano accanto alle assegnazioni viritane più o meno estese ampie aree destinate, come in precedenza, al pascolo ed alla agricoltura.

Non si distrugge nell’agro interno l’organizzazione precedente per pagi (comprensori di insediamenti) e vici (nuclei abitati), anche se questi faranno capo con la municipalizzazione a centri politici ed amministrativi: ciò dipende dal fatto che essi sono la condizione essenziale per la vita nelle campagne; qui vi si svolgono i mercati e la vendita del bestiame e, posti lungo i tratturi, ne sono i maggiori garanti.

In particolare il territorio lucano, per la sua caratteristica di essere lo spazio di incontro tra l'arco ionico e la sella di Conza, si caratterizzava e si caratterizza ancora per la presenza di un denso e minuto reticolo viario, funzionale ai servizi richiesti dalla pastorizia transumante e per lo svolgimento dei mercati in punti strategici.

Il transito di questi luoghi avveniva percorrendo vie prefissate, note come calles, fra le quali possiamo annoverare certamente i tratturi Tarantino e Martinese, che costituivano la via più breve per l'itinerario Lucania-Calabria (l'attuale Salento), ricordato da Orazio. 

Tratturo per la Calabria presso Lagonegro

Tuttavia non era il solo: a nord le vie di collegamento tra la Basilicata e la Puglia ripercorrevano le vie naturali segnate dagli alvei dei fiumi lucani che hanno origine dal Monte Carmine immediatamente a nord di Potenza.

Esempi di insediamenti scoperti presso i tratturi si possono osservare nei resti materiali dell’agro di Venosa, del fiume Marmo-Platano in direzione del Vulture o presso la via della transumanza che passava nei pressi di Tolve (PZ), di collegamento tra il Bradano, il potentino e la Puglia; altre strade erano la cosiddetta strada preistorica che attraversava l’area delle Tavole Palatine a nord di Metaponto, e quella che giungeva dal nord della regione e che costeggiava nell’ultimo tratto l’Agri fino ad Heràkleia; ulteriore via di comunicazione importante per l’economia della zona già all’epoca dei greci era quella che oggi è chiamata tratturo Metaponto (o tratturo per Pisticci) che collegava la Valle dell’Agri, Montalbano, la Madonna del Polegio e Pisticci per giungere fino a Metaponto.

Legate ai vici, e dunque anche alle strade che vi passavano, erano le attività agricole. La grande disponibilità di terreni abbandonati o confiscati dopo le guerre puniche (264-241 a.C.; 219-202 a.C.; 149-146 a.C.) permise una maggiore concentrazione dei latifondi in mano a pochi ricchi, anche se la piccola proprietà contadina non venne meno.

Tali nuove prospettive indussero lo Stato ad una regolamentazione a partire dal II secolo a.C.; il tentativo di redistribuzione della proprietà a favore dei meno abbienti fu rivolto non solo alle aree comuni e destinate alla pastorizia, ma anche a quelle coltivabili.

Comunque l’estensione di aree demaniali o private, in territori lontani e difficili da raggiungere, e la vita seminomade ed isolata dei “pastori-schiavi”, armati anche per difendersi da animali selvatici o da attacchi di briganti, creò le premesse delle loro ribellioni, frequentemente strumentalizzate dai pecuarii, che talora favorirono sia le usurpazioni di terreni attigui ai pascoli o alle vie della transumanza sia il falso pagamento delle tasse relative alla loro attività.

La Lex agraria epigrafica del 111 a.C. è la prima che tutela sistematicamente la compascuità di suoli pubblici per i terreni limitrofi e gli aventi diritto al pascolo gratuito, con non più di dieci bovini ed alcuni capi di bestiame minuto: libero era il percorso del bestiame transumante sulle calles e sulle viae publicae.

Infatti Varrone nel II libro del De re rustica parla anche della transumanza di pecore dall’Umbria a Metaponto.

Le viae publicae che erano anche utilizzate come strade tratturali erano la via Popilia, da Capua a Reggio Calabria (attraversando Sala Consilina e Lagonegro), la via Appia, che scavalcava l'Ofanto toccando Venosa, i territori di Spinazzola, Gravina, Castellaneta fino a Taranto, la via Herculia, che collegava Venosa e Rotonda passando per Potenza e Brienza, la via Reggio-Taranto, che lambiva l'intero arco ionico e interessava anche la zona della foce del fiume Bradano fino ad Heràkleia.

Nell’età tardo-repubblicana, per evitare problemi fiscali, ma anche di furto del bestiame, si dovette dichiarare il numero di capi, onde evitare una multa o anche la confisca dello stesso insieme agli addetti al pascolo.

In età imperiale la creazione di grandi villae non disturbò il fenomeno della transumanza, anzi questo sembra in Basilicata affiancarsi facilmente all’allevamento domestico: nell’alimentazione il maiale, anche cresciuto allo stato brado nei vicini boschi, è al primo posto rispetto ai caprobovini ed ai bovini, utilizzati soprattutto nel lavoro dei campi.

L’agro di Venosa, come si diceva, era ricco di insediamenti sorti nei pressi dei tratturi, soprattutto il Melfi-Castellaneta che ha lo stesso corso dell’Appia da Gravina a Palagiano: in contrada Santa Lucia è stata trovata una stele relativa ad un gregarius, mestiere legato alla pastorizia (I sec. d.C.).

Più frequentemente in periodo imperiale i piccoli allevatori si univano per fronteggiare la concorrenza dei maggiori, mentre l’imperatore con i suoi latifondi si assunse la cura della produzione della lana, come a Canosa, Lucera e Venosa.

Nel corso del Medioevo i tratturi sostituirono in parte l'antica rete viaria, la Via Appia in primo luogo, ormai caduta in disuso.

Nel periodo normanno e svevo vi furono episodiche regolamentazioni della transumanza, ben sapendo quanto fossero importanti questi percorsi per l’economia dell’epoca, tanto che lungo i tratturi sorsero le prime capanne dei pastori e successivamente villaggi e luoghi di culto.

Le Costituzioni di Melfi del 1231 emanate da Federico II contengono numerose norme in proposito, stabilendo che nelle terre dei conti e dei baroni non dovessero transitare o soggiornare più di quattro forestieri, che dovevano pagare il prezzo di affitto ed eventuali indennizzi per i danni causati dagli animali.

Con gli Aragonesi, durante il regno di Alfonso I (1416-1458), con l’istituzione della Dogana Menae pecundum Apuliae (1447), con sede inizialmente a Lucera, ebbe luogo la definitiva sistemazione della rete dei tratturi, e la previsione di una serie di norme per la loro fruizione: i pastori con più di venti pecore dovevano svernare nel Tavoliere, pagando una tassa annua e vendendo i prodotti della pastorizia nella fiera di Foggia. In cambio potevano percorrere i tratturi più importanti.

A partire dal 1480 venne utilizzato in modo specifico il termine tratturo per indicare una via erbosa larga 60 passi napoletani (111,11 metri circa considerando che un passo napoletano equivaleva a circa 7 palmi equivalenti ciascuno a 263,67 mm.), vale a dire il percorso seguito dagli animali durante la transumanza.

Quattro secoli dopo, con la legge del 1865 molti territori e tratturi del Tavoliere non più in uso vennero venduti, sebbene una legge successiva di tutela (1908) ne salvaguardasse i quattro più importanti.

In epoca contemporanea, nel 1959, il Commissariato delle vie armentizie ha contato lungo gli assi Puglia – Basilicata 14 tratturi, 71 tratturelli e 13 riposi, dove le greggi potevano sostare durante la transumanza [4].

Tuttavia solo un decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali del 22 dicembre 1983 ha stabilito di tutelare, con la legge del 1939, anche i tratturi della Puglia e della Basilicata.

Infine, nel 1984, fu edito l’inventario dell’Archivio del Tavoliere di Puglia: nel IV volume si evince per la provincia di Potenza l’esistenza di soltanto una parte delle mulattiere e dei tratturi documentati sui fogli di mappa in scala 1:10000, aggiornati tra il 1909 e il 1911. La spiegazione? I danni subiti nel corso della II Guerra Mondiale dagli archivi di Foggia e Napoli.

     

NOTE

1  S. BIANCO, La Preistoria, in Il museo Nazionale della Siritide di Policoro, a c. di S. Bianco e M. Tagliente, Bari 1985, p. 19.

2  Ivi, p. 24.

3  A. BOTTINI, Principi guerrieri della Daunia del VII secolo, Bari 1982, p. 34.

4  L. ORUSA, Tratturi e trazzere, XIX (1973), pp. 655-659.

   

      

©2006 Domenico Asprella.

   


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