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di LUIGI BRESSAN

Fig. 1. Vieste, isolotto del Faro; all'interno è la grotta con l'iscrizione.


Intorno all'anno Mille, la vita politica di Bari era guidata dal catepano imperiale Gregorio Trachaniota, ivi inviato dagli imperatori di Costantinopoli Basilio II e Costantino [1]
, mentre l'arcivescovo Crisostomo, che anche reggeva la diocesi di Canosa e Trani, provvedeva al governo delle anime [2]. La presenza nell'Adriatico della flotta veneta, alleata con quella dell'impero d'Oriente, flotta che nel 997, al comando del doge Pietro Orseolo II, aveva sconfitto i Narentini, popolazione barbarica stabilitasi sulle rive del fiume Narenta in Dalmazia [3], impediva alle flotte saracene di poter far valere appieno la loro presenza che, in tempi precedenti, nell'875, le aveva portate pericolosamente nelle vicinanze di Venezia [4]. Tuttavia, malgrado questa sconfitta, le navi della mezzaluna non desistevano dal portare i loro repentini attacchi lungo le coste pugliesi sia dell'Adriatico che dello Ionio. A tal proposito dobbiamo ricordare le scorrerie nei pressi di Bari nel 988 [5] e la vittoria sui bizantini nel 991 [6] nei pressi di Taranto. L'episodio più grave, però, fu la conquista di Bari nel 997 ad opera di un fuoriuscito pugliese di nome Smaragdo, in seguito sconfitto ed imprigionato dal catepano [7]. Cessata di nuovo ogni belligeranza per l'intervento di Bisanzio, il conflitto si riaccese ad opera di un certo Luca soprannominato Kafir (rinnegato). Questi, che aveva posto le sue basi in un piccolo paese della Lucania, Pietrapertosa, di lì stuzzicava metodicamente le forze basiliane, tanto che nel maggio del 1002, sfidando l'impero d'Oriente, ed anche approfittando del fatto che i Longobardi fossero sempre in lite fra loro e che il giovane imperatore di Germania Ottone III, possibile avversario, era morto, cinse d'assedio Bari stringendola in una morsa sia per terra che per mare [8]. Tale situazione si protraeva ormai da sei mesi, e tutto indicava la fine prossima a causa della scarsezza di viveri e di generi di prima necessità.

Quando ogni speranza stava ormai per cedere il passo alla disperazione e la salvezza era solo una chimera, il 18 ottobre apparve all'orizzonte una potente flotta veneziana al comando del già citato doge della Serenissima Pietro Orseolo II. Rimane tra leggenda e realtà il fatto che, il 15 agosto, festa dell'Assunzione, un saraceno, dall'alto della torre del monastero di San Benedetto [9], avesse scorto nel cielo una stella proveniente da ovest e inabissarsi nel mare verso est. L'uomo corse a narrare quanto visto a Girolamo, abbate del predetto monastero, il quale vaticinò che la città, protetta dalla Madonna, sarebbe stata salvata da qualcuno venuto da Occidente [10]. In verità ci si aspettava un aiuto concreto da parte di Costantinopoli che, in quel momento, purtroppo, era impegnata, con il suo imperatore Basilio II, nei Balcani, contro lo Zar Samuele, guerra dalla quale ne uscì vincitrice[11].

A tale vista i Baresi si rincuorarono e, approfittando dello sbando delle truppe avversarie, uscirono dalle mura e si lanciarono al loro inseguimento facendone strage. Ci si chiede: quale motivo di fondo spinse in realtà Venezia a soccorrere Bari, dal momento che questa era una entità del catepanato d'Italia? La risposta è ovvia: motivi esclusivamente economici. Infatti, pur se la città lagunare era legata all'imperatore d'Oriente dalla crisobulla (bolla d'oro) del 992 (un atto stipulato tra il doge Pietro Orseolo II e Basilio II), con un vincolo di alleanza forzata, ad un certo punto si sentiva quasi soffocata dalla presenza bizantina in Adriatico, e quindi l'ulteriore accomunarsi dell'elemento saraceno le avrebbe certamente tarpato le ali in merito ad una espansione verso i mercati sia delle coste meridionali della Puglia per il commercio dell'olio, del sale e del grano, sia verso le ancor più redditizie sponde del medio ed estremo oriente (spezie, stoffe, pietre preziose e quant'altro) [12]. Non dimentichiamo anche che tra i baresi già soffiavano venti di ribellione nei confronti del dispotismo greco che vedranno, dieci anni dopo, la rivolta di Melo, e che quindi tali avvisaglie incoraggiavano la Serenissima ad osare passi sempre più audaci in vista di un completo dominio del Mediterraneo orientale, anche se apparentemente si era combattuto in nome di Costantinopoli ed in difesa dei suoi interessi.

Fig. 2. Liberazione di Bari nel 1002 da parte dei Veneziani. Sipario del Teatro Petruzzelli di Bari, opera di R. Armenise, distrutto nell'incendio della struttura.

  

A Bari grandissima fu la riconoscenza nei riguardi di Venezia, anche se la sua presenza si rivelerà in seguito pesantemente invadente. Comunque, per l'aiuto arrecato si dice, che in suo onore, fosse stata eretta la chiesa di San Marco, oggi sita nel borgo antico in una traversa di via del Carmine. Tale edificio, che invece alcuni ritengono essere testimonianza della presenza di un colonia veneta in città, nulla ricorda delle originarie strutture. Infatti restaurato ad opera di un certo medico barese Giovanni, la cui benefattrice opera era testimoniata da una lapide ora riposta nel museo diocesano, in seguito è stato privato dell'abside di destra, demolita per far posto a delle abitazioni. Rimane, della primitiva fabbrica, solo il piccolo rosone, con l'effigie del leone, emblema della città della laguna, anch'esso ormai preda dello scorrere del tempo, e per questo in condizioni di precaria conservazione [13]. Ben visibile, tuttora, in un angolo di Piazza Mercantile, sempre nella parte antica di Bari, vi è un monumento composto da una colonna ed un leone che vorrebbe riproporre il simbolo della Serenissima. Secondo il padre gesuita Antonio Beatillo, la statua fu posta dai cittadini baresi su di un piedistallo in una strada vicino al mare a ricordo della liberazione dai Saraceni [14]. Tuttavia, studi in campo artistico, storico e paleografico a cura di studiosi italiani e stranieri, hanno collocato la fattura del marmoreo felino all'età tardoromana ed al suo riutilizzo intorno ai primi del XII secolo e motivandone l'esistenza ed il significato in modo ben diverso da quello tramandato. In realtà si sarebbe trattato di uno strumento di gogna per chi non avesse pagato i debiti sia verso i privati che nei riguardi della cosa pubblica [15]. Del resto la scritta sul collo dell'animale, custos iustitiae, ne è una inconfutabile prova.

All'inizio del secolo, e precisamente nel 1906, lo storico barese Armando Perotti, riprendendo un progetto già avanzato nel 1897 dal colonnello del Genio militare Augusto Bucchia, propose al Comune, il quale accolse di buon grado l'iniziativa, che la parte superiore della "muraglia", quella prospicente il mare tra il fortino ed il monastero di Santa Scolastica, l'unico che ricordi la primitiva topografia e da dove, vox populi, si dice fosse stata avvistata la flotta della Serenissima, venisse intitolata a Venezia: ciò per rendere più saldi i vincoli di amicizia con quella cittadinanza. La città lagunare ricambiò l'iniziativa, dedicando al capoluogo pugliese una delle sue vie più commerciali: «Venezia in ricambio... dà il nome della consorella Bari alla banchina dei magazzini generali di fronte al Cotonificio Veneziano, alle fondamenta lungo il rivo dell'Angelo Raffaele fino alle Fondamenta delle Terese e alla Colle Lanza che divide i magazzini del cotonificio...» [16]. Un'ulteriore traccia dell'avvenimento, nella memoria dei Baresi, era, secondo la tradizione, la festa della "Vidua vidue" che si svolgeva, fino agli anni '60, l'8 maggio, nel giorno dell'Ascensione, avendo come teatro via Venezia, già via "delle mura", proprio, come abbiamo già detto, in onore del capoluogo veneto, protagonista della millenaria liberazione. La manifestazione si svolgeva in concomitanza con la cerimonia dello "Sposalizio del mare" o "Festa della Sensa" che aveva luogo, e si ripete ancora oggi, a Venezia, in ricordo dell'antico dominio sui mari [17].

Una cronaca di quanto accadde nei giorni precedenti l'avvenimento e di cosa avvenne in seguito, è riportata in un'iscrizione che, insieme a numerose altre, si trova in una grotta tufacea sul così detto Isolotto del Faro (fig. 1), antistante il porto di Vieste, cittadina costiera garganica. Lì la flotta veneziana, nel mese di settembre, fece sosta prima di puntare direttamente su Bari. Su tale cavità, verso la metà del XIX secolo, fu innalzato un faro per segnalare ai naviganti la pericolosità del luogo. Sin dall'antichità tale problema era sentito, tanto che, in tale antro, era stato ricavato un luogo di culto, dedicato a Venere Sosandra (salvatrice di uomini), in seguito trasformata in chiesa rupestre dedicata a Santa Eufemia. All'interno, oltre la predetta scritta, si possono leggere numerose epigrafi occasionali e cioè attestazioni di devozione o di ringraziamento per il felice esito del viaggio che marinai, viaggiatori e, forse crociati, hanno lasciato lungo il corso dei secoli per implorare la protezione in vista della pericolosa traversata dell'Adriatico, sia perché sempre infestato da pirati di varie bandiere, sia per le frequenti tempeste. Vi sono, inoltre, croci dalle diverse forme, e i nomi dei faristi che si sono succeduti nel tempo. Le preghiere, sono rivolte oltre che alla divinità pagana già menzionata anche, quelle più tarde, a Santi e Madonne.

Il contenuto dell'epigrafe racconta dell'aiuto della flotta veneta alla città di Bari oppressa per mare e per terra dalle truppe saracene. In particolare riferisce dell'entrata nel porto di Vieste di cento navi al comando del Doge Pietro Orseolo II, «iste dux contra Saracenos...cum maritimo stolo est progressus» [18], avvenuta, secondo la datazione bizantina, il 3 settembre del 1003, ivi giunte «contra Sarracenos qui sedebant supra Vares». Le ultime tre righe dell'iscrizione, graffite con un ductus più leggero, concludono, diciamo così, la narrazione riassumendo la parte finale dell'impresa e cioè la vittoria sui nemici.

Già il Beatillo conosceva l'esistenza di simile documento tramandato da una relazione di un certo Antonio Dentice, probabilmente un esperto in geografia locale, se il nostro ci parla di lui come un descrittore della montagna del Gargano [19]. Nel 1989, a cura di A. Russi, l'iscrizione è stata riprodotta fotograficamente, insieme ad altre, in occasione di una ricerca sulle scritte dell'isolotto del faro del paese garganico [20]. La fotografia qui riprodotta mi è stata gentilmente concessa dal professor Nino Lavermicocca che qui ringrazio sentitamente (fig. 3).

Fig. 3. L'iscrizione di Vieste.

Tale è il testo della testimonianza che si presenta abbastanza ordinato, fatta eccezione per l'ultima parte che si presenta con un aspetto diverso:

+ IN N(O)M(INE) D(OMI)NI D(E)I ET SALVATORIS N(OST)RI IH(ESU)/
XRI(ST)[I] ANNO AB INCARNACIONIS EIUS/
MIL(LESIMO) III MENS(E) SEP(TEMBR)I DIE III INDIC(TIONE) I IN/TROIVIT IN ISTO PORTO DOM(INUS) PETRO/DUX VENETIQUOR(UM) ET DALMATIANO-/
R(UM) CUM NAVES C(ENTUM) PREPARATUS AD BEL-/
LUM CONTRA SARRACENOS Q(UI) SE-/
DEBANT SUPRA VARES ET PU-/
GNAVIT CU(M) II(S) ALII OCCIDERAT ALII IN FU-/
GAM MISER(AT).

In basso, a destra, fuori lo specchio epigrafico, sono visibili lettere, precedute da un signum crucis, che hanno tutta la parvenza ad indicare una sottoscrizione, forse quella dell'autore dello scritto:

+ DOM(INUS) P(RES)B(ITE)R

+ Nel nome del Signore e di Gesù Cristo nostro salvatore,
nell'anno millesimo terzo della sua incarnazione,
terzo giorno del mese di settembre, indizione prima,
entrò in questo porto Messer Pietro
Doge dei Veneziani e dei Dalmati
con cento navi pronte alla guerra
contro i Saraceni che opprimevano
Bari e combattè
contro quelli: alcuni aveva ucciso,
altri aveva messo in fuga.
+ Dominus presbitero
[21].

Il dettato narra di un avvenimento ormai trascorso. Le forme verbali, infatti, riferiscono di azioni antecedenti la messa in opera del manufatto. Quando ciò è accaduto? Risulta difficile rispondere non avendo punti di riferimento ben precisi. La presenza di lettere capitali romane non ci è di grande aiuto, dal momento che i caratteri eleganti di tale scrittura furono molto utilizzati, in tempi successivi, nella composizione di iscrizioni d'apparato, proprio perché le loro forme più si addicevano a tale compito. Anche la data potrebbe trarci in inganno. L'anno e l'indizione indicati, infatti, prendono in considerazione il momento in cui la flotta veneziana ha fatto il suo ingresso nel porto di Vieste, accomunando, erroneamente, anche l'episodio della vittoria sui Saraceni. Mi sembrano elementi troppo vaghi per collocare in un tempo ben preciso lo scritto, anche se il contenuto delle ultime righe potrebbe far supporre una quasi contemporaneità delle due azioni.

Circa l'autore, certamente dovrebbe trattarsi del dominus presbiter, la cui firma si legge fuori dallo specchio epigrafico sulla destra. Costui, un membro della chiesa locale, forse quella rupestre di Sant'Eufemia, considerando la liberazione di Bari dai Saraceni ad opera dei Veneziani e, in particolare, del Doge Pietro Orseolo II, fervente cattolico romano, come un trionfo della cattolicità sul paganesimo, ritenne opportuno, non si sa se in proprio o per conto terzi, evidenziare e tramandare, con un "articolo", diciamo così in prima pagina, le gesta del «dux Venetiquorum et Dalmatianorum». Del resto il fatto che il soggetto delle azioni «introivit, preparatus, pugnavit, occiderat» e «in fugam miserat», risulta essere solo ed esclusivamente il condottiero di San Marco, la dice lunga sul significato quasi clientelare del documento a noi pervenuto.

L'opera è stata confezionata su di una superficie convessa, limitando e spianando in precedenza un tratto di parete di tufo, materiale proprio della grotta. In lettere capitali di differente modulo, con i crismi dell'ufficialità, con una datazione fedele allo stile bizantino, costituiva un vero e proprio elogio all'operato di Pietro Orseolo II, ed era situata in un luogo certamente molto frequentato non solo da gente comune, ma anche da chi doveva, per forza di cose, leggere quell'iscrizione e farne tesoro del contenuto. Non dimentichiamo il significato delle iscrizioni d'apparato o delle scritture esposte: vere e proprie attestazioni di autorità politica, militare, religiosa, e testimonianze di avvenimenti di rilevanza ufficiale o dell'operato di uomini illustri [22].

Per l'ultima parte del testo, graffita in caratteri più sottili degli altri, si può ipotizzare che l'autore sia stato costretto ad utilizzare tale tecnica, resosi conto dell'esiguità dello spazio precedentemente delimitato e di quanto aveva intenzione di scrivere. Infatti, il contenuto di un discorso che certamente doveva essere molto più lungo, sembra esaurirsi repentinamente nelle parole occiderat e miserat che, se pur lapidarie, vogliono magnificare l'impresa del Doge. Quanto affermato trova ulteriore riscontro nel nesso per sovrapposizione delle parole occiderat e alii, poste alla fine del penultimo rigo, decisamente compresse in maniera alquanto forzata, dal momento che la lettera T, in corpo più piccolo, è posta tra la seconda e terza lettera del termine alii.

L'iscrizione, di complessive dieci righe, su supporto tufaceo, ha inizio, preceduta da una croce greca, con una invocazione verbale, quest'ultima, come tante altre, in uso dall'VIII secolo: IN NOMINE DOMINI DEI ET SALVATORIS NOSTRI IESU CHRISTI [23]. Si sviluppa in un sistema bilineare, in lettere capitali quadrate con la presenza costante di E onciali, fatta eccezione per due casi nel quinto e decimo rigo, e con abbondanza di abbreviazioni e nessi. Nella scritta fuori specchio epigrafico, a fronte di una presenza generale di O a tutto tondo, se ne riscontra una losangata di origine insulare [24]. All'interno della settima linea di scrittura, il termine Sarracenos si presenta con due r. L'uso della lettera doppia, dal momento che non compaiono altri casi di macroscopici errori ortografici, sempre tenendo presente il latino del tempo, potrebbe far supporre una volontà del committente di ricalcare in qualche modo i nemici vinti dal condottiero veneziano, anche se non è raro l'uso di simile accezione. La datazione dell'avvenimento, tenendo conto che la località di Vieste, come tutta la Puglia, era di pertinenza di Bisanzio, si presenta secondo lo stile e l'indizione bizantini, sistema di computo degli anni che presenta, nel millesimo, una unità in più dal 1° settembre al 31 dicembre. Per cui, i due episodi, l'uno svoltosi nel mese di settembre, di cui si riporta la data completa nel testo, e l'altro, avvenuto, secondo le cronache, il 18 di ottobre del medesimo anno, sono da ascriversi al 1002 e non al 1003 come si evince dal dettato [25]. 

Al termine di questo discorso, purtroppo, c'è da aggiungere una doverosa considerazione. Il sito dove è ubicata la fonte storica oggetto dello studio, l'Isolotto del Faro, posto, come abbiamo già detto, all'imboccatura del porticciolo di Vieste, è difficilmente raggiungibile sia per i visitatori che per gli studiosi, e ciò non per la difficoltà di approdo, grazie a Dio i tempi sono cambiati, ma per il fatto che il luogo è di pertinenza della Marina Militare, per cui l'accesso è consentito o dietro permesso, con relativi disagi, oppure tramite raccomandazioni o conoscenze. Dal momento che, quanto la storia ci tramanda dovrebbe essere patrimonio di tutti, in quanto parte integrante del nostro passato, sarebbe auspicabile che venga trovata una risoluzione che possa soddisfare appieno tutte le esigenze.

  


1 G. PETRONI, Storia di Bari, Napoli, 1857, p. 107; G. OSTROGORSKY, Storia dell'impero bizantino (tit. orig. Geschichte des Byzantinischen Staates, München 1963), Farigliano (Cuneo) 1994, pp. 260-271.

2 M. GARRUBA, Serie critica de' sacri pastori baresi, Bari 1844, pp. 96-97.

3 A. GIOVINE, La vidua vidue. L'assedio saraceno di Bari del 1002 e l'intervento veneziano, Bari 1965, p. 34.

4 G. ORTALLI, Il Mezzogiorno normanno-svevo visto da Venezia, in «Atti delle tredicesime giornate normanno-sveve», Bari 1999, p. 55.

5 P. CORSI, Dalla riconquista bizantina al catepanato, in Storia di Bari dalla preistoria al Mille, a cura di Francesco Tateo, Bari 1989, p. 334.

6 CORSI, op. cit., p. 334.

7 CORSI, op. cit., p. 337; G. CIOFFARI - R. LUPOLI TATEO, Antiche cronache in terra di Bari, Bari 1991, p. 62.

8 CIOFFARI - LUPOLI TATEO, op. cit., pp. 31, 62, 151; G. DIACONO, Cronaca veneziana, in Cronache veneziane antichissime, a cura di G. Monticolo, vol. I, Roma 1890, pp. 165-167.

9 N. MILELLA, Monastero di San Benedetto. Bari, in Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell'arte dall'XI al XVIII secolo, vol. II, tomo I, pp. 185, 192, Galatina 1981; ivi: F. PORSIA, Il primo secolo di vita dell'Abbazia di San Benedetto di Bari, pp. 153, 162.

10 GIOVINE, op. cit., pp. 28-29; G. MUSCA, Sviluppo urbano e vicende politiche in Puglia. Il caso di Bari medievale, in La Puglia tra medioevo ed età moderna. Città e campagna, Milano 1981, pp. 20, 22.

11 OSTROGORSKY, op. cit., pp. 267-268.

12 ORTALLI, op. cit., pp. 53-60.

13 B.M. APOLLONJ GHETTI, Bari vecchia. Contributo alla sua conoscenza e al suo risanamento, Bari, 1972, pp. 255-256; G. BARRACANE - G.CIOFFARI, Le chiese di Bari antica, Bari 1989, pp. 178-183.

14 A. BEATILLO, Historia di Bari principal Città della Puglia, Napoli 1637, rist. fotomeccanica, Sala Bolognese 1978, pp. 43-44.

15 L. TODISCO, Il leone «custos iusticie» di Bari, in «Rivista dell'Istituto Nazionale d'Archeologia e Storia dell'Arte», serie III, X (1987), pp. 130-151.

16 A. PEROTTI, Bari ignota. Curiosità e documenti, Trani 1908, p. 420; pp. 406-413; pp. 420-425.

17 GIOVINE, op. cit., pp. 9-14.

18 G. BENZONI, Un incontro marittimo: la Serenissima e la Puglia, in La Puglia e il mare, a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Milano 1984, pag.213.

19 BEATILLO, op. cit., pp. 42-43.

20 A. RUSSI, La grotta con iscrizioni sull'isolotto di Vieste (Foggia). Note preliminari, in «Miscellanea greca e romana», XV (1989), pp. 36-308, tav. XVIII.

21 La trascrizione di questa iscrizione e la citazione di termini tecnici sono state operate tenendo conto delle norme suggerite da: DI STEFANO MANZELLA, Mestiere dell'epigrafista. Guida alla schedatura del materiale epigrafico lapidario, Roma 1987, pp. 209-217.

22 A. PETRUCCI, La scrittura, Torino 1986, introd., XX-XXI; ID., Medioevo da leggere, Torino 1992, pp. 38-48, 189-199; F. MAGISTRALE, Cultura grafica a Bari tra il IX e XI secolo, in Storia di Bari. Dalla conquista normanna al ducato sforzesco, a cura di Francesco Tateo, Bari 1990, pp. 413-422; ID., Forme e funzioni delle scritte esposte nella Puglia normanna, in «Scrittura e civiltà», XVI (1992), p. 7; ID., Forme e funzioni delle scritte esposte nella Puglia normanna, in «Scrittura e civiltà», 16 (1992), pp. 5-75; G. CAVALLO -  F. MAGISTRALE, Mezzogiorno normanno e scritture esposte, in Epigrafia medievale greca e latina. Ideologia e funzione, Atti del seminario di Erice, 12-18 settembre 1991, pp. 315-329. 

23 A. PRATESI, Elementi di diplomatica generale, Bari, pp. 67-68.

24 G. CENCETTI, Paleografia latina, Roma 1978, ristampa, p. 73.

25 PRATESI, op. cit., pp. 117, 119; A. CAPPELLI, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, Milano 1988, p. 10.

  

  

© 2003 Luigi Bressan. Articolo pubblicato in «Studi bitontini», n. 74, 2002.

  


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