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di FRANCO CARDINI

L'America: un Paese innamorato di Medioevo, o di qualsiasi cosa che gli somigli. Un sottile filo rosso-bianco-blu, pieno di sfilacciature, di garbugli e di strappi riannodati, lega insieme i miracoli (tanti) e la paccottiglia (immensa) di questo Paese straordinario, dalle mille contraddizioni, dai centomila difetti e dalle innumerevoli, meravigliose risorse.

   

Cloisters, visto una volta, non si dimentica più. Attraversi l'Uptown, passi davanti alla prestigiosa Columbia University e t'immergi – meglio se sei in macchina o in autobus: e non indugiare troppo... – nel favoloso e terribile Bronx; lo superi in una nuvola d'odor di hamburger e di ricordi di film e di romanzi polizieschi, e sei all'aperto. Prati, boschi, lo Hudson nastro d'argento lontano. Lì, su una collinetta, un severo monastero aragonese-castigliano immerso nel verde. E dentro, una magia di codici miniati, di avori scolpiti, di calici d'argento dorato, di reliquie, di armi cesellate, di mobili intagliati, di architravi e capitelli di pietra. Puoi far colazione in uno dei piccoli chiostri monastici, tra le erbe medicinali amorosamente curate e le fontane che cantano. E poi, la sala degli arazzi della Caccia all'Unicorno, seconda nel mondo solo a quella della Dame à la Licome del parigino Musée de Cluny, del Cloisters è il fratellino yankee.

Un caso, una stranezza? Macché. Anzitutto, bisogna dire che si tratta della collezione di mediaevalia del Metropolitan Museum of Arts; quindi va ricordato che, a differenza dei troppi castelli e cattedrali “medievali” edificati tra Otto e Novecento un po' dappertutto negli States e non tutti di abbacinante bellezza né di filologicamente parlando rigorose forme architettoniche, qui tutto è autentico. Il monastero fu regolarmente acquistato in Spagna, smontato e rimontato a due passi dal Big Apple. Qualche pezzo proviene da altre sedi, sempre autenticamene appartenenti all'età di mezzo comunque.

Se siete più di bocca buona, aggiratevi dalle parti di Broadway: là, un negozio dal kitsch più sfarzoso che possiate immaginare non solo vi proporrà la più incredibile scelta di arredi, abiti, armi, gadget e poster d'argomento medievale che possiate sognarvi, ma sarà anche in grado di organizzarvi, ad una relativamente modica spesa, una magica serata con full immersion tra dame e cavalieri, con tanto di banchetto al castello e di torneo a cavallo. In una memorabile scena di The cable guy [Il rompiscatole], il grande Jim Carrey trascina appunto un ignaro amico in un tragico locale del genere, dal fatidico nome “Ai tempi del Medioevo”, dove non si possono usare le forchette – che, notoriamente, “ai tempi del Medioevo” non c'erano – ma dove in cambio è lecito spararsi una Coca, che non c'era nemmeno quella ma in quel caso l'eccezione è d'obbligo.

Jim Carrey in The cable guy (Il rompiscatole)

Folli? Follia di qualità del museo-monastero, un po' cheap l'abbuffata con torneo? Forse: ma ordinaria follia, in un Paese innamorato di Medioevo o di qualcosa che gli somiglia o che la maggior parte degli americani ritiene gli somigli. Con i medieval graffiti, il bravo Francesco Dragosei avrebbe potuto aggiungere un capitolo alla sua affascinante monografia Lo squalo e il grattacielo. Miti e fantasmi dell'immaginario americano (Il Mulino). Se non lo ha fatto, è forse solo perché era già stato preceduto, una decina d'anni. fa, da un libretto tanto geniale quanto divertente (ma serissimo sul piano dell'indagine scientifica): Il medioevo secondo Walt Disney (Castelvecchi), nel quale Matteo Sanfilippo ci racconta in modo limpido ed esauriente come - e in fondo anche perché - l'America abbia reinventato l'Età di Mezzo.

Non farò qui il mio mestiere di medievista. Voglio dire che non mi attarderò nella menzione – che riuscirebbe pleonastica per gli specialisti, sterilmente noiosa per i non addetti ai lavori – delle Università e degli istituti statunitensi nei quali si studia il medioevo europeo, dei grandi Maestri che vi hanno insegnato e v'insegnano, delle riviste scientifiche ivi pubblicate e che sono senza dubbio tra le più importanti e prestigiose del mondo. Quando il nostro Roberto Sabatino Lopez approdò sulla sponda ovest dell'Atlantico, esule a causa delle infami leggi razziste del 1938, non si sentì a casa solo perché lì c'erano tanti italiani, ma anche perché i suoi colleghi medievisti americani lo accolsero con ammirazione e a braccia aperte. Si studiano benissimo cose medievali al Princeton Institute of Advanced Studies, dove son passati tutti gli studiosi del medioevo europei e mondiali che contano; ad Harvard, a Yale, a Brown, a Berkeley e in molti atenei forse meno famosi ma non sempre meno prestigiosi gli studi medievistici sono in grande auge; la monumentale History of crusades che anche oggi è il massimo standard work sull'argomento fu concepita e fondata negli anni Trenta tra Salt Lake City e Milwakee per trasferire poi il suo centro redazionale a Princeton.

Ma su tutto ciò gli interessati troveranno notizie e rinvii bibliografici copiosi sia nel libro del Sanfilippo, sia nel numero 21 della rivista Quaderni medievali (Dedalo) dedicato nel 1986 al revival medievale nelle culture contemporanee, sia nel volume di Renato Bordone, Lo specchio di Shalot, L'invenzione del medioevo nella cultura dell'Ottocento (Liguori), sia infine nei molti volumi dedicati a Lo spazio letterario nel medioevo che l'editrice Salerno sta pubblicando in questi anni.

Non crediate che tutto si possa ridurre a una sia pur florida attività accademica esemplata sull'Europa e da essa a lungo mediata prima di mettere radici proprie e divenir, per così dire, autoctona, o sulla misura del romanticismo, con gli annessi e risaputi connessi del revivalismo neoromanico, neobizantino e soprattutto neogotico. Certo, Michael J. Lewis, nel suo The gothic revival (Thames and Hudson) ha potuto mettere insieme una bella panoplia di sogni medievaleggianti americani (con qualche incubo). Ma le prospettive dell' american medieval dream son ben più ampie e profonde. E molto serie. Altro che Hollywood e Walt Disney, che pure – badate bene – c’entrano eccome.

Niente paura. Non v'infliggerò l'ennesima interpretazione di The acts ofking Arthur and his noble knights di John Steinbeck: anche perché lo Steinbeck che ho adorato da ragazzo e che amo ancora è un altro; eppure, quella strana riscrittura del capolavoro di Thomas Malory, preceduta da un'ancor più strana dedica in antico inglese manoscritta in semigotico e firmata Jehan Stynebec de Montray Miles meriterebbe da sola un bel lungo discorso. Era solo la risposta alla lezione “antimedievale” di Mark Twain, ferocissimo detrattore d'un medioevo brutto, sporco e cattivo che a suo dire si era a lungo perpetuato nell'Europa del suo stesso tempo, e del quale aveva fornito una parodia in Un americano del Connecticut alla corte di Re Artù, dove la superiorità della vita e dei connotati morali degli States e dell'Occidente moderno in confronto all'Europa e al “suo” medioevo appare sottolineata con forza al di là dell'intenzione più satirica che comica. Il fatto è tuttavia, semmai, che tra l'antimedievalismo del Twain e il medievalismo dello Steinbeck ci sono molte cose. C'è, soprattutto, Mont-Saint-Michel and Chartres redatto nel 1904 da un purissimo figlio della prima schiatta dei “bramini” di Boston, Henry Adams, anarchico-cristiano-conservatore d'alto lignaggio, ribelle al pari del Ruskin e dei preraffaeliti alla volgarità materialista del suo tempo e innamorato pellegrino in Europa dove, nel 1895, era rimasto incantato dinanzi alle splendide vetrate policrome della cattedrale di Chartres e al fascino della Signora che vi regna. Da allora, la Vergine Maria e Tommaso d'Aquino sarebbero state le stelle della sua ispirazione.

Strano? Incredibile? Per nulla, in un paese che dall'Ottocento stampa migliaia di libri dedicati alla cavalleria e alle crociate, e che è abituato a definire crusades gli interventi armati del suo esercito nella Prima e nella Seconda guerra mondiale. In realtà, alla radice profonda di tutto c'è principalmente il movimento giuridico-antropologico-culturale del cosiddetto “teutonismo”, senza il quale non si spiegherebbe, fra l'altro, la straordinaria attrazione che gli States ottocenteschi (quelli nordisti, naturalmente) nutrivano per il mondo soprattutto accademico e militare prussiano e tedesco: e non si spiegherebbe West Point, ben più prussiana che britannica nella sua fondazione prima. I teutonisti ritenevano che “il miglior sangue d'Europa”, giunto in Inghilterra con i sassoni nel V secolo, si fosse poi trasferito con i Padri Pellegrini nel Nuovo Mondo: e lì avesse fondato la cultura della Libertà, tanto profondamente cristiana che germanica. Tale la base del sentire Wasp (White, Anglo-Saxon, Protestant).

Da un altro lato, però, il “medioevo delle libertà” dava differenti frutti. E siamo al far West e ai cow boys, moderna incarnazione letteraria e soprattutto cinematografica delle virtù in parte filologicamente accostate, in parte romanticamente e vitalistica­mente rivissute, del cavaliere medievale (poi magistralmente rappresentate da Stephen King nel ciclo La Torre Nera. La Weltanschauung della Frontiera è ricalcata sui border fighters medievali, sul Cid Campeador e sul Dighenis Akrites; e produce uno strano gioco di specchi per il quale l'avversario, il pellerossa, è talora perfido e crudele, talaltra fedele e generoso esattamente come il saraceno delle chansons de geste e del romanzo cavalleresco.

Il mixing originale di semifilologismo romantico-revivalistico e di cavalleria western, passato dalla letteratura al cinema, è il nucleo dal quale nascono i libri e i film del genere Sword and sorcery, al quale Frank Frazetta è riuscito a dare una veste iconica ispirata a un medioevo fiabesco e mostruoso destinato a grande successo fin dagli anni Sessanta – quando i ragazzi del Flowers Power scoprirono J.R.R. Tolkien (ma un po' anche Clive S. Lewis) – e ad alimentare, a differenti livelli, il filone tolkieniano vero e proprio, quello dei suoi molti emuli e ammiratori, quello magico-mitico “alla Conan il Barbaro” e quello magico­medievalistico-intergalattico alla Star Wars.

A sostenere tutto, una forse rozza e malintesa ma anche solida e a modo suo pulita e ingenua visione del mondo, concettualmente parlando manichea ma storicamente parlando puritana: la visione della lotta eterna tra Bene e Male, in cui Captain America, coperto non importa se da un più o meno credibile elmo medievale con cimiero, da un cappello texano a larghe tese, dal borsalino stazzonato del detective o dal berretto verde dei marines, è comunque il cavaliere Senza Macchia e Senza Paura che salva la Principessa Libertà dalle grinfie e dalle zanne del Mostro (non importa se nazista, comunista o islamista).

Un sottile filo rosso-bianco-blu lega il raffinato Adams, il buon vecchio Steinbeck e il “crociato” Bush jr. Ma è un filo tutt’altro che lineare: è pieno di sfilacciature, di garbugli e di strappi riannodati. E lega insieme i miracoli (tanti) e la paccottiglia (immensa) di questo Paese straordinario, dalle mille contraddizioni, dai centomila difetti e dalle innumerevoli, meravigliose risorse.

God bless medieval America.

  

  

©2004 Franco Cardini e mensile «Area», novembre 2002.

    


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