di FRANCO CARDINI

Si sente ripetere spesso, anche da personaggi istituzionali come Marcello Pera, giudizi sulla «inferiorità» della civiltà musulmana. E molti si domandano perché nei Paesi arabi non esista una autonomia dello Stato dalla religione. Ma chi l'ha detto? I casi storici dei movimenti «laicisti». E le molte colpe del colonialismo occidentale, che ha sempre favorito la fazioni più arretrate e conservatrici.

   

Perché ha difficoltà ad affermarsi un Islam «laico»? E gran parte di quel che accade oggi, a cominciar dal dilagare - se è vero che sta dilagando - del terrorismo di radice fondamentalista, non dipende forse dal fatto che l'Islam «non ha conosciuto l'illuminismo»?

Dinanzi a domande poste in questi termini - così come spesso le pongono i mass media - lo storico di professione potrebbe facilmente cavarsela denunziandone l'assurdità. Che cosa significa, difatti, Islam «laico»? Si è «laici» quando non si appartiene a una Chiesa storica organizzata e ci si oppone alle sue ingerenze nella vita civile, rivendicando la separazione tra Chiesa e Stato e tra legge divina e legge umana; ma nel mondo musulmano non esistono né Chiese storiche organizzate, né vere e proprie forme di istituzioni chiericali: l'Islam non potrebbe mai esser più «laico» di quanto storicamente non sia. 

Quanto all'illuminismo, si tratta di un complesso fenomeno storico, civile e intellettuale, che ha condotto al trionfo in Europa di un concetto filosofico e politico di «Ragione» elaborato contro i dogmi e le istituzioni tradizionali: qualcosa insomma d'irripetibilmente connesso alla situazione europea del XVIII secolo; non si vede come si possa pretendere ch'esso costituisca una fase «necessaria» nello sviluppo di qualunque civiltà. 

Le idee e le istituzioni non sono «merci» come tutte le altre: e, per quanto sia vero che il mercato corrisponde al primo e più importante dei nostri articoli di fede, non si dovrebbe pretendere come cosa del tutto naturale che «illuminismo» e magari «democrazia» siano merci così necessarie a tutti e appetibili da parte di chiunque. Che la cosiddetta civiltà occidentale sia la più ricca e la più potente del mondo ci autorizza davvero a pretendere ch'essa sia anche in assoluto la migliore e che tutte le altre debbano solo adeguarsi ad essa se vogliono accedere a un livello superiore? Personaggi come il presidente del Senato Marcello Pera sembrano esserne convinti; altri pensano che la realtà storica sia più problematica e credono di ricordare che la storia ha insegnato quanto sia iniquo e pericoloso il ritenersi migliori degli altri. Forse, una replica onesta ed equilibrata alle domande da cui siamo partiti dovrebbe arrestarsi qui: ma a qualcuno potrebbe sembrar elusiva. Cerchiamo allora di esser più chiari.

L'idea che nel mondo islamico non esista una separazione tra fede e politica, tra istituzioni religiose e istituzioni politiche, deriva da una grossolana visione storica delle cose che appiattisce le differenze e pretende di giudicare tutto secondo i modelli occidentali. In realtà, l'Islam - al pari dell'ebraismo - non conosce istituzioni religiose paragonabili alla Chiesa, ma soltanto associazioni, confraternite, comunità di preghiera o di vita ascetica, sodalizi che amministrano i beni materiali legati ai luoghi di culto. Da parte loro, le istituzioni politiche islamiche si sono fin dal VII secolo sviluppate tenendo conto di modelli statuali come gli imperi bizantino e persiano. La «shari'a», la legge derivante dal Corano, ha fino a tempi recentissimi avuto dappertutto un valore rilevante sul piano del diritto privato, e il potere dei «qadi», i giudici-giurisperiti, è stato quello paragonabile ai nostri «giudici di pace». I sovrani emanavano la loro legge, in arabo «qanun», una parola derivante dal greco «kanon» (da cui l'aggettivo italiano «canonico») e indicante il complesso giuridico dipendente dal diritto giustinianeo. 

Il grande sultano turco del Cinquecento, Solimano che noi chiamiamo «il Magnifico», è conosciuto in tutto il mondo islamico come al-Qanuni, «il Restauratore della Legge». Che i sovrani islamici siano ricorsi più o meno spesso al consiglio degli «ulama», gli esegeti del Corano provvisti di un'autorità legittimata da una scuola, non ha mai minimamente configurato un «conflitto tra Stato e Chiesa»: l'autorità politica restava la sola a decidere; e sorvegliava anche l'attività degli «imam», i direttori di preghiera che ogni comunità («jama'a») all'interno della grande comunità generale dei credenti («umma») si sceglie liberamente.

Il confronto con l'Occidente è dal canto suo cominciato presto: a partire almeno dalla fine del Settecento, da quando cioè da una parte i grandi sovrani musulmani (il sultano turco ottomano e sunnita d'Istanbul, lo shah sciita di Persia, il sultano tartaro-indiano e sunnita moghul in India) si sono resi conto che le potenze europee, con la loro superiore tecnologia, li avevano ormai superati e li stavano circondando in attesa di soggiogarli, e hanno quindi cercato di adeguarsi importando dall'Occidente tecnici e consiglieri militari; mentre dall'altra una già nascente «borghesia» cittadina, specie nelle città dell'Islam mediterraneo, guardava con insistenza alle novità politiche venute soprattutto dalla Francia.

Grande successo ebbe nel 1798 la propaganda del generale Bonaparte in Egitto, che puntava sull'identità pratica di Islam e «liberté-egalité» giacobine: per tutto l'Ottocento, soprattutto nell'impero turco, si diffusero organizzazioni massoniche musulmane che chiedevano una «modernizzazione» delle istituzioni civili dei loro Paesi. La rivoluzione dei militari (i «Giovani Turchi») nell'impero ottomano, che poi ha condotto alla rivoluzione kemalista «laica», dipende dall'onda lunga degli entusiasmi massonici cui si aggiunse un altro modello forte occidentale, il nazionalismo.

Il mondo musulmano del primo Novecento era quindi straordinariamente disposto all'occidentalizzazione. Ma ci furono di mezzo la prima guerra mondiale e gli esiti del movimento sionista. Dopo il 1918 le potenze vittoriose, specie Francia e Inghilterra, ancora interessate a un'affermazione di dominio coloniale (anche se fondata su nuovi caratteri istituzionali) ostacolarono le forze liberali e occidentalizzanti, specie nel mondo arabo, in quanto temevano che esse - coerentemente con i loro principii - avrebbero preteso indipendenza nazionale e alte royalties sul petrolio da poco scoperto. E favorirono invece regimi di tipo arcaico o tradizionalista, che non avevano pretese del genere: così in Arabia saudita gli inglesi favorirono i reazionari e fanatici sauditi (appartenenti alla setta oscurantista wahabita), che non apparivano politicamente pericolosi come i moderni, liberali e filo-occidentali ashemiti (la dinastia che ancora regna in Giordania) i quali sognavano una nazione araba moderna su modello liberaldemocratico britannico, che sarebbe stata una pericolosa concorrente.

Intanto, per le ragioni storiche note, gli occidentali non potevano non sostenere la formazione d'un'entità politica in Palestina per quanto ciò comportasse dei problemi per le genti arabe locali. Il fanatismo islamista attuale, che considera l'Occidente un avversario, non nasce dunque dalle brume dei secoli, non è atavico e radicato nella natura dell'Islam, non è «antico». è, al contrario, modernissimo: dinanzi alle reiterate promesse non mantenute degli occidentali, una parte dei musulmani si è lasciata convincere dai propagandisti dei vari movimenti radicali (che noi chiamiamo «fondamentalisti» e che aderiscono a movimenti nati non prima degli anni Venti del Novecento) che dall'Occidente vengono soltanto inganni e false promesse; e che, se il mondo musulmano vuol tornare allo splendore d'un tempo, deve trovare dall'interno di se stesso le energie a ciò necessarie.

Ma nemmeno i fondamentalisti sono sfuggiti all'occidentalizzazione: la loro propaganda politica e lo stesso strumento della guerra terroristiche sono desunti entrambi dai modelli rivoluzionari occidentali del Novecento. Lo stesso va detto per le «innovazioni» (che sono state tali) secondo le quali alcuni stati musulmani accettano oggi la «shari'a» come base della legge civile: si tratta di un cedimento dinanzi al peso crescente dei movimenti radicali, dal momento che in nessuno stato musulmano prima di quelli nati dalla disgregazione dell'impero ottomano (e garantiti dalle potenze occidentali: si pensi alla penisola arabica) si era mai verificato nulla del genere. Inglesi e francesi prima, americani poi, hanno lasciato per loro interesse politico che la situazione interna di molti stati musulmani si evolvesse in senso radicale; intanto nei paesi musulmani, preso atto del fallimento dei tentativi di modernizzazione e di occidentalizzazione autoctona (si pensi al «socialismo arabo»), ci si è volti al radicalismo religioso. Si pensi a quel ch'è accaduto in Libia e sta accadendo in Iraq: esauritasi per motivi diversi da paese a paese l'esperienza socialista e nazionalista, si è giunti all'accettazione della «shari'a» musulmana come base per la convivenza civile.

Una soluzione che, fino ad alcuni decenni fa, sarebbe stata impensabile. Questa la realtà storica. Il resto è frutto delle bugie e degli errori storici entrambi propagandati a gran voce dai «mass media» interessati a non farvi capire un accidente di quel che succede e a farvi credere che sia in atto uno «scontro di civiltà».

  

  

©2005 Franco Cardini. Articolo pubblicato su "La Gazzetta del Mezzogiorno", 31 luglio 2005.

    


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