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di STEFANIA SIVO

Bari, chiesa rupestre di Santa Candida.

   

Il fenomeno delle chiese e dei nuclei insediativi rupestri in Puglia, risalente ai secoli della dominazione bizantina (IX-XII secolo), è stato per molti anni ignorato o relegato a fenomeno marginale rispetto alla testimonianza storico-artistica delle chiese romaniche e dei castelli con i quali viene identificata l’immagine turistica della regione. In realtà anche il fenomeno dell’habitat rupestre appartiene di diritto al patrimonio storico-artistico della Puglia poiché ne raccoglie gli aspetti artistici ma anche storici della regione inerenti la vita materiale, gli aspetti linguistici, l’aspetto devozionale delle comunità rurali e soprattutto pone in rilievo il ruolo centrale svolto dalla regione nel medioevo, in relazione ai rapporti tra Oriente e Occidente.

I santuari rupestri pugliesi sono stati ritenuti spesso fondati da monaci basiliani, cioè seguaci della regola ascetica di san Basilio (che in realtà non fondò mai un ordine) che, fuggendo dalla Cappadocia a causa delle persecuzioni iconoclaste dell’VIII e del IX secolo, si sarebbero rifugiati in Italia meridionale dando vita ai primi insediamenti subrupe cioè scavati nella roccia. I documenti, in realtà, non confermano questa ipotesi pur affermando comunque la presenza nel territorio pugliese e lucano di comunità greche e italo-greche, armene e orientali, a carattere cenobitico o eremitico, che facevano riferimento a monasteri di cui oggi si conservano solo pochi ruderi, o di cui si è persa totalmente la memoria.

La politica bizantina, tra X e XI, secolo mirava alla riorganizzazione e allo sfruttamento del territorio incolto finalizzato ad aumentarne le potenzialità produttive: gli olivi, i vigneti, il grano e i frutteti rappresentavano la risorsa primaria dell’economia pugliese che veniva favorita attraverso la parcellizzazione delle proprietà terriere in cui i coloni risultavano quasi liberi da imposizioni. Il territorio era così suddiviso in chorìa, cioè unità insediative stabili, veri e propri villaggi rurali popolati da nuclei famigliari di diversa origine etnica e di fede differente.

Le caratteristiche geomorfologiche della Puglia agevolarono la diffusione dell’edilizia rupestre in quanto permisero alla popolazione locale di sfruttare la roccia per sopperire alle necessità abitative e per soddisfare le esigenze legate al culto religioso. Il fenomeno degli insediamenti rupestri interessa territori quali la Puglia e la Basilicata anche se assume caratteri differenti in base alle caratteristiche geologiche e alle diverse tradizioni di scavo. È bene distinguere il termine “rupestre” dal termine “ipogeo”, spesso usati impropriamente: con il termine “rupestre” si indica lo scavo realizzato utilizzando una parete in rupe offerta dalla particolare natura del suolo come lame e gravine mentre per “ipogeo” si intende lo scavo verticale verso il basso, effettuato dall’uomo, al fine di ricavare un vano o più vani comunicanti, raccordati con il livello di campagna da una rampa. Quest’ultima soluzione veniva adoperata nelle zone pianeggianti, quando cioè la morfologia del territorio non offriva naturalmente fianchi di roccia da scavare.

In Puglia il territorio carsico, ricco di gravine, permise la costruzione, o meglio l’escavazione, di molti villaggi rurali che sorsero dalla roccia, lungo le gravine, le lame, vicino ai corsi d’acqua e nei pressi delle vie di comunicazione più importanti. All’interno del villaggio rupestre, considerata vera e propria cellula economico-produttiva, la presenza di una chiesa contribuiva all’identificazione religiosa di una comunità, quindi il fenomeno delle chiese “scavate” non è isolato ma è da considerarsi come parte integrante del fenomeno della riorganizzazione territoriale voluta dai dominatori bizantini tra IX e XI secolo.

Le chiese, soggette all’autorità del vescovo più vicino, dovevano essere prima da lui consacrate e poi fornite di una charta libertatis per l’espletamento del culto e potevano divenire oggetto di compravendita, affidamento o lascito ereditario. Disposti a poca distanza dalle vie di comunicazione più importanti quali la via Appia (versoTaranto) e la via Traiana (verso Brindisi) i villaggi rurali presentano quasi sempre la chiesa ubicata in periferia rispetto all’abitato, il motivo non è chiaro forse per dividere un luogo di culto dallo spazio lavorativo o perché costruite in epoche successive. Tutte le province pugliesi risultano interessate al fenomeno rupestre mentre in Basilicata la zona di Matera è l’esempio più noto di insediamento protrattosi fino agli anni ‘50 del secolo scorso.  

Matera chiesa rupestre di Sant'Eustachio.

   

Il promontorio del Gargano, a partire dal IX-X secolo divenne meta di comunità benedettine, giunte da Montecassino e dal ducato di Benevento attraverso la “via sacra Longobardorum” (che univa Benevento a Siponto), che si insediarono in quella zona. Successivamente, a partire dal X secolo, in concomitanza con la dominazione bizantina e la politica di grecizzazione del territorio, si stabilirono sul promontorio garganico delle comunità monastiche greche che avevano come punto di riferimento il monastero di San Giovanni in Lamis, oggi San Matteo, dando vita ad una coesistenza pacifica di riti, culture e religioni diverse. I santuari e le chiese scavate nella roccia sono innumerevoli, tra tutti ricordiamo la grotta di San Michele di Monte Sant’Angelo, meta di pellegrinaggi che dal medioevo continua fino ad oggi.

La provincia di Bari conta oltre quaranta siti, fra villaggi e chiese, di interesse rupestre anche se oggi sono quasi tutti non visitabili, abbandonati al degrado e all’incuria cittadina. I siti di importanza storico-artistica eccezionale sono una decina solo nella zona di Bari, e sono prevalentemente villaggi e chiese rupestri scavati sui fianchi delle lame. Tra questi siti citiamo i più importanti: Santa Candida scavata sulle sponde del torrente Picone, risalente all’VIII-XII secolo, la chiesa di via Martinez (coeva a Santa Candida), la cripta funeraria di via Omodeo, il villaggio medievale di Torre Rossa, il trappeto Dottula e Lama Balice.

Le lame, disseminate in modo ortogonale al mare Adriatico, caratterizzano il litorale che va da Trani a Brindisi dove sorgono, lungo la via Traiana (segmento pugliese della via Francigena) le chiese rupestri più importanti come Santi Andrea e Procopio a Monopoli (una chiesa “doppia”), lama d’Antico a Fasano (conserva, se pur in stato di degrado, uno dei cicli pittorici più interessanti), San Biagio a San Vito dei Normanni (con ciclo di pitture “firmato” dagli artisti Daniele e Martino) e Santa Lucia a Brindisi.

Le chiese rupestri della zona di Altamura e Gravina sorgono lungo le forre (fossati ripidi e scoscesi prodotti dall'erosione delle acque), a cui appartiene anche Matera, e nei pressi della via Appia, strada che metteva in comunicazione questi insediamenti con il Gargano. Ad Altamura infatti è possibile visitare diverse chiese che hanno in comune la devozione per San Michele Arcangelo tra cui San Michele “delle grotte” scavata a imitazione della grotta di Monte Sant’Angelo e di cui conserva l’acqua miracolosa in un pozzo, e la grotta di San Michele, nella masseria Iesce, scavata lungo la via Appia. Di notevole impatto è il baratro di Gravina (detto di Botromagno) che conserva le chiese rupestri più interessanti come la cripta di San Vito vecchio (ricostruita nel museo Pomarici Santomasi), i cui affreschi uniscono la raffigurazione dei santi orientali come Basilio, Cirillo, Nicola, Andrea, Onofrio con quelli occidentali legati ai pellegrinaggi in Terra Santa come Margherita, Giorgio, Giacomo ecc.

Il Salento, la terra maggiormente grecizzata in Puglia, deve la sua importanza storica al ruolo di Otranto, già al centro dei combattimenti della guerra greco-gotica, che nel 968 divenne “metropolia” ovvero sede del metropolita, cioè il vescovo dipendente direttamente dal Patriarca di Costantinopoli. In concomitanza con questa elezione fu costruita una delle chiese più importanti del Salento, la chiesa di San Pietro, dall’impianto originale greco (a croce inscritta in un quadrato coperta da cupole) il cui modello di riferimento era la chiesa fatta costruire da Basilio I nell’880 nel Sacro Palazzo di Costantinopoli. Gli affreschi, datati fra X e XII secolo, ed eseguiti forse da un pittore di provenienza orientale, presentano un ciclo iconografico complesso: scene dell’Antico e del Nuovo Testamento e della Vita di Cristo. Nelle chiese rurali della provincia salentina, non furono riproposti i modelli iconografici di San Pietro. È possibile affermare, infatti, che nel Salento circolassero due tendenze artistiche principali, una caratterizzata da una committenza più colta praticata nei monasteri e influenzata dai modelli orientali, e un’altra più tradizionale e di gusto popolare.

Le chiese rupestri per la ricercatezza architettonica e per le decorazione pittoriche si presentano complesse e di alta qualità artistica; le planimetrie e le decorazioni delle chiese “scavate” riproducono fedelmente le piante delle chiese “costruite”. Nella fase dello scavo vengono così accuratamente scolpite nella roccia colonne, capitelli, paraste, finte trabeazioni e decorazioni dei soffitti che imitano delle finte cupolette. La differenza rispetto alle chiese costruite consiste nella pura funzione decorativa e pratica degli elementi architettonici e delle strutture: l’architettura “in negativo”, che procede per sottrazione di materiale, permette una maggiore libertà espressiva in quanto non vincolata da problemi di statica e di scarico delle coperture. Gli schemi classici delle chiese “costruite” ad aula unica, con o senza abside circolare, o a pianta basilicale di impianto latino, vengono ripresi ed adattati all’ambiente ipogeo o rupestre, prendendo spesso la caratteristica forma a ventaglio, espediente utilizzato per sfruttare al meglio l’illuminazione esterna.

Nell’insediamento in gravina, caratterizzato da escavazioni su vari livelli, la chiesa è posta alla sommità, nel pianoro superiore, non sormontata da altre strutture. Vicino alla chiesa talora c’è l’abitazione del prete o del custode, che in alcuni casi è costituita da più vani, collegata solo esternamente al luogo di culto. Davanti e accanto alla chiesa c’è l’area cemeteriale con tombe a fossa scavate nel masso tufaceo o sul bancone roccioso soprastante.

Come veniva costruita una chiesa subrupe?

Dopo la scelta del sito adatto per lo scavo, si passava alla ripulitura dell’area per portare a nudo la roccia. Un’incisione guida sulla roccia, approfondita, dava origine all’ingresso della chiesa; dopo aver scavato in profondità fino a creare un vano, si passava a rifinire prima le pareti laterali, poi quelle di fondo e infine il pavimento. La pianta iniziale, di solito quadrangolare, veniva ampliata seguendo la morfologia della roccia: dopo aver scavato l’aula iniziale si passava a scavare altri vani lasciando tra uno spazio e l’altro un tramezzo litico che veniva poi modellato in elementi architettonici sul modello delle chiese costruite (archi, arcate cieche, ghiere, pilastri ecc.).

L’architettura rupestre procede quindi per svuotamento e crea gli elementi del corredo liturgico con la pietra stessa. Le planimetrie sono formate da moduli, solitamente quadrangolari, che ripetuti o moltiplicati formano piante complesse. A questo modulo base si aggiungono le nicchie e l’abside, o più absidi come accade nelle chiese più complesse (vedi Santa Candida). Il lavoro effettivo di esportazione dei blocchi rettangolari era effettuato e diretto dal magister, invece l’opera di rifinitura era affidata al lapicida che probabilmente lavorava anche nelle chiese costruite.

L’ingresso, solitamente con architrave sormontato da lunetta con una o più ghiere, ha una funzione importantissima poiché veicola la luce all’interno della grotta, e per questo è collocata in posizione laterale o centrale rispetto al vano principale. Essendo l’ingresso l’unica fonte di luce dello spazio interno, le zone absidali risultano gli spazi meno illuminati e per questo più riccamente decorate. All’interno di alcune chiese pugliesi l’illuminazione, tramite lanterne, è documentata dalla presenza sul soffitto di anelli di aggancio delle lanterne stesse.

I cicli pittorici affrescati all’interno delle chiese rupestri pugliesi, anche se giunti in modo parziale, ad un’attenta lettura iconografica, risultano essere molto interessanti. È bene ricordare che la presenza di tombe sia all’interno che all’esterno delle chiese e le iscrizioni confermano la funzione e la fruizione a carattere privato di queste strutture. Infatti sono prima di tutto delle chiese funerarie e i cicli pittorici che decorano l’interno delle chiese documentano la committenza laica e di esponenti del basso clero degli affreschi.

Si nota la quasi totale assenza di cicli cristologici completi, di solito nelle absidi è presente la dèesis, cioè la preghiera che la Vergine e san Giovanni Battista rivolgono a Cristo Pantocrator (Cristo Onnipotente rappresentato in trono) per la salvezza dell’umanità; compare talora l’Annunciazione ma nella maggior parte dei casi (fa eccezione la chiesa di Otranto di San Pietro) è la rappresentazione dei santi, la cui iconografia è bizantina, a rivestire le pareti delle navate. Frequente è l’immagine della Vergine con il Bambino, intermediatrice privilegiata tra gli uomini e Dio, il cui modello di riferimento era la Madonna di Costantinopoli, che nella tradizione leggendaria si riteneva essere stata dipinta da San Luca, e di cui le tante icone presenti in Puglia ne sono un’ulteriore testimonianza.

In queste successioni dipinte i santi vengono raffigurati con i segni iconografici che li contraddistinguono e con pettinature, a volte molto elaborate, e abiti tempestati di perline e pietre preziose di fattura orientale. I santi maggiormente rappresentati sono quelli taumaturghi come Nicola, Cosma e Damiano, Biagio, Giacomo e Andrea che vengono raffigurati con gli abiti inerenti la funzione da loro svolta all’interno della Chiesa. San Nicola, per esempio, è sempre vestito da vescovo, con tunica, mantello (phailònion) e stola (omophòrion), raffigurato nell’atto di benedire alla greca. Seguono i santi militari come Giorgio, Teodoro, Demetrio, Procopio armati di corazze, lance, scudi e stendardi; gli asceti caratterizzati dagli abiti poveri, simbolo di scelta di povertà e le sante vergini come Margherita, Marina, Teodosia ecc., vestite della tunica, del mantello e del velo (maphòrion).

Il santo svolge una funzione di intermediazione tra Dio e gli uomini, e il buon esito alle richieste dei fedeli dipende anche dalla costanza con cui vengono dedicati loro onore e celebrazioni liturgiche. Gli affreschi non presentano strati di intonaci spessi, in alcuni casi si tratta di dipinti realizzati a crudo sulla roccia, e i colori ricorrenti sono l’ocra, il verde, l’azzurro, il bianco e il giallo. Accanto ai santi vengono dipinti i nomi dei santi tramite iscrizioni in greco o in latino, e in alcuni casi anche dediche o commenti suggeriti dai committenti dell’opera.

I cicli pittorici appaiono comunque meno aggiornati rispetto alle descrizioni delle chiese subdiali, come se i villaggi rurali conservassero più a lungo il legame con la tradizione bizantina e la cultura orientale, rispetto alle città più propense ad assecondare i nuovi dominatori (normanni e successivamente gli angioini). Nel XIV secolo, in piena epoca angioina, continua a prevalere la decorazione tradizionale bizantina anche se raramente le immagini sono accompagnate da iscrizioni in greco. Si registra un altro fenomeno: i santi occidentali come Francesco, Benedetto e Leonardo entrano a far parte dei cicli pittorici, da cui erano stati esclusi fino a quel momento, e lentamente vanno a sostituire i veneratissimi santi orientali.

       

      

©2006 Stefania Sivo.

   


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