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di FARA MISURACA

 

Alla morte di Arrigo sia in Germania che in Sicilia si presentarono una serie di difficoltà che difficilmente un erede al trono bambino come Federico (aveva solo 3 anni) o la madre Costanza, potevano fronteggiare. Ne seguì che, grazie a ben calcolati intrighi, il piccolo Federico perse i diritti di successione al trono di Germania in favore di Filippo, fratello di Arrigo, e Costanza nel tentativo di salvare per suo figlio almeno la corona del regno di Sicilia, avallò le pretese di Filippo riguardo il trono di Germania e quelle di vassallaggio del regno di Sicilia nei confronti del papato.

Fu per questi motivi che il piccolo Federico venne trasferito a Palermo e qui educato, come futuro re di Sicilia, sotto la tutela di papa Innocenzo III. Che non era quella brava persona amorevole e disinteressata che tutti credono, tanto che nella lettera che inviò a Federico al raggiungimento della maggiore età tenne a sottolineare: «Noi ci siamo assunti la tutela non tanto per disposizione di tua madre, quanto in conformità del nostro diritto sul regno» (Kolzer, in Renda). Costanza dovette pagare un prezzo altissimo per mantenere almeno una corona al figlio, la rinuncia all’impero ed il vassallaggio alla chiesa, ma non credo avesse molte scelte, e tutta la “carriera” di Federico fu certamente avvelenata da questo “peccato originale”.

Crescere in Sicilia fu certamente importante per Federico e proprio questo lo rese più siciliano che tedesco. L’identità la si acquista da piccoli a prescindere da dove si nasce. E così Federico, tedesco di nazionalità fu certamente siciliano d’educazione, e quindi poliglotta, abituato alla multietnia, raffinato, colto e soprattutto “assolutista”, come i re Normanni. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che il piccolo Federico crebbe sì in un ambiente colto e multietnico, ma crebbe anche “solo” e “senza amore”, e quindi poco incline al perdono e alla bontà. 

Ma torniamo a noi e cerchiamo di tenere presente che era interesse di Innocenzo III mantenere Federico vassallo della Chiesa e soprattutto mantenere indipendente e separato dall’impero il regno di Sicilia. Come ai tempi dei Normanni.

Per Innocenzo III era fondamentale che Federico non rivendicasse l’impero e che il regno di Sicilia non diventasse provincia dell’impero sfuggendo così al vassallaggio. Ma come abbiamo già avuto occasione di ricordare, il diavolo ci mette sempre la coda, specie quando è coinvolta la Chiesa. Quando, nel 1208, Filippo di Svevia viene ucciso e a lui succede Ottone IV di Brunswick, questi si impegna con Innocenzo III a rispettare l’indipendenza del regno di Sicilia. Nel dicembre dello stesso anno Federico raggiunge la maggiore età (14 anni), e “viene sposato” con Costanza, sorella di Pietro d’Aragona e vedova del re d’Ungheria.

Queste circostanze inducono i duchi di Puglia ed i principi di Capua, da sempre contrari all’egemonia del regno di Sicilia sui loro possedimenti, a fare pressione su Ottone per rivendicare le  pretese imperiali dinastiche sul regno di Sicilia. Per i baroni meridionali era certamente meglio avere un “padrone” lontano ed una maggiore libertà locale. Ottone non si fa pregare e nonostante l’impegno assunto con il papa ( rispetto cioè per l’integrità del regno di Sicilia) muove contro Federico; ma dovette fare i conti con il papato, che gli tolse il sostegno presso i principi tedeschi e rimise in discussione la sua nomina imperiale. Fu una mossa sbagliata da parte della Chiesa, perché i principi tedeschi offrirono proprio a Federico I, già re di Sicilia, l’impero con il titolo di Federico II.

Innocenzo III cercò di minimizzare i danni e assicurò a Federico il suo sostegno ed il suo aiuto per conquistare la corona di Germania a patto che “mai” il regno di Sicilia fosse unito all’impero. Federico accetta queste condizioni e per rassicurare il papa (e certamente dietro suo consiglio) designa come re di Sicilia il figlioletto Enrico, nato da appena un anno, e come reggente la madre Costanza (Kantorowicz).

A questo punto della storia potremmo considerare conclusa l’esperienza di Federico come re di Sicilia. Ma così non fu. Federico infatti, quattro anni dopo l’incoronazione a re dei Romani (avvenuta nel 1212) richiamò in Germania il figlio Enrico, re di Sicilia, e la moglie Costanza, e nel 1220, quando Innocenzo III era morto ormai da quattro anni e lui fu eletto imperatore, non ritenendosi più in dovere di ubbidienza al nuovo papa, Onorio III, uomo rivelatosi assai debole, fece eleggere re dei romani il figlio Enrico, riunendo così in un’unica persona il regno di Sicilia ed il regno di Germania; con questo escamotage Federico mantenne formalmente separato dall’impero il regno di Sicilia ma in realtà, in quanto tutore del figlio riunì nelle sue mani la corona imperiale e quella di Sicilia e quest’ultima cessò di fatto di essere regno indipendente e feudo della chiesa.

Anche la titolazione assunta è emblematica: Federico in quanto re di Sicilia avrebbe dovuto essere I, in quanto imperatore II. Federico II pertanto è soprattutto imperatore e, in quanto tale, re di Sicilia e più tardi di Gerusalemme. Non solo, ma Federico non è più, come ai tempi dei Normanni, re di Sicilia, del ducato di Puglia e del principato di Capua, ma viene creato un unico Stato comprendente tutto il Meridione, un regno non più autonomo ma provincia dell’impero, distinto in due distinte regioni, una insulare e l’altra peninsulare (Sturner). So di dare un dispiacere ai siciliani che mi leggono e sono cresciuti nell’illusione che Federico II sia stato un re innamorato dell’isola, ma in realtà l’"amore" di Federico non era rivolto all’isola quanto soprattutto ai suoi possedimenti peninsulari. Prova ne sono le poche volte che l’imperatore soggiornò in Sicilia una volta divenuto imperatore.

Probabilmente, se Onorio non si fosse rivelato "debole" Federico non avrebbe potuto fare il suo “gioco”.

Che lo Svevo avesse ben altre intenzioni che assecondare il papato lo si può notare dai suoi comportamenti. Dal 1212, anno in cui fu incoronato re dei Romani, al 1220 egli abbandonò il regno di Sicilia e si dedicò completamente alla conquista della corona imperiale. Raggiunto lo scopo abbandonò la Germania, il regno d’Italia, l’impegno della crociata (assunta con il papa) e si diresse in armi verso il regno di Sicilia per riconquistare quanto perduto dopo la morte di Guglielmo II. Varcato il Garigliano, per prima cosa convocò a Capua la curia generale del regno (successivamente chiamata Parlamento), dove promulgò tra l'altro la costituzione “sui privilegi da rassegnare”, cioè la restituzione di quei beni demaniali di cui si erano impadroniti feudatari e città dopo la morte di Guglielmo II.

Egli vuole ripristinare il regno monopolistico e assoluto degli antichi re normanni. La restaurazione dell’assolutismo normanno ebbe inizio proprio dai baroni e i principi più potenti: quelli della Puglia, della Campania e della Calabria, che si erano sempre opposti alla sovranità degli Altavilla ed erano in sostanza gli stessi che si erano schierati con Ottone di Brunswick. L’imperatore pretese la restituzione dei castelli e delle rocche e per ottenere ciò dai baroni più potenti si servì dell’aiuto di quelli meno potenti, privi di castelli, che egli richiamò al dovere del vassallaggio feudale.

Sconfitti i baroni della penisola ed incamerati i loro beni passò all’isola, dove le cose procedettero abbastanza celermente fino a quando non pretese la restituzione dei privilegi doganali e commerciali acquisiti in Sicilia dalle repubbliche di Genova e Pisa con le immaginabili conseguenze commerciali e politiche. Alla restituzione di quei privilegi seguirono la statalizzazione dei porti - la loro attività fu controllata esclusivamente dall’imperatore con lo scopo di garantirsi l’autonomia commerciale - e la costruzione di una flotta navale siciliana per i propri commerci. Con queste leggi Federico divenne il più grande latifondista ed il più grande produttore di grano e di cereali, cosa che lo rendeva uno dei sovrani più ricchi d’Europa. Ancora oggi c’è chi crede che il potere assoluto e la ricchezza privata possano fare la grandezza di uno Stato. Ma la storia dà torto a queste idee, vista la fine che hanno fatto Federico ed il suo regno, e come lui chiunque abbia creduto nel potere assoluto.

La centralizzazione del potere naturalmente comportò enormi conseguenze politiche, sociali ed economiche per l’intero regno, in negativo. Tanto per cominciare, privare le città siciliane dei pochi privilegi e delle poche libertà conquistate impediva lo sviluppo e la formazione di una borghesia come stava avvenendo nel resto d’Europa e nell’Italia settentrionale. Di questo paghiamo ancora le conseguenze (e continuiamo a chiederci, ingenuamente, perché).

L’impegno dell’imperatore nell’isola non poteva comunque fermarsi al ripristino delle proprietà demaniali. Nell’isola c’erano ancora i Saraceni, e questo era un problema, perché dove c’erano musulmani non sempre c’erano cristiani e viceversa. Esisteva ancora uno stato islamico e la “riconquista” di questi territori rientrava in una riconquista alla cristianità. E c’erano ancora gli ebrei. Che cosa fece allora Federico? Dobbiamo riconoscergli un lucido e fermo progetto politico. Egli sbarcò in Sicilia e appena messo piede a Messina convocò un parlamento!

In questa dieta furono promulgate leggi apparentemente secondarie, di poca importanza: ci si occupò della regolamentazione della vita degli attori, dei giullari, delle prostitute, dei bestemmiatori… e degli ebrei. Il problema degli ebrei era serio: in uno Stato cristiano essi erano tenuti ai margini della società ma tuttavia erano artigiani e finanzieri ineguagliabili, ed il loro ruolo era fondamentale! In Germania gli ebrei erano proprietà del regio demanio e quindi protetti dallo Stato e Federico II non poteva inimicarsi i grandi elettori, ma in Sicilia non usò lo stesso metro; qui non aveva forti oppositori e poté equiparare gli ebrei ai musulmani: fu fatto loro obbligo di farsi crescere la barba e di portare, tutti, maschi, femmine, vecchi e bambini, un marchio giallo sui vestiti, così come era stato deciso dal Concilio Laterano del 1215 (niente di nuovo sotto il sole!). Chi non ubbidiva subiva la confisca dei beni, se ricco, ed il marchio a fuoco sulla fronte, se povero (Kantorowicz). E i musulmani? Il problema era più grave, perché i musulmani erano in numero più rispetto agli ebrei ed il loro controllo non era facile, anche perché buona parte di loro, come gli ebrei, si era “convertita” (sono i “marrani”), in pubblico, cioè, si professavano cristiani, mentre in privato officiavano riti islamici o ebraici.

Ma non c’era solo il marranismo; in quel periodo c’era anche l’”irredentismo”, nel senso che i Saraceni di Sicilia, dopo due o tre secoli di permanenza, si sentivano siciliani, così come oggi si sentono americani o australiani i nipoti degli emigrati italiani dei primi del Novecento. E poi non esisteva neanche una pretesa superiorità della civiltà cristiana. I musulmani di Sicilia erano sicuramente più “civili” e colti dei cristiani venuti dal nord! La pretesa “cristiana” di prevaricare i Saraceni era pertanto solo “violenta”, e d'altra parte non c’erano più i “furbi” normanni, capaci di volgere a loro favore le attività delle “ormai” minoranze musulmane ed ebree rispettandole ed integrandosi ad esse (la guerra di conquista di Ruggero I d’Altavilla era durata oltre 30 anni ed alla fine non moltissimi erano i Saraceni rimasti).

Ai tempi di Federico si era venuto a creare nell'isola una sorta di Stato dentro lo Stato, e l’imperatore aveva poche scelte, e l'obiettivo più facile era quello di «exterminare de insula Saracenos» (Riccardo di San Germano). D'accordo, «exterminare» in teoria non significava soltanto sterminare, uccidere, ma anche “portare fuori dai confini”. Ma persone che almeno da due secoli vivevano in Sicilia, “erano” siciliani e nell’isola avevano tutti i loro beni ed i loro parenti, potevano mai andarsene tranquillamente? Ed infatti non lo fecero: si riunirono e decisero di rispondere alla guerra con la guerra. E la guerra fu dura, crudele e difficile, durò più di 25 anni e si concluse con la vittoria dell’imperatore a prezzo di sterminio (questa volta vero, fisico, in senso moderno), schiavizzazioni (di donne e bambini) e deportazioni: la più celebre è quella a Lucera.

Con la vittoria di Federico, imperatore e non re di Sicilia, la Sicilia cessò di essere quella “perla” plurietnica, plurireligiosa, plurilinguistica, multiculturale che tanto aveva dato allo stesso Federico, per diventare un enorme serbatoio di feudi spopolati da regalare anche a emigranti lombardi (ovvero non meridionali) fedeli all’imperatore.  

 

Bibliografia

David Abulafia, Federico secondo, un imperatore medievale, Einaudi, Torino 1993;
Ernst Kantorowicz, Federico secondo imperatore, Garzanti, Milano 1988;
Francesco Renda, Storia di Sicilia, Sellerio, Palermo 2004;
Wolfgang Sturner, Federico II. Il potere regio in Sicilia e in Germania, 1194-1220, De Luca Editori d'Arte, Roma 1998.
Salvatore Tramontana, La Monarchia Normanna e Sveva, UTET, Torino 1986.
Salvatore Tramontana, La Sicilia dall’insediamento normanno al Vespro (1061-1282), in Storia della Sicilia a cura di R. Romeo, vol.  III, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Napoli 1980.

    

   

  

©2005 Fara Misuraca

   


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