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Storie di dimenticanze e di abbandoni: una denuncia del 1985, ad oggi ancora disattesa

di Giuseppe Resta

Sant'Angelo della Salute (foto di Mario La Fortezza)

   

La chiesa di S. Angelo della Salute è sita in Galatone in contrada "Santangili", al confine tra l’agro di Galatone e quello di Nardò; all’interno dell’altra contrada storica "Feudo Negro", antico sito di un casale medievale ormai scomparso ma ben esistente sui documenti.

La chiesa, che ha notevoli dimensioni per una chiesa rurale, si trova quasi all’incrocio di due antichi percorsi: la via delle Camene, che univa Galatone a Nardò attraverso una zona che in antichità doveva essere paludosa ed oggi è bonificata con un canale cementificato, e l’altro percorso che da Copertino, per la contrada S. Cosimo di Nardò, per la zona centuriale di Attiano, prosegue sino alla Abbazia di S. Nicola dei Pargoletti verso la Traiana Salentina Occidentale, nota come Sferracavalli.

Pertanto questo percorso antico riunisce in agro di Galatone due importanti siti del monachesimo di origine cosiddetta "basiliana": S. Angelo e S. Nicola dei Pargoletti (noto come S. Nicola in Pergoleto).

Del vecchio casale di Feudonegro o Fumonegro, come si chiama popolarmente, si sa che nel 1407 era infeudato ad Ottino de Cariis. In seguito passa al Principe di Taranto che lo dona in dote alla sorella Caterina che va in sposa a Tristano di Clairmont.

Il casale segue le vicissitudini feudali del marchesato di Galatone che, insieme alla Contea di Copertino con Veglie e Leverano passa nel 1500 a Giovanni Granai Castriota e poi, nel 1556, ai genovesi Squarciafico. In seguito passa ai Pinelli e Pignatelli da cui resta dominato sino alla fine del feudalesimo nel 1806.

Oggi del casale non è rimasto niente se non la chiesa di S. Angelo e una piccola masseria che presenta strutture antiche, però Feudonegro esisteva e versava decime ancora nel 1603, anno dell’inventario dei beni di Cosimo Pinelli. Da questo inventario si sa che si producevano in zona “grano, orgio, fave, avena, lini, vini musti, lenticchia, zafarana, et ogli, tutti gravabili di decima.

Che si coltivasse l’olivo è deducibile da un antico oliveto a termiti (ossia con olivi innestati direttamente sull’olivastro) sito nei pressi della chiesa, all’incrocio dei predetti percorsi, dove esistono due maestosissimi esemplari di olivi di età certamente millenaria.

Si ritrova Feudonegro in una contesa tra le Università di Galatone e Nardò della metà del Settecento in quanto entrambe ritenevano che il feudo cadesse nel proprio territorio ma non è dato di sapere se a quella data fosse ancora abitato.

Il nome originario della chiesa di S. Angelo, che risulta documentata sin dal XIV secolo ma è sicuramente ascrivibile ad epoca precedente, dovrebbe essere stato quello di S. Angelo de Saltu, da saltus, ossia selva.

L’abbazia è da ritenersi sorta su sito "basiliano", ma i documenti la descrivono come chiesa benedettina soggetta a tassa di tarì 4 e 1/2 nel 1310 e 3 tarì nel 1325, mentre alla fine del 1300 la rendita era di 22 fiorini d’oro.

Dal 1300 in poi si trovano documenti che riportano molti degli abati che l’hanno retta sino al 1625.

L’attuale tempio, parte superstite del complesso abbaziale del quale si rintracciano solo alcune cisterne e un paio di edicole nonché un pozzo con vera scolpita che è stato in parte trafugato una decina di anni or sono, è con ubicazione est-ovest tipica delle chiese benedettine.

Sulla facciata ovest, sopra la porta d’accesso è presente un oculo con cornice in pietra leccese dal quale, al tramonto, entra la luce che va a colpire l’abside. La facciata risulta molto danneggiata da crolli e da crepe da ribaltamento.

L’architrave della porta sempre in pietra leccese, ora molto danneggiata, fa intravedere un angioletto scolpito. Il resto della chiesa è costruito in tufo carparino, arenaria tipica della zona con buone caratteristiche di resistenza.

L’attuale edificio mostra chiaramente come all’origine il tempio dovesse essere del tipo con copertura a capanna in struttura lignea e coppi e tegole. In seguito è stato voltato e, per resistere alle spinte della nuova copertura pesante, si sono realizzate lungo le due facciate nord e sud delle pareti a scarpa. La tipologia argillosa del terreno ed un regime di falda superficiale molto variabile ha fatto si che la volta riuscisse comunque a spingere verso l’esterno le due murature aprendo crepe e creando parziali crolli.

La chiesa presenta abside semicilindrica, di chiara matrice bizantino-durazzesca, ed un agile campanile a vela.

L’affresco dell’altare rappresenta il Cristo Morto ed è datato 1697. Straordinaria è la resistenza dei colori vivaci nonostante le ingiurie del tempo e dell’umidità.

Un altro precedente affresco rintracciabile sul margine inferiore è firmato da Vincenzo Rucco ed è datato 1601.

La chiesa è stata oggetto negli anni Ottanta di un tiremmolla tra Curia, proprietari finitimi e Comune di Galatone: nessuno la voleva!

Invece è risultata essere del Comune di Galatone che, oltre a murare la porta d'accesso, non ha mai fatto niente altro.

Ora essa giace abbandonata dalla gente, ma frequentata da ratti di dimensioni miracolose.

Intanto il vicino proprietario di casa “regolarmente” abusiva ha pensato bene di ricoprire il pregevole monumento (perché è provvisto di declaratoria n°del 01/02/1985, foglio 9, particella A) di rampicanti, e di appoggiarvi sopra anche una tettoia.

Inoltre qualcuno brucia sterpaglie a ridosso della bella abside cilindrica del primo impianto.

Le autorità tacciono nonostante i solleciti e l’interesse di numerosi visitatori.

   

Fonti bibliografiche: V. Zacchino, Galatone antica medioevale moderna, Congedo Editore, Galatina 1990.


Un articolo del 1985

 di Raffaele Miccoli, Pietro Vaglio, Antonio Zuccalà

    

Sull'antica strada medievale delle "Camene" che congiunge Galatone con Nardò, l'imbocco di un viale lascia intravedere la facciata della chiesa di S. Angelo della Salute. La costruzione sorge all'interno dell'area originariamente di pertinenza dell'omonima abbazia, individuata da alcune caratteristiche "cuneddre" (edicole religiose) e da un interessante pozzo sorgivo a edicola.

L'abbazia, con molta probabilità di origine basiliana (anche in considerazione dell'orientamento verso est dell'abside), appare documentata per la prima volta nel 1362, nel Chronicon Monasterii Neretini

«Morio lo Abbati Pietro, et foe electo lo Abbati Guglielmo, che era Abbati de Sancto Angelo de la Salute, et non pigliao subeto lo possesso de la Ecclesia [si tratta dell'abbazia benedettina di S. Maria di Neretum, oggi Nardò] perché lo Papa era ne la Franza: et così venio la confirma, et pigliao possesso...».

Da ciò risultano ad un tempo sia l'esistenza dell'abbazia «de Sancto Angelo de la Salute», sia la sua appartenenza all'ordine benedettino.

L'Abbazia di S. Angelo è citata ancora nella Relazione delle visite pastorali della diocesi di Nardò del primo vescovo, Giovanni De Epiphanis, nel 1412, nonché nell'inventario dei beni posseduti dall'Abbazia di S. Angelo di Salute nel 1452. Don Leonardo Ammassaro, arciprete galatonese, nel suo Libro di Battesimi e Morti la nomina nella cronaca di due omicidi avvenuti nei suoi pressi: 

«Febbraio 1583 - Eodem die 22 martedì fu ammazzato Guerra Fianò dove Santo Angelo di Salute alla via di Nardò et fu sepelito alla detta chiesa di Santo Angelo"; "Luglio 1585 - Sabato a dì 13 di luglio morse lo venerabile Donno Gio. Battista de Luca e morse chi li fu tirato una schioppettata alla via di Nardò dove le vigne del magnifico Lupo Antonio Cadarmi a S. Angelo martedì passato...».

Verso la fine del Seicento la chiesa fu assoggettata al Seminario vescovile di Nardò ed amministrata dal suo Rettore. Nonostante che la confisca sabauda del secolo scorso la spogliasse di tutti i suoi beni, l'abbazia continuò ad assolvere la sua funzione liturgica sino ai primi del Novecento.

La chiesa, di stile romanico, si presenta a navata unica ed è orientata secondo l'asse est-ovest. Le pareti laterali dell'edificio appaiono notevolmente ispessite esternamente per contenere la spinta dell'esistente volta a botte a sesto legger­mente acuto. Pur conservando l'originario disegno a timpano, la facciata denuncia una ristrutturazione avvenuta in epoca tarda, quando nuove esigenze, non sappiamo se decorative o strutturali, portarono alla realizzazione di un nuovo portale e di un nuovo rosone. Tali elementi architettonici, a differenza delle strutture in "carparo", si presentano in pietra "leccese"; materiale largamente impiegato nei manufatti barocchi. Nel XVII secolo la chiesa venne intonacata e arricchita di nuovi affreschi. La ristrutturazione avvenne con ogni probabilità quando l'abbazia passò sotto le dipendenze del seminario vescovile.

Il campanile, di pregevole fattura, può essere assimilato a quelli di S. Marina in Muro Leccese (XII secolo) e di S. Maria della Grotta in Ortelle (XIII secolo). La volta, i costoloni interni e gli affreschi più antichi richiamano la chiesa romanica di culto greco di S. Maria Odegitria in Gala­tone (XII secolo). Con la riforma liturgica l'altare (ora completamente distrutto) fu addossato all'abside, affrescata sino al pavimento, mentre originariamente doveva essere situato all'altezza dei costoloni interni individuando il presbiterio e rivolto verso i fedeli come nell'attuale liturgia.

Lo sprofondamento del pavimento nella parte centrale lascia intuire la presenza di ambienti sotterranei o la documentata funzione cimiteriale della chiesa. L'infiltrazione di umidità e il continuo vandalismo possono significare la distruzione totale degli affreschi seicenteschi, di cui è ancora possibile individuare alcuni temi.

 

Foto di Mario La Fortezza (1985)

Osservando la Deposizione del Cristo nel Sepolcro sull'abside, si possono vedere in alto, da sinistra a destra, le tre croci del Calvario, in basso una donna pia che regge la corona di spine e S. Giovanni Evangelista. Al centro si nota una donna pia, ormai priva del volto, che regge la testa e le spalle del Cristo nel sudario; in alto, con le braccia aperte, è raffigurata la Madonna, or­mai senza viso per una grossa crepa nel muro, trafitta da sette spade; in basso un sarcofago. A destra si vedono Nicodemo che regge i piedi del Cristo, un'altra donna pia ed infine la Maddalena che tiene un unguentario. Sulla destra, in alto, un paesaggio di fantasia con quattro torri, una guglia (forse dell'Immacolata di Nardò), una cu­pola (il battistero dell'Osanna di Nardò) e case a tetto. I1 dipinto reca la data del 1697.

L'affresco sul lato destro rappresenta molto probabilmente S. Nicola che, a braccia aperte, chiede intercessione alla Madonna col Bambino (in alto) per tre fanciulli vestiti da seminaristi. Sul lato sinistro, infine, s'intravedono solo la testa ed un'ala dell'Arcangelo S. Michele con la spada di fuoco alzata. Il resto dell'affresco non è più visibile a causa dell'umidità e di uno strato di calcina che lo ricopre. Sulla parete dell'abside in basso a sinistra si nota, sotto l'affresco seicentesco, la presenza di una precedente pittura, molto probabilmente coeva alla costruzione della chiesa, come suggerito dal gusto cromatico delle ocre su cui appaiono iscrizioni latine graffite. Dato il pessimo stato di conservazione, è estremamente difficile decifrare tali iscrizioni e solo uno studio più approfondito di paleoscrittura potrebbe dare maggiori e più sicuri ragguagli sulla loro datazione.

Nonostante le sovrapposizioni avvenute in epoche successive e lo stato di degrado in cui versa, l'abbazia costituisce una preziosa testimonianza di storia locale, la cui importanza è stata di recente riconosciuta dalla Soprintendenza ai beni storico-artistici che ha dato corso alla pratica di vincolo in seguito ai pressanti e ripetuti appelli rivolti dall'Archeoclub di Galatone. Il primo passo per il recupero del monumento è stato fatto.

  

©2007 Giuseppe Resta. L'articolo del 1985 è apparso sulla rivista «Cà de sass», n° 90, del giugno 1985 (edita e pubblicata dalla CARIPLO di Milano). Foto di Mario La Fortezza.

    


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