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di FERNANDO GIAFFREDA

 

 

 

Per quanto sempre presente e protagonista attivo in tutto l’arco storico delle differenti civiltà materiali senza peraltro acquisire mai completamente la sua dovuta dignità sociale – e perché no, la sua statura “umana”–, l’animale più a torto relegato nell’ombra della storia e nella sozzura materiale pare essere proprio il maiale.

Fortunatamente questo s-porco tema è ora stato ripreso con giusta misura da una singolare quanto interessante pubblicazione ad opera di uno di quei pochi storici non professionisti ancora in circolazione, il senese Gino Civitelli [1] – un vero “pilota di maiali”, come lui amerebbe essere definito. Il suo Il divin porcello [2] è pregevole perché se ne potrebbe concludere con la formulazione del seguente filone di ricerca storica: “Il maiale fa rima con la storia medievale”. Attraverso numerose citazioni, riferimenti, immagini e relazioni con le più diverse ed eterogenee discipline scientifiche, al porco viene riassegnata finalmente una dimensione dominante, l’emersione del suo disconosciuto ruolo storico, sociale e culturale nel Medioevo italiano e non solo.

Come il cavallo ha significato certamente qualcosa nelle diverse forme storiche di trasporto, così il maiale esprime quella stessa cosa nell’alimentazione di sostentamento specifica, altrettanto determinata storicamente. Il suino, come simbolo di pattume e come agente spazzino, ha veramente garantito a lungo la salute, salvaguardato la sussistenza dell’uomo medievale. Solo apparentemente può sembrare riduttivo e marginale un argomento simile. È l’oggettività e la personalità di questo sporco essere, così incredibilmente mitico fin dalle origini, a diventare finalmente categorie che fanno pesare nella storia più la prassi del rapporto umano con l’animale che l’astratto riferimento storico dell’uomo a se stesso.

I riflessi cultuali delle primordiali immagini rupestri del verro risalenti a diecimila anni fa, in epoca neolitica, rinvenute in una grotta dell’isola di Malta, si sviluppano distintamente in differenti significati unitari in Egitto, nell’area indiana, nella cultura celtica e in quella cinese, nella religione vedica e in quella più prossima, greco-romana e infine cristiana. Mentre nelle primigenie religioni naturali politeiste il maiale assume comunque forme e caratteri positivi legati alla sua fecondità, all’intensa prolificità dei suoi tre cicli annuali della riproduzione, al rapporto psicologico con la profondità che esso trascina per la capacità di annusare e scavare il terreno ecc., nelle religioni monoteiste e monofisiche, legate alla stanzialità dell’agricoltura distinta dal nomadismo, dove il maiale si afferma progressivamente sull’inaddomesticabile cinghiale, le rappresentazioni del porco si legano ad elementi simbolici più negativi, connessi ai vizi respinti e biasimati dalla cultura cristiana: ingordigia, sensualità, lussuria, abiezione, peccato!

   

L’ebraismo neglige il maiale per la difficoltà di assimilare in condizioni climatiche non propizie carni grasse e difficilmente conservabili. Per questo il maiale trionfa viceversa nelle regioni più fredde o temperate, particolarmente nell’Italia del centro nord e nell’Europa cisalpina. I Galli cispadani, ereditieri dell’uso sapiente del sale nella conservazione delle carni, forniscono ai romani i prodotti dell’allevamento dei suini destinati al vettovagliamento degli eserciti; e trasmettono ai Longobardi, i quali raramente consumavano carne fresca, la capacità di fare del maiale il simbolo sociale che li contraddistingue storicamente. In quel popolo la funzione del porco nel rito della fondazione si esprime nella leggenda medievale secondo cui «fu una scrofa semilanuta ad indicare a Belloveso il luogo dove fondare Milano, come è raffigurato in un bassorilievo posto in uno dei pilastri del palazzo municipale di Broletto» (pp. 3-4).

Difficile riproporre gli innumerevoli spunti utili all’indagine storica forniti da Il divin porcello. Rimandiamo il lettore attento e interessato al divertimento dell’indagine che suscita, sicuri che ne rimarrà soddisfatto. Basti soltanto accennare a una problematica medievistica ancora aperta: quella della funzione che assume a partire da un certo momento storico il territorio boschivo rispetto all’agro-campagna nell’epoca longobarda, e più in generale nell'intero Medioevo.

Dopo il III e IV secolo d. C. è noto come la «grave crisi demografica (…) incise soprattutto nelle popolazioni di campagna, con ripercussioni dirette e pesanti sull’agricoltura: aumentarono le aree incolte e boschive e diminuirono sensibilmente quelle coltivate, modificando così, in modo sostanziale, il paesaggio». «L’allevamento dei maiali allo stato brado», introdotto dai Longobardi a partire dal 569, significò non solo la modificazione delle vecchie abitudini alimentari romane, sostituite lentamente da «una civiltà seminomade abituata a prendere dalla natura ciò che spontaneamente poteva offrire», ma soprattutto volle dire una trasformazione economica e sociale destinata a cambiare il corso della storia: «I boschi diventarono così una grande risorsa. Quelli di querce della specie comune vennero considerati terreno produttivo al pari dei campi coltivati e delle vigne, per cui il loro valore commerciale aumentò in modo considerevole. Nella terminologia notarile del tempo, i boschi furono suddivisi in selve infruttuose quelli con piante che non producevano ghiande, e in silva ad incrassandum porco quelli che invece potevano permettere il pascolo dei maiali. Questo fatto rivoluzionò anche il tipo di misurazione dei boschi stessi, basandolo non più sulla loro estensione, ma sul numero dei capi suini che potevano sfamare; perciò gli amministratori dichiaravano che tale selva è da 100 maiali, oppure 500, e così via. Chi non possedeva boschi, ed era costretto ad affittarli, doveva pagare il ghiandatico, una tassa per le ghiande raccolte o consumate dal branco, oppure dare la decima porcorum, la decima parte dei maiali pascolati, al proprietario del fondo».

 

Si osservi poi la funzione dei porcari quali servi legati al fondo nel dirimere le questioni dei confini feudali per la loro qualità di conoscitori dei boschi: Matilde di Canossa dovette risolvere una questione di questo tipo nel 1096 per il possesso di boschi e paludi nella zona di Mantova. Oppure si guardi l’Editto di Rotari, che classificava in valore pecuniario le diverse categorie dei servi: un maestro porcaro valeva 50 soldi d’oro, mentre un contadino mastro ne valeva appena 20. O ancora, il Capitolare sulla gestione delle aziende regie emesso nel IX secolo dall’imperatore CarloMagno: disponeva misure e pesi precisi per la conservazione della carne di maiale.

Il porco insomma è divino per la sua capacità di condizionare provvidenzialmente la sussistenza e la vita dell’uomo o è divino perché “vive facilmente” già come cinghiale? La sua uccisione per soddisfare i più prosaici ed elementari bisogni dell’uomo è la forma rituale negativa della sua espulsione “oggettiva” dalla storia?

 


1 Nato nel 1947 a Buonconvento di Siena, borgo comunale pregno di storia medievale non solo per aver visto nel 1307 nuovamente cadere nella morte malarica di Enrico VII le speranze storiche di un’Italia a tendenza laica, Gino Civitelli vive e lavora a Monteroni d’Arbia nei pressi della gualchiera e molino edificato nel 1323. Questo “pilota di maiali” più che storico di professione non possiede infatti alcun titolo accademico riconosciuto, se non quello di aver conseguito la terza media statale fin da giovanissimo, ed ha al suo attivo diverse specializzazioni non ufficiali, legate strettamente al concetto di quella “prassi” ormai negletta da molti intellettuali, ma che illumina mirabilmente la sua inconsueta storia universale e medievale del porco.

Etruscologo, micologo, mineralista, pittore e scultore, studioso di storia locale, museologo eccetera eccetera, le suggestioni lo hanno portato a esporre il suo divino maiale in 26 brevi sezioni che funzionano come virtuali tematiche a se stanti, ognuna degna di sviluppi e ricerche ulteriori, e che meritano qui di essere elencate nello stesso ordine: Il maiale nella storia - Il maiale nell’Odissea - Guardiani e ammaliatori - Vivande prelibate - I maiali in Valpadana - La conservazione della carne - L’origine delle parole - Il maiale nel Medioevo - I porcari - Il pascolo - Maiali a spasso - Il Capitolare di CarloMagno - Migliacci, buristi e mortadelle - Ricette - Il maiale nel calendario - Sant’Antonio - Araldica e toponomastica - Hanno detto… - Proverbi e modi di dire - Citazioni - Botta e risposta - Golosi celebri - Pregiudizi e verità - La cinta senese - Il testamento del maiale - Quando s’ammazzava il maiale.

2 Gino Civitelli, Il divin porcello. Storia del maiale nella storia, Terre de Sienne editrice, 2001.

  

   

© 2003 Fernando Giaffreda

 


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