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di Raffaele Licinio

 


     
PREMESSA AL VOLUME DEL 2001: Castel del Monte e il sistema castellare nella Puglia di Federico II, a c. di Raffaele Licinio, Edizioni dal Sud, Bari.

Negli anni scorsi un ufo è planato su un’alta collina della Murgia andriese, è atterrato nel cortile di Castel del Monte e vi ha deposto un baccello; uno di quei baccelli capaci, come in un “classico” del cinema di fantascienza, L’invasione degli ultracorpi, di sostituirsi all’ignaro ospite, assumendone l’aspetto e il controllo. Nella disattenzione generale e nel disimpegno degli esperti, il baccello alieno si è modellato giorno dopo giorno, pietra dopo pietra, sulle forme del castello edificato dallo svevo Federico II, sino a prenderne il posto. Oggi è questo alieno a forma ottagonale, con otto torri ottagonali e un cortile con otto lati, che ci si mostra: un alieno che continuiamo a chiamare Castel del Monte, ma che con il castrum di Santa Maria del Monte, con la corona ottagonale in pietra voluta dall’imperatore svevo, non ha più nulla a che vedere.

Questo nuovo oggetto è invece venuto dal cielo, mosso dall’energia degli astri: qualcuno lo dice “costruito” dal sole. Lì, su quella collina e non altrove, i sensori geometrico-astronomici dell’alieno hanno scoperto di poter giocare, pur con qualche approssimazione e qualche forzatura, con le ombre e con la luce, con i numeri d’oro e i numeri magici, con le latitudini e le divine proporzioni. E poiché non c’è gioco senza fantasia, l’alieno “misterioso” si è immaginato allineato “quasi perfettamente” con la cattedrale di Chartres e con Gerusalemme, e discendente da altri oggetti “misteriosi”, tutti progettati sulla base di uno stesso numero, il 111, formato (come ognun sa) dalla somma di 37 e 74 (non di 99 e 12, o di 45 e 66): ed eccola emergere dalla sabbia la Grande Piramide, la tomba del faraone Cheope, innalzata nel terzo millennio avanti Cristo, ma che qualcuno pretende costruita su un’unità di misura, il cubito sacro, inventata a tavolino nel secolo XIX dopo Cristo.

Insignito anche Federico II del titolo di faraone, l’“ultimo dei faraoni”, l’edificio alieno si è sottoposto ad un’accurata operazione di lifting retrospettivo: via ogni insopportabile segno di funzione difensiva (dov’è il fossato?; dov’è il ponte levatoio?; dove sono i sotterranei?), via ogni sospetto di utilità residenziale, via ogni rapporto con il paesaggio circostante. Superbo nella sua solitudine territoriale, in questo modo fuori anche dal tempo storico, si è imbellettato con optional lussuosi e intriganti: un osservatorio astronomico, un nido d’aquila, una cupola d’oro sul tetto, una piscina con gradini e sedili imperiali nel cortile, un portale con firma d’autore a display liquidi, un’enciclopedia dell’occulto, uno scrigno che custodisce il santo Graal, e una identità magico-esoterica che miscela sotto lo stesso velo millenaristico templari e cistercensi, sacerdoti egizi e percorsi iniziatici, miti letterari e cavalieri crociati.

Se a tutto questo non credete, è perché non volete credere. Sicuramente, il vostro scetticismo è frutto di arroganza scientista, della supponenza tipica (come ognun sa) del mondo scientifico “accademico”: bisogna invece essere pronti ad ammettere quel che oggi è impossibile e domani, forse, chissà... Verificare con gli strumenti consolidati dell’analisi critica e controllare per poter discutere diventa, a questo punto, operazione inutile, sconsigliabile, senza senso: le frontiere della nuova conoscenza, la scienza del futuro, si intravvedono azzurre all’orizzonte. La cultura non ha confini: come l’ignoranza, direte voi. Ben detto: concorderete allora che qualche “regola” non guasta, purché politicamente corretta e stabilita da qualche commissione di “illuminati”...

Chissà che non siano questi, gli strumenti di conquista dell’alieno: affidare la divulgazione storica ai cercatori di enigmi; trasferire la storia dai manuali, poveri (come ognun sa) di par condicio, alla realtà virtuale degli Indiana Jones e delle Lara Croft; trasmettere affascinanti immagini che stimolino credulità, non riflessione; rendere noioso, accademico, insensato disquisire sulla sottilissima e delicata differenza tra “parole in libertà” e “libertà di parola”. Poi tornerà l’ufo, e i grandi sacerdoti dell'estremo revisionismo storico che ne usciranno potranno finalmente indicarci le vere fonti del sapere. «You’re next», siete voi i prossimi: era l’indimenticabile, angosciante finale del film di Don Siegel.

Questo libro non ha l’ambizione di proporsi come una sorta di “manuale di resistenza” contro il diluvio attuale della divulgazione storico-esoterica. Più semplicemente, esso vuole tentare di riavviare una discussione su Castel del Monte che, indicati i limiti di teorie incongrue e improbabili, e senza sottovalutare tutto ciò - simboli, valori, immagini - di cui esso di volta in volta si è caricato nel corso dei secoli, ne recuperi l’originaria identità di castello medievale: un castello dalle funzioni polivalenti, un maniero, da ricollocare nel tempo storico, al di qua delle mirabolanti invenzioni del Medioevo neotemplare. Nel tempo storico ci sono questioni e domande aperte su cui ridiscutere, non misteri o enigmi da svelare: quando e perché è stato costruito Castel del Monte? Perché su quella collina? Come valutare un assai poco noto documento che assicura che il castello esisteva già in età normanna, prima ancora che Federico II nascesse? Si tratta di una notizia falsa o è possibile che ci fosse in zona una preesistente fortificazione normanna? Ed è possibile leggere e comprendere Castel del Monte al di fuori di quell’organico “sistema castellare” che lo svevo seppe realizzare per garantirsi il controllo e il governo del territorio?

È appunto il sistema castellare il filo che unisce i quattro saggi qui presentati. I primi due analizzano Castel del Monte a partire dai nodi storico-documentari e dal groviglio di interpretazioni “alternative” che, pur nella verificabile debolezza dell’impianto metodologico e per quanto dense di errori e contraddizioni, sono state capaci di offuscare e modificare, nell’immaginario collettivo, ruolo, funzioni e identità dell’ottagono federiciano. Gli altri due saggi indagano su due tra i principali castelli costieri del sistema castellare della Puglia sveva, quelli (ancor oggi esistenti) di Barletta e Trani, e su uno dei meno studiati castelli dell’interno, quello (oggi ridotto a rudere) di Canosa, posto presso la via Traiana e dunque a forte valenza strategico-militare. Delle tre strutture, ricostruita la storia tra età normanna e periodo primoangioino, vengono colti i legami, visivi, comunicazionali, militari, con Castel del Monte e con le altre fortificazioni della zona. Un percorso qui appena avviato, che converrà in seguito approfondire e allargare a tutte le fortificazioni che hanno formato le maglie del sistema.


PREMESSA AL VOLUME DEL 2002: Castel del Monte. Un castello medievale, a c. di Raffaele Licinio, Mario Adda editore, Bari.   

Un altro libro su Castel del Monte? Basta, non se ne può più!

Legittima la domanda, comprensibile l’insofferenza, di fronte ad una produzione libraria che sul castello federiciano ha assunto negli ultimi anni dimensioni invadenti e invasive. Ma questo, diciamolo subito, è un libro per molti aspetti diverso. La chiave di lettura che esso propone è la storia, non il mito, né la metastoria nelle sue innumerevoli espressioni, esoterica, neotemplare, dilettantistica, e via proseguendo.

Il confronto con il mito, operazione tutt’altro che estranea al lavoro dello storico (storia e mito come forme di “racconto”), segna da tempo le ricerche su Castel del Monte su piani diversi e con risultati di grande interesse, in connessione necessaria con il mito di Federico II. Anche per questo siamo oggi consapevoli del ruolo di mitomotore (mito che fonda radici e identità culturali comuni, e le sviluppa) rappresentato nella cultura diffusa contemporanea – italiana ma non solo – dall’ottagono federiciano. E qui il richiamo all’immagine del castello stilizzata nel centesimo dell’euro non ha bisogno di spiegazioni.

Il confronto con il filone che per comodità definiamo qui “alternativo”, al contrario, non può che proporsi in termini chiari e decisi. Per quanto esistano approcci differenziati, non tutti omologabili tra loro, alle tematiche di quel filone, troppo diversi ne appaiono i caratteri costitutivi rispetto a quelli delle ricerche storiche (a loro volta da non omologare). Ma, a parte le ricerche dilettantistiche, “sparare” sulle quali è un po’ come “sparare sulla Croce Rossa”, è proprio la produzione esoterico-neotemplare, ormai una sorta di enciclopedia del mistero e dell’occulto incardinata sulle figure più rappresentative di un Medioevo di maniera (cavalieri arturiani, monaci tenebrosi, crociati in divisa), che ha influenzato più di ogni altra l’approccio “di massa” nei confronti di Castel del Monte, sollecitando l’attenzione dell’industria culturale e degli strumenti mediatici, più che all’”essere” interessati all’”apparenza” e al facile collegamento, al pittoresco e al “colore”, agli enigmi insoluti e alle notizie “da richiamo”, quasi che la storia umana non ne sia già ricca per suo conto. Risultato? Il rischio di produrre, nell’assenza di rigorosi interventi dello storico, un pericoloso corto circuito nel cosiddetto “immaginario collettivo” tra il Medioevo fascinoso ma unidimensionale e atemporale della divulgazione e del consumo culturale, e i Medioevi possibili della ricerca.

Per proporsi in termini produttivi, il discorso dello storico deve necessariamente essere demistificante. Non solo delle conclusioni, quanto soprattutto di un modo di procedere e di indagare che nella produzione alternativa su Castel del Monte tende a porre in secondo piano, davvero non casualmente, sia la documentazione disponibile, ignorandola o peggio stravolgendola, sia la necessità costante del dubbio. Tra natura e tipo di documento, interpretazione, intuizione, dubbio e verifica, lo storico lo sa bene, il rapporto non è lineare né antitetico: è complesso e dialettico, o non è. Ma l’interpretazione della fonte e i suggerimenti dell’intuizione non possono darsi né farsi senza regole, senza rigore, senza limiti, pena la trasformazione del dubbio nell’indimostrabile, del relativo nell’assoluto. E quando la documentazione è o appare scarsa o insufficiente? Risponde Jacques Le Goff, nella laterziana Intervista sulla storia: per il Medioevo (noi possiamo dire per Castel del Monte) «lo storico ha a disposizione un numero sufficiente di documenti, ma non troppi. Per sopperire a queste mancanze è in qualche modo obbligato a studiare fenomeni che non si esprimono attraverso l’evenemenziale» (pp. 70-71). Ma qui l’accento è posto sull’antropologia, grazie alla quale la storia, la «storia nuova», «cerca di conservare la lezione della lunga durata», non sui fenomeni esoterici o sui percorsi iniziatici verso il “Sapere” e la “Verità”.

Un rapido esempio gioverà al discorso. Sulle pareti di Castel del Monte sono visibili ancor oggi tre iscrizioni di non agevole lettura, una nel cortile, le altre in due sale del primo piano, definite impropriamente “crittogrammi”: qualcuno tra i più prestigiosi esponenti del filone esoterico ne vanta da qualche tempo la definitiva decifrazione. Decodificata, una delle tre misteriose scritte, attribuita personalmente a Federico II, significherebbe: «Nel Nome di Dio, contro il diavolo lo costruii [il castello] per l'eternità per mezzo dell'ottava conoscenza, e fino al giorno del giudizio questo luogo sarà sacro». Castel del Monte, dunque, come enorme amuleto (che spreco di pietre e di denaro!), e Federico II, garante per l’eternità della sacralità dell’edificio, gran sacerdote di riti esoterici, suo malgrado. Ora, immaginate lo stupore e i brividi di sconcerto del visitatore del castello (sono decine di migliaia all’anno) quando si sente riferire questa lettura in termini di certezza, non di “curiosità”, e dopo aver appreso, sin dal suo ingresso nell’edificio, che c’è qualcosa di misterioso in ogni sua pietra, in ogni sua parte: un “magico” ottagono con 8 torri di 8 lati ciascuna... E poi, quando è morto Federico II? Nel 1250; sommate le cifre, 1+2+5+0, il risultato sarà 8. Coincidenza? No, mistero! Ma è possibile tutto questo?, obietterà il visitatore più diffidente e coriaceo. Certo, sta scritto “nei libri”, sarà la risposta d’ordinanza, i libri del più autorevole studioso di Federico II, un uomo che studia lo Svevo da oltre un trentennio; non bastasse, se ne parla di frequente anche sui giornali e in televisione (è vero, uno studioso così prodigo di scoop, va “coccolato”).

Torniamo all’iscrizione e limitiamoci qui a esaminarne la sola parte finale, «DIE 3 7bs ISbb», che letta all’incontrario significherebbe: «La pietra [bb] del luogo sacro [IS] custodita [3 7bs] di giorno [DIE]». “Decifrata” invece secondo le comuni regole di lettura epigrafica, paleografica, storica, quella successione di lettere e numeri indica senza ombra di dubbio - ma certo più banalmente - una data, «Die 3 septembris 1566». D’un colpo, il presunto crittogramma spezza ogni legame con l’esoterismo, il mistero e lo stesso Federico II, e invecchia di tre secoli; per ringiovanirlo e riportarlo al Duecento, occorre rovesciare le parole che lo compongono, la filologia, l’epigrafia, la logica e il cervello del presunto decifratore.

  

Centralità della ricerca storica, dunque, delle sue metodologie, dei suoi strumenti d’analisi, della sua acribia: per riaffermarla in termini di necessità e utilità, in questo volume si è pensato di ripresentare, con lievi modifiche volute dall’autore, il saggio che uno storico di professione, Giosuè Musca, pubblicò nel 1981 per Mario Adda editore, in un volume a più mani curato da Giorgio Saponaro, Castel del Monte. Il libro, da tempo esaurito, ha conosciuto una buona fortuna, ma il saggio di Musca, dall’emblematico titolo Castel del Monte, il reale e l’immaginario, pur essendone il perno centrale, e pur contenendo una serie di riflessioni e di direzioni di ricerca innovative, in questo ventennio è stato più apprezzato che utilizzato e citato. Pure, tra pagine ancor oggi attuali – lo noterà il lettore – per indicazioni e suggestioni, una delle proposte interpretative di maggior interesse definiva Castel del Monte «maniero» polifunzionale e multisegnico: un’ampiezza di funzioni, quelle appunto riconoscibili nei manieri medievali, e di significati, razionali e simbolici, da ricondurre alle scelte politiche e culturali di un Federico II ricollocato nel suo tempo, tutti individuati e proposti attraverso un’indagine che faceva giustizia di schematismi e stereotipi di vario genere. «Denso di significati e punto focale di valenze incrociate», così conclude Musca, il maniero pugliese rappresenta «il monumento emblematico di una cultura, di una maniera di concepire la società e la vita e i rapporti tra gli uomini che non è più la nostra»: per noi, esso è «una sintesi di opposti vertici del poligono mentale medievale. Ma è insieme la testimonianza della spietata logica del potere».

Di quelle conclusioni e di quel percorso analitico sono debitori i contributi raccolti in questo nuovo volume: dal mio, apparso in edizione ridotta nel recente Castel del Monte e il sistema castellare nella Puglia di Federico II (edizioni dal Sud), a quelli di Massimiliano Ambruoso, Lucia Angelica Buquicchio, Marisa Depascale e Simona Pontrelli, che formano il saggio Castel del Monte tra astronomia ed esoterismo, risultato del lavoro di un gruppo di ricerca attivato da una delle cattedre di Storia medievale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari, in cui si esaminano criticamente alcune tra le più note e recenti tesi su Castel del Monte; sino a quello di Stefania Mola, Architettura e veste ornamentale: immagini e simboli, che muovendo dalla tesi del progetto architettonico del castello realizzato come work in progress, ci conduce nell’universo di simboli, modelli, valori e rappresentazioni dell’ideologia imperiale condensato nell’ottagono murgiano.

Caratterizza e collega tutti i contributi la consapevolezza dell’esigenza di restituire a Castel del Monte la sua ricchezza di maniero dai molteplici segni e dalle molteplici funzioni, anzi, ancor più e ancor prima, la sua stessa natura di “castello medievale”, due termini che nell’ultimo ventennio, in relazione all’ottagono federiciano, sono stati dapprima banalizzati, quindi caricaturizzati, poi definitivamente accantonati o negati. Ribadire che il castrum di Santa Maria del Monte, Castel del Monte, omen nomen, è un edificio castellare, un magnifico castello polifunzionale, voluto da un imperatore vissuto nel secolo XIII, costruito con tecniche duecentesche e non estraneo al più vasto sistema castellare perfezionato dallo Svevo come strumento di governo, può apparire operazione superflua. In sé, lo è certamente: la sua indispensabilità s’impone in relazione e reazione alla inarrestabile marea di scritti che, l’uno dopo l’altro, hanno progressivamente decontestualizzato la natura dell’edificio, in una incredibile catena di travisamenti, conclusioni visionarie, errori e stereotipi che si perpetuano di volume in volume, giustificandosi l’un l’altro.

Così, alla fine della catena, ci appare un Castel del Monte tanto più fascinoso quanto più impossibile e fuori dalla storia: rigorosamente costruito in metri (Federico II “era in anticipo sui suoi tempi”) anziché in palmi napoletani, unità di misura che rende impossibile “giocare” con il numero 8 attribuendolo ad ogni componente, anche la più impensabile, dell’edificio. Ricoperto da una luccicante cupola d’oro, che lo trasforma in un miraggio non metaforico. Allineato esattamente sull’asse cattedrale di Chartres - tempio di Salomone di Gerusalemme: quasi esattamente, per la verità, perché se fosse allineato con precisione finirebbe in mare, nel golfo di Manfredonia. Costruito come modello in scala della grande piramide di Cheope, stanza segreta compresa: peccato che il cubito sacro, l’unità di misura attribuita alla piramide, sia l’invenzione di un archeologo dell’Ottocento! Edificato nel secolo XIII grazie ai proventi della Dogana della Mena delle Pecore istituita solo nel secolo XV (ancora un Federico in anticipo sui suoi tempi). Collegato ad Andria e a Barletta da una chilometrica galleria sotterranea così ben nascosta che nemmeno oggi siamo in grado di individuarla. Capace di emanare energia radioattiva e misteriose onde elettromagnetiche, ma il vicino ripetitore radiotelevisivo di Monte Caccia non c’entra per nulla. Sede di segrete riunioni dell’imperatore con templari e teutonici, cistercensi e cavalieri del mistero, ogni 23 settembre, giorno dell’equinozio autunnale: chiaramente, il Federico II sempre presente in quella data altrove, in tutti gli anni del decennio 1240-1250, non è che un depistaggio, una magnifica burla per i contemporanei e per i posteri. E infine e soprattutto, ci appare il Castel del Monte edificio iniziatico progettato con l’intervento dei Templari per ospitare degnamente il santo Graal: e il cerchio si chiuderebbe, se non ci fossero ancora da “scoprire” l’arca di Noè e l’Atlantide.

A far da collante a queste “visioni” di Castel del Monte sono il rifiuto della sua natura castellare e, insisto, l’assoluta incapacità di tener conto dei documenti disponibili (non solo scritti) e di interpretarli secondo condivise regole filologiche, e in qualche caso persino l’assoluta ignoranza della loro esistenza. Perché perder tempo con le fonti? L’ottagono basta guardarlo, per “capirlo”... Se poi qualcuno, tra i meno sprovveduti, non rinuncia a dotare le sue pagine di una spolverata di note bibliografiche (la forma conta...), attenzione: non ditegli che il Graal è un’invenzione letteraria, o che i registri originali della cancelleria angioina sono andati perduti. Produrreste un trauma irreversibile, e vi guadagnereste la fama di accademico pignolo sino al sadismo («Professore, lei ci ha distrutto un sogno!»).

  

Il lettore troverà nei saggi del volume le risposte, quelle oggi possibili, alle più comuni domande su Castel del Monte: perché e quando è stato costruito, e perché su quella collina murgiana? Che cosa simboleggia l’ottagono, e si tratta davvero di un ottagono regolare? Quali funzioni (non quale unica funzione) doveva assolvere l’edificio? È vero che nel suo cortile Federico II fece costruire una vasca ottagonale? È vero che lo Svevo ne fece la sua dimora preferita, oppure nel castello non c’è mai stato, nemmeno una sola volta? Che peso attribuire ad un documento non falso che nel 1269 cita il «castrum Sancte Marie de Monte» già esistente su quella collina nel secolo XII, un cinquantennio prima della sua edificazione? E via domandando: questioni cui cercare di rispondere su basi storiche e documentarie, non “misteriosi enigmi” da sciogliere in qualche seduta spiritica o trasformando il castello in piramide e Federico II nell’ultimo faraone. Non è il caso di anticipare qui le risposte. Su due punti conviene invece insistere sin d’ora. Il primo è l’anello di partenza della micidiale catena di stereotipi, la “madre” di tutte le fantasiose interpretazioni dell’ultimo ventennio: l’affermazione secondo cui l’edificio ottagonale sarebbe (sarebbe stato: ma non è la stessa cosa!) assolutamente privo di strutture difensive. Castel del Monte non presenta il fossato (lì, su una collina della Murgia!), non ha ponte levatoio, non ha muro di cinta, non ha sotterranei, stalle, cucine, dunque, è lapalissiano, non è un castello. Monsieur de Lapalisse può attendere: l’assenza di elementi difensivi, ci urlano i documenti sul castrum, è un clamoroso equivoco, se non un clamoroso falso. Ma quand’anche fosse dimostrato – e non lo è – che l’edificio era privo sin dall’origine di una o più strutture difensive, la sua identità castellare non ne sarebbe per questo scalfita, sempre che ci si riferisca alla pluralità di forme architettoniche e funzioni presenti nei castelli reali, nei castelli del Medioevo tempo storico.

Il secondo punto riguarda una ricorrente obiezione: Castel del Monte non può essere analizzato all’interno del sistema castellare federiciano, perché si tratta di un eccezionale unicum, un edificio non assimilabile per tipologie, funzioni e segni simbolici ad alcun altro castello medievale; inserirlo in quel sistema di controllo militare del territorio significa svuotarlo della sua straordinaria unicità, riducendolo quasi al rango di una torre qualsiasi. L’obiezione è facile e leggermente mistificatoria: il sistema castellare federiciano è, appunto, un “sistema”, non un semplice assemblaggio di strutture militari. Le sue funzioni strategico-militari sono solo una, forse nemmeno la principale, delle componenti che lo caratterizzano; ci sono, e hanno un peso di primo piano, le funzioni residenziali e quelle rappresentative, le funzioni di comunicazione e quelle di propaganda; le funzioni simboliche e quelle politiche. È l’insieme delle funzioni a costruire il “sistema” e a farne uno strumento di governo: e Castel del Monte, elemento tra gli ultimi realizzati del sistema, quelle funzioni le rappresenta tutte, compiutamente e con risultati eccezionali (ecco il “maniero” proposto da Musca). Altro che torre! Piuttosto, è chi lo isola dal sistema e lo legge unicamente in chiave di dimora imperiale, che ne riduce e ne minimizza ruolo e funzioni.

  

Concludiamo. Se si eccettua la tesi astronomico-geometrica elaborata un trentennio fa da Aldo Tavolaro, cui vanno comunque riconosciuti diversi meriti (il che non ci impedisce in questo volume di sottoporne a serrata verifica i dati e le metodologie, con esiti che ne contestano l’attendibilità), le proposte interpretative del filone alternativo, in primo luogo di quello esoterico-templare, cui è approdato recentemente lo stesso Tavolaro, si rivelano su un piano storico, nella quasi totalità dei casi, allucinazioni e farneticazioni visionarie: più che un castello in aria, un Castel del Monte “non-castello”. E tuttavia, o proprio per questo, esse hanno incontrato il favore del grande pubblico e acceso i riflettori degli strumenti della comunicazione di massa, giungendo a solidificarsi sin nelle presentazioni ad uso turistico dell’ottagono murgiano (parentesi: la Regione Puglia è a tutt’oggi [2002] l’unica in tutt’Italia a non aver istituito per legge un “patentino” ufficiale di guida turistico-culturale; quale istituzione si fa garante della preparazione storica delle nostre guide?). Il successo arriso a quelle interpretazioni – ecco un altro terreno d’indagine per lo storico – ha molte spiegazioni: non ultima il fatto che il “non-castello” è figlio di immagini dell’età medievale assai diffuse nella cultura di massa, il Medioevo della New Age, del neotemplarismo, del gothic revival o del gusto neoromantico, un tempo simbolico e alternativo che “funziona” più e meglio del tempo storico, un Medioevo da “sognare” leggendo un romanzo, andando a cinema (il luogo deputato del sogno di massa), scorrendo la pubblicità (geniale il manifesto che, usando l’immagine stereotipa dello Svevo con un falco sul braccio, qualche anno fa pubblicizzava i primi voli della compagnia aerea “Federico II”, a Foggia, con questa scritta: «Perché un falcone può volare, e un foggiano no?»), o infine visitando Castel del Monte. Un non-castello da sogno per un non-Medioevo da sognare. Il punto è che, prima o poi, i sogni hanno fine e dal sonno ci si deve svegliare, altrimenti è coma profondo; e, nel coma, il sogno si trasforma in incubo.

Allora, un altro libro su Castel del Monte? Finalmente sì; non un illusorio punto d’arrivo, ma una tappa per riaprire su basi storiche l’analisi e la discussione sull’ottagonale castello federiciano.

  

   

©2007 Raffaele Licinio. I due testi sono stati pubblicati come Premessa nei volumi su citati.

   


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