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di PIPPO LO CASCIO

 

 

A partire dalla seconda metà del XV secolo, la vita della comunità marinaresca mondellese e l’esistenza stessa del complesso del malfaraggio (tonnara), si deve alla costante vigilanza del mare da parte dei torrari (militari o civili che custodivano le torri). Preposti alla loro difesa impedirono cruenti sbarchi in massa di nemici lungo l’arenile ed in molti casi seppero tenere testa a predatori ingaggiando con loro lotte a distanza col fuoco dell’artiglieria pesante. Le torri della Tonnara di Mondello e del Fico d’india, posta quest’ultima a poca distanza in linea d’aria dalla prima, rappresentarono punti chiave della difesa del versante occidentale palermitano, grazie all’appoggio delle due torri del monte Gallo, l’Amari e la Mazzone, costituirono punti di riferimento delle torri appadronate (di privati cittadini, di padroni), dislocate nelle Piane di Gallo e dei Colli e che rispondono ai nomi di Addaura, Saline, Cagiulano, Canazzo, Waldisi, Sessa, Falde, Santocanale, De Simone, Parisi, Leone, Pilo, Celi e Giovanni.

  

La torre della tonnara di Mondello

Le prime notizie documentarie sulla torre della tonnara di Mondello sono relative al 1455, anno del suo primo impianto. Il luogo forte si rese necessario per difendere le maestranze artigiane, le abitazioni dei tonnaroti (marinai della tonnara), il complesso dei magazzini, le lunghe imbarcazioni e le attrezzature, costituite dalle reti, gomene, galleggianti e quanto altro potesse servire all’impianto della tonnara ed alla mattanza (uccisione e pesca). Già all’inizio del XV secolo il villaggio si concentrò attorno alla torre posta a sua difesa e ad una chiesetta per le funzioni religiose dedicata alla Madonna delle Grazie. L’edificio sacro venne abbattuto in tempi recenti per fare spazio ai servizi dei locali gastronomici che sin dagli anni ’50 del secolo scorso, attanagliano la torre in una morsa mortale.

La torre della Tonnara (da una foto di Mario Cipriano)

  

Una chiara testimonianza della grande quantità di pescato che si ricavava dalla tonnara mondellese e della conseguente ricchezza che tale attività produceva tra i suoi lavoranti nella prima metà del Cinquecento e per riflesso anche alle economie della vicina città murata di Palermo, ci è fornita grazie al rinvenimento di due documenti notarili datati a 27 d'aprile I indicionis 1518. Le due missive sono indirizzate a sua Cesarea et Cattolica Maestà Carlo V. La prima lettera fu inviata dai monaci del convento di San Francesco di Paola di Palermo lamentando la modesta quantità di pesce loro assegnato annualmente, con il conseguente peggioramento della loro dieta alimentare, ridotta a base di verdure e di farinacei. Con tale richiesta i monaci speravano di ottenere in donazione ben quattro tunnina salati, anziché i soliti doi pesci per tonnara stabiliti dalla Magnae Regiae Curiae Rationum, attraverso l'interessamento di un non meglio identificato Giacobo Lo Caxo. La lettera prosegue specificando che la richiesta deve intendersi estesa a tutte le tonnare del golfo di Palermo ed a quelle di Sòlanto e di Mondello, in particolare.

Il secondo plico, spedito dalla madre superiora del venerabile Monasterio di donne (...) nominato li Sette Angeli, aveva il medesimo tenore del primo; infatti dopo un preambolo interlocutorio in cui denunciava l'indigenza quotidiana, la sorella lamentava di «…fare asperrima vita, et mai mangiamo carne, et latticino, se non cose quadregesimali et se con dette elemosine non conseguissero alcun pesce salato, loro vivere sarebbe difficultoso continuamente mangiando herbe (...) supplicano Vostra Majestà che si degni far gratia a detto Monastero delli altri doi pesci, che detto quondam Giacobo Lo Caxo tenia sopra dette tonnare…». Anche il monastero e l'annessa ecclesia Sancti Nicolai de Plano, i cui resti sono visibili tra le attuali località di Partanna e dello Z. E. N (Zona Espansione Nord), ricevette numerose donazioni di tonni per far fronte ai periodi di misero raccolto dovuto alle stagionali invasioni di cavallette. Anche i pescatori avevano delle lamentele da fare a sua maestà, poiché a causa della lunghissima lista di chiese e di conventi che dovevano ogni anno approvvigionare gratuitamente, i poveri tonnaroti, molto spesso, tornavano a «…casa nudi e digiuni e delusi affatto della sortita pesca…».

Nel 1599 l'architetto militare fiorentino Camillo Camiliani fu tra i primi strateghi a segnalare la necessità di proteggere dai fulminei attacchi pirateschi le tonnare, le saline e le sorgenti d’acqua potabile, motori trainanti della nascente economia palermitana, con la costruzione di forti torri o la riparazione ed il potenziamento di altre già esistenti. In una lista delle tonnare del 1583 in esercizio nello specchio di mare tra Acqua dei Corsari ed Isola delle Femmine, ne vengono menzionate ben sette, disposte mediamente ad una distanza di tre miglia l'una dall'altra. Il breve tratto tra una e la successiva, durante le complesse operazioni di calato delle "camere della morte" e di traffico di superficie, creavano notevoli problemi alle imbarcazioni di piccolo cabotaggio, di delimitazione delle acque territoriali. Nello stesso anno lo stabilimento industriale mondellese fu ricordato ancora dal Camiliani. L’architetto effettuò infatti una ricognizione di tutto il litorale dell’Isola, a seguito dell’incarico conferitogli da Marco Antonio Colonna di pianificare il progetto delle fortificazioni costiere a completamento della rete di avvistamento e di difesa già esistente. Nella Descrittione dell’isola di Sicilia, il Camiliani testualmente cita: «…di qui comincia una piegatura del lido nella quale si vede una tonnara detta Mondello…», ma stranamente non fa alcun accenno alla torre, sebbene svettasse in posizione strategica a difesa della marina. Un secolo dopo è invece riportata di sfuggita dal Portolano di Sicilia del capitano di Termini Imerese, Filippo Geraci, Pilota reale della Squadra di Sicilia, come egli stesso amava qualificarsi. Questi così riporta: «…a miglia 3 la punta di Mondello, qual sopra tiene una torre di guardia e dalla parte di terra di ditta punta (…) da detto sorgitore comparisce il baglio della tonnara…».

Notizie storiche

Tra i secoli XVI-XVIII, il ricco territorio della Piana di Gallo era un intenso fiorire di attività agro-pastorali legati sia alle coltivazioni degli orti e dei vigneti, che al taglio dei canneti ed all’allevamento di ovi-caprini e di bovini, ma soprattutto allo sfruttamento di un’ampia foresta, utilizzata come miniera di biomasse animali e vegetali. La periodica attività della tonnara e del malfaraggio di Mondello, era in grado di offrire numerosi posti di lavoro sia a maestranze specializzate quali pescatori, salatori, cordai, mastri d’ascia (falegnami), calafati e bottai, che ad un ingente numero di marinai generici, bordonari (carrettieri), contadini, jurnalari (lavoratori giornalieri) e carbonai. A questi si aggiungeva una folta schiera di uomini di fatica, impiegati soprattutto nella costruzione e nella riparazione delle reti con la cespugliosa ddisa (Ampelodesmos mauritanicus), cime di grosse dimensioni per l’ancoraggio della "camera della morte" e delle complesse parti che compongono l’isola. Nel versante meridionale della vicina laguna o pantano, era in esercizio una salina che produceva e raffinava il prezioso elemento, utilizzato in grande quantità per salare il pescato ed il rimanente venduto nei mercati cittadini in concorrenza con quello trapanese. Insostituibile per la cucina e prezioso integrativo per l’allevamento del bestiame, il sale era la merce maggiormente ricercata, al pari dell’acqua potabile, da pirati e da corsari che razziavano il comprensorio.

Il volume di affari dei conciatori di pelli era particolarmente elevato, grazie soprattutto alle varietà di articoli di pellami, di cuoi e di marocchini conciati col tannino, l’acido che si estrae anche dalla battitura dei ramoscelli e dalla spremitura delle odorose foglie di mirto (Myrtus communis). A partire dal XII secolo, la pianta venne diffusamente coltivata nel Piano di Gallo ed ancor più nella prima metà del Trecento, grazie alla famiglia di imprenditori pisani Gaddu da Nubula, che sfruttarono il territorio colmando una serie di pantani. La ricchezza economica del suolo era garantita da una grossa sorgente di acqua potabile, l’Ayguade, riportata da una mappa francese di età settecentesca, individuata nel vasto tenimento che fu del principe di Scalea. La fortuita scoperta di numerosi qanat (canalizzazioni sotterranee) tra la via Castelforte e lo Z. E. N. 2 che raccoglievano le acque delle falde freatiche dei monti Billiemi e Pellegrino e le convogliavano verso le vasche di raccolta e di distribuzione, completano il quadro della ricchezza idrica del territorio.

Tutti gli elementi sin qui elencati rappresentarono, oltre che il fiore all’occhiello della novella imprenditoria palermitana, anche un forte richiamo verso le nostre coste, di corsari e di predoni, che partivano dalle munite basi della costa del Nord-Africa, come l’isola di Jerba, Tunisi, Biserta, Orano ed Algeri, col miraggio di ricco bottino. Per far fronte alle continue razzie ed alle devastazioni, gli abitanti apprestarono una serie di iniziative atte a proteggere le colture, i depositi alimentari dei bagli, le chiese, i conventi ed in particolare le preziose vite umane. Uno dei progetti maggiormente perseguiti, fu la vigilanza attuata dai cavallari (soldati a cavallo) che battevano le marine con il precipuo compito di allertare tempestivamente i soldati di stanza al Castellammare di Palermo per le necessarie difese. In particolare la vigilanza alla Fossa di li Galli si rese necessaria poiché la sinuosa fossa del Malopasso, sotto l’alta falesia del monte Gallo, era in grado di offrire rifugio ai predoni occultando la presenza dei vascelli alla vista dei torrari. Da qui la necessità di proteggere i tonnaroti e l’economia del pescato e dell’inscatolamento, con un luogo forte che avrebbe dato rifugio sicuro a quanti si fossero trovati impreparati ad un improvviso raid piratesco.

Nei secoli XVI-XVII, i pochi chilometri di costa che dall’Isola delle Femmine giungono sino all’Addaura, furono presi costantemente di mira dai pirati barbareschi con frequenti raids, allo scopo di razziare i villaggi, le attività economiche, ma soprattutto per catturare uomini, donne e bambini da vendere nei suq (mercati) e lungo le piste carovaniere Nord-africane e sahariane. Ecco come l’architetto Camillo Camiliani ricorda i tristi anni della fine del ‘500, quando i pirati erano pressoché arbitri della sorte e della stessa vita dei cittadini di Palermo: «…i Corsari di primo lancio tirano alla Cala da loro detta Conca d’ Oro (…) dove che i Corsari si sbarcano la notte fanno le loro imboscate dell’uno e dell’altra parte della strada, e la mattina tante anime quante vogliono e robba, e vettovaglie si pigliano con la commodità poi dell’acqua, che ivi vicino commodamente possono pigliare…». In caso di attacchi violenti ed improvvisi, a farne maggiormente le spese erano i pescatori, i contadini ed i lavoratori della fascia costiera.

Il territorio di Mondello non si sottrasse a tale fenomeno: lo attesta una lunga lista di incursioni. Nel 1562 avvenne un «desembarco turcos Monte Pellegrino y Mondello»; nel 1574 la ripercussione di un raid piratesco nelle acque mondellesi si ebbe persino nella città di Palermo, dove truppe armate e privati cittadini vennero mobilitati per dare una pronta risposta di forza: «…a hore cinque di notte (…) per fare uscire li cavalli contro certi corsali che aveano pigliato a Mondello certi pescatori…». Quattro anni dopo, nel 1578, Mondello fu oggetto di una nuova incursione, durante la quale bande piratesche rastrellarono il territorio riuscendo alla fine a catturare due pastori, i fratelli Agostino e Filippo Calabria, intenti a pascolare le pecore per conto di Francesco Todaro, ricco commerciante palermitano. Nel 1580 nuova scorreria al Passo di lo Dauro (Addaura), probabilmente durante le fasi di un inseguimento a contadini che cercavano scampo nelle balze del monte Pellegrino, attraverso il passo della Vuletta Grande. L’arrivo dei pirati sarà stato certamente preavvisato con le comunicazione ottiche dei fani (fuochi e fumi) o con acuti suoni di brogna (conchiglia) o con spari di mascolo (un corto cannoncino), a cui erano tenuti a partecipare quasi tutte le torri di avvistamento costiere di "lunga distanza", quali la torre Mazzone di Gallo e la torre del monte Pellegrino. Seguivano poi quelle di "corta distanza", come le torri di Capo Zafferano, del Rotolo, di Punta di Priola, della Tonnara di Vergine Maria, della Tonnara di Mondello e del Fico d’india. Un fitta ragnatela di segnalazioni, infine, "avvolgeva" la torre dell’Addaura, provenienti dalle torri appadronate o agricole, che rispondevano ai nomi di Salina, Waldisi, Canazzo, Cagiulano e Celi, volendo considerare solamente quelle a ridosso della fascia pedemontana del Pellegrino.

Quella della Tonnara di Mondello, da un punto di vista tipologico, fu tra le prime torri efficienti ed autosufficienti ad essere impiantate nel territorio palermitano, dopo l’edificazione della torre di "fra Giovanni" o del Rotolo, nell’omonima punta tra l’Addaura e la località di Vergine Maria. Ascrivibile, questa, al primo quarto del secolo XV, è di ridotte dimensioni, di fabbrica poco solida ed inadatta a sostenere il peso dell’artiglieria ed è priva della cisterna per la raccolta dell’acqua potabile. Si passò in seguito a progettare e ad edificare tipi più solidi e con cisterna ricavata tra il piano di calpestio e la prima elevazione, esigenze dovute ad un miglioramento della potenza distruttiva delle bocche da fuoco e da più frequenti attacchi alle coste siciliane.

La torre misura m. 18,50 dall’attuale piano stradale sino all’astracu a cui si aggiungono m. 0,80 di parapetto circolare a coronamento della parte terminale dell’edificio militare. Tutt’intorno al muretto, spesso m. 1, si aprono numerose feritoie per le armi da fuoco. L’altezza dell’unico ambiente interno, dal piano di calpestio posto nella prima elevazione, sino al tetto dammusato, misura m. 6,50. Il diametro interno, ovvero lo spazio abitativo dei torrari, è m. 7,40, mentre lo spessore murario è mediamente m. 1,45.

  

La torre del Fico d’india

Eretta su un eminente sperone di roccia calcarea che chiude ad Occidente il golfo di Mondello, la torre del Fico d’india fu una strategica torre di avvistamento e di difesa della marina e delle Piane dei Colli e di Gallo. L’elevata posizione del manufatto rispetto alla media altimetrica dei luoghi, permetteva agli occupanti di avvistare l’aggressore al suo apparire all’orizzonte e di difendersi più agevolmente, colpendo dall’alto l’aggressore. In ottima posizione avanzata sul mare, dal cui astracu (terrazzo, posto di vedetta) la vista spazia per 360° a dominio di un’ampia fascia costiera sul mar Tirreno Nord-occidentale, fu attivamente presente nella storia della marineria locale per oltre tre secoli. Asservì al principale compito di punto di riferimento per le numerose torri sparse tra le campagne della Piana, ben protetta dai monti Gallo, Pellegrino e Billiemi. Capo Gallo detiene il primato geografico di sperone roccioso più avanzato della Sicilia Nord-occidentale ed ha svolto, durante i secoli XVI-XVIII, un’importante funzione di sentinella e di protezione delle barche da pesca e commerciali che facevano navigazione di cabotaggio. La protuberanza rocciosa del Capo, divide in due la scenografica zona marina del Malopasso. Il versante occidentale è caratterizzato dall’alta falesia che giunge sino al borgo marinaro di Sferracavallo, superando nell’ordine le penisolette della Punta Tara e della Punta di Barcarello. Il versante orientale è costituito dalla località Marinella, fascia pedemontana su cui a mezza costa si aprono le famose grotte di età preistorica e punico-romana: grotta dei Vitelli, grotta Perciata, grotta del Capraio, grotta Regina, grotta dei Vaccari e grotta della Caramula, scoperta di recente.

La torre del Fico

  

Il tozzo promontorio su cui la torre è arroccata era raggiungibile, in antico, dal Planum (il Piano di Gallo) da tre ben distinte trazzere (strade poco praticabili). Le vie serpeggiavano tra pantani di acque dolci e zone rocciose affioranti tra le "terre rosse". La prima via era costituita da una sottile lingua di terra frammista a sabbia che separava il mare aperto dalla laguna costituita dal Pantano di Mondello. Un’altra via, che ricalca in parte le attuali vie Spinasanta e Tolomea, si snodava lungo il costone occidentale del monte Gallo ed era preferibilmente utilizzata da viandanti e da commercianti che provenivano dal borgo di Tommaso Natale. Un’arteria interna, infine, collegava il villaggio agricolo di Partanna, attraverso l’attuale via Pazienza, costeggiando la salina e gli orti, all’interno dei quali si ergevano le torri appadronate Pilo, Canazzo e Cagiulano, sino a giungere al borgo di Mondello. Da lì l’arteria sfociava in un pianoro in cui si aprivano, al limitare della scogliera, una cava di ciaca (roccia calcarea) ed una calcaja (fornace per la produzione della calce), il cui prodotto finito era commerciato in tutti i paesi limitrofi con buoni profitti. Ai margini di una spianata, denominata un tempo Chianu a Turri (Piano della Torre), è stato identificato un talus (sito) preistorico e recuperati numerosi materiali consistenti in selci lavorate e resti di pasto risalenti al Paleolitico superiore (12.000-10.000 anni fa). L’antica testimonianza archeologica, distante dai ripari sottoroccia e da grotte, tra le più interessanti tra quelle rinvenute nel comprensorio, è stata documentata negli anni ’50 del secolo scorso dal De Stefani, prima della definitiva cancellazione avvenuta durante lo scavo per l’edificazione del complesso alberghiero "Ashur" che occupò l’areale prospiciente la penisoletta e la torre del Fico d’india. Questa, un tempo, isolata sul brullo e pietroso promontorio, è oggi accerchiata da strutture alberghiere e da un grosso centro balneare che sorge nei pressi della cappella di San Giuseppe, antica testimonianza di pietà religiosa, oggetto di culto dei pescatori del borgo.

  

Notizie storiche

La torre venne edificata nel 1445 per volere del Senato di Palermo, in seguito al perdurare degli attacchi pirateschi portati al villaggio di Mondello ed all’entroterra del Piano di Gallo. Il piccolo scaro, il porticciolo ben riparato dai venti, il medesimo che attualmente è visibile nel versante occidentale del golfo, era quello che subiva maggiormente gli attacchi navali. Dopo un accurato studio topografico da parte degli strateghi del tempo, la scelta dell’edificazione cadde su un modesto promontorio a dominio della Fossa del Gallo e del golfo di Mondello, sino a giungere alla Punta di Cèlesi, eminente luogo dove «…s’alza un sasso molto difficultuoso a montarvi sopra (…) per la guardia della propria punta e chiamata Mondello…». Datata al 1699 è la più antica rappresentazione cartografica che si conosca di essa, contenuta in una mappa francese che la indica con il nome di Tour des Figuires, ovvero la "Torre dei Fichi", collocata tra la Tour de la Madragua (la torre della Tonnara di Mondello) ed il Cap de Galle, che segna il punto più settentrionale costiero. Con la spettacolare falesia del Malopasso, aspetto geologico che si manifesta con le pareti del monte strapiombanti a mare.

Non conosciamo il tempo occorso ai mastri murari (muratori, architetti) per l’edificazione, probabilmente in concomitanza con la vicina torre della Tonnara. Da alcune notizie forniteci dal diarista Pollacci Nuccio, ci è pervenuta l’entità del suo effettivo costo: la cifra complessiva si aggirò intorno alle 100 onze, che per quei tempi rappresentava un’ingente somma. Il presidio militare preposto al delicato compito degli avvistamenti e delle trasmissioni coi fani, era stabilmente assicurato attraverso la vigilanza di due torrari pagati in eguale parte dalla Chiesa e dall’universitas, ovvero la pubblica amministrazione palermitana. In un capitolo della Descripciòn de las marinas de todo el rejno de Sicilie, dell’architetto militare toscano Tiburzio Spannocchi datato 1578, si chiarisce che la paga era versata in eguale misura dall’arcivescovo di Palermo et l’altro la città. Tale ripartizione di spesa per la guarnigione è confermata, due secoli più tardi, dal marchese di Villabianca: uno dei due guardiani della torre era pagato direttamente dal Senato Palermitano, mentre l’altro «…che in essa veglia, tien l’assento di (onze) 19.6. E vanno sopra l’azienda del nostro Arcivescovo a titolo di suo salario…».

La caratteristica sagoma della torre, emergente dal territorio ben visibile da grandi distanze, viene ricordata da numerosi studiosi, viaggiatori e marinai, tra cui Giuseppe Massa che nell’opera La Sicilia in prospettiva, afferma che essa trovavasi «…su scoscesa rupe di salita difficile…"». L’erudito palermitano marchese di Villabianca ebbe modo di visitarla e fu spettatore di riguardo di alcune concitate fasi di una sanguinosa e drammatica mattanza, in compagnia di Anna Maria Alliata, principessa di Villafranca e delle due figlie monacande. Anche il Villabianca la denomina "torre del Fico d’india" e la ricorda di sfuggita con brevi note caratteristiche, soprattutto per l’irta posizione. Il nome della torre ricorda l’Opuntia ficus-indica, la pianta succulenta che cresce spontanea nella penisoletta tra gli anfratti della scogliera, riparati dai forti venti di maestrale e di scirocco. Nel XVII secolo la torre venne osservata e descritta durante la compilazione di un portolano, dal capitano termitano Filippo Geraci: «…a miglia tre la punta di Mondello qual sopra tiene una torre di guardia dalla parte di terra, di ditta punta s’ormeggia…».

   

La presunta fragilità delle strutture portanti della torre, hanno fatto sempre supporre a ricercatori di architetture militari o a semplici studiosi, che il solaio dammusato (a volta) della torre non possedesse i necessari requisiti a sorreggere il complesso dell'artiglieria pesante per la difesa. Grazie alla testimonianza del viaggiatore ed esploratore militare piemontese Castellalfero, inviato in Sicilia da Vittorio Amedeo di Savoia nel 1713, si è accertata la presenza di armi, con un buon volume di fuoco, sfatando così antiche supposizioni. Nella prima metà del XVIII secolo, la torre e i torrari, sono infatti ricordati in alcune relazioni che il suddito sabaudo aveva preparato dopo alcuni accurati sopralluoghi compiuti nell’Isola. Ecco le impressioni riportate della torre, dell’armamento e soprattutto della dubbia fedeltà dei torrari: «…nominata Torre del Fico d’india, dè quali è ampiamente circondata; viene questa munita d’un cannone di ferro con tre uomini di guardia, quali però, continuando il loro antico uso (le comunicazioni coi fani), non servono per impedire li suddetti contrabandi, ma bensì esigendone segreta ricompensa, prestano ogni assistenza per assicurarli, e questa massima, benchè non più replicata nel proseguimento, deve però intendersi del tutto abbracciata dà guardiani delle altre torri…». Da tale relazione si apprende della prima "tangentopoli" mondellese documentata e dell’infedeltà degli stessi torrari, che sebbene stipendiati dalla pubblica amministrazione, la derubavano sistematicamente ed ironia della sorte, adoperando le stesse armi avute in dotazione, partecipavano agli utili del contrabbando.

In alcune carte topografiche di età settecentesca, la torre del Fico d’india, viene erroneamente denominata "Torre di Mondello" e quella della Tonnara con l’appellativo di "Castello", inteso come luogo forte difficilmente espugnabile. L’attività di vigilanza e di difesa cessò definitivamente nella prima metà del secolo XIX, allorquando con la conquista di Algeri del 1830 da parte delle truppe di occupazione francesi, vennero distrutti i covi della pirateria nel Mediterraneo, posti nei principali porti del Nord Africa. è accertato che la torre, assieme al Dammuso di Gallo o torre Amari ed alla torre della Vuletta, ambedue poste in cima al Gallo, venne inserita sin dalla fine dell’Ottocento nel circuito delle nuove vie di comunicazione per mezzo del sistema ottico telegrafico.

  

Caratteri costruttivi

Il precipuo compito della torre era quello di allertare contemporaneamente le locali popolazioni e le squadre marittime o i cavallari che periodicamente pattugliavano le coste. La torre del Fico d’india non era, certamente, un luogo imprendibile, né tampoco gli uomini che vi si rifugiavano avevano la matematica certezza della propria incolumità fisica. Un documento della fine del Settecento ricordava infatti a tutti i torrari ed ai difensori costieri che le torri «…non sono né castelli, né fortezze, guarnite di truppa, e munite a guerra, ed ognuno che la rimira con questa idea, le sembrano male adatte, e sfornite perché o non sanno o non riflettono al loro effettivo destino…».

La torre del Fico d’india rientrava in tale tipologia e trova puntuali confronti con altre torri della marineria occidentale siciliana. è di forma cilindrica edificata con pietrame informe sul piano di roccia precedentemente spianato e si eleva a m. 25 s. l. m. L’edificio militare è costituito da due elevazioni fuori terra: il piano terreno in parte occupato da una cisterna per la raccolta delle acque piovane e da una prima elevazione, costituita da u unico ampio vano circolare. Da lì si diparte una scala semicircolare ben inserita negli spessori murari, che conduce al terrazzo. La cisterna dell’acqua potabile è raggiungibile attraverso una botola a taglio del muro che si apre sotto il piano di calpestio; con una capacità di oltre una decina di metri cubi, comprendeva la metà esatta del cilindro di base dell’intero edificio. L’unico ingresso alla torre era costituito da una piccola apertura al piano superiore, raggiungibile, un tempo, per mezzo di una scala di corda o di legno, allo scopo di togliere al nemico ogni possibile appiglio, in caso di prolungato assedio.

La prima elevazione, alta m. 12,40 e con una circonferenza di base di m. 30, si presenta armonica nelle sue parti, con un unico ingresso rivolto a Settentrione, largo m. 0,86 ed alto m. 1,90. Oggi i luoghi sono stravolti dalla presenza di un moderno terrapieno costruito nella prima metà del secolo scorso per "facilitarne" l’accesso. In antico il dislivello era di circa m. 6, utile accorgimento architettonico per rendere la torre più sicura in caso di attacco. Gli spessori murari variano da m. 1,35 a m. 1,41 e sono costituiti da pietre locali resi friabili dagli agenti atmosferici e dalla salsedine che imperversa in tutte le stagioni. L’apertura, larga m. 0,92, ma un tempo doveva essere più stretta, è rivolta a Nord. Il monoambiente del piano elevato misura m. 6,30 di diametro, m. 8,45 all’esterno e possiede un’unica finestra che guarda a Sud/est, in direzione della fascia costiera tirrenica, dalla Punta di Priola sino a Capo Zafferano. Una seconda finestra, oggi murata, era collocata in direzione Sud/Ovest e traguardava la torre della Tonnara di Mondello e l’entroterra del Piano di Gallo, dove maggiore era la presenza delle torri "appadronate". Nel tratto murario, tra l’ingresso e la finestra, è ricavato u camino per le lunghe notti invernali e per avere in ogni momento il fuoco acceso per alimentare il mazzone (graticola posta sopra un’alta asta che svettava al centro del terrazzo) per effettuare le segnalazioni. Esso costituiva l’unico elemento di "arredamento" di tutto l’edificio militare. L’ampia volta del monovano circolare, rinforzata da un grosso pilastro ad arco, si diparte dal piano di calpestio e segue la volta da un’estremità all’altra dello stesso monoambiente. L’astracu si raggiunge attraverso una corta e stretta scala in pietra semicircolare di 23 gradini.

  

  

© Pippo Lo Cascio. Testo già apparso nel sito Mondello Lido, e qui ripubblicato con il consenso dell'autore.

   


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