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di GIOVANNI LO BRANO - PIPPO LO CASCIO

 

 

1 Introduzione

La grande avventura della pirateria nelle acque del Mediterraneo, fenomeno che caratterizzò i secoli XV-XVIII, proiettò la Sicilia al centro di travagliate operazioni militari, caratterizzate da frequenti attacchi e da feroci razzie che portarono alla conseguente edificazione di luoghi forti e di torri di avvistamento e difesa lungo tutto il periplo costiero. Tra i più efficaci sistemi di comunicazioni utilizzati dai torrari, si dimostrarono i fani, sia per la praticità e la semplicità del "linguaggio", consistente in un primordiale sistema binario, che per la buona visibilità soprattutto sulle lunghe distanze, poiché il mezzo impiegato era il fuoco ed il fumo. La scelta si dimostrò, alla lunga, un sistema visivo ben collaudato; basti pensare al largo uso già in età greca ed ai miglioramenti apportati in quella romana sin al II secolo d. C. 1. La severa presenza delle torri, poste in punti eminenti e strategici, su lingue di terra molto avanzate sul mare o sulle cime montane, aveva il triplice scopo della difesa delle numerose attività agro-pastorali, marinare ed artigianali sparse lungo la costa, di proteggere in caso di attacchi improvvisi le maestranze ed i lavoratori che si attardavano nei lavori ed infine di avvisare celermente le torri più vicine ed i forti, al cui interno stazionavano squadre di cavallari, pronte ad intervenire. Le principali direttrici di controllo dell'area palermitana, erano essenzialmente due: una, quella Occidentale, ripercorreva i tratti costieri dalla città murata, sino all'estrema punta di Capo Gallo ed al Malopasso, transitando o per i borghi marinari dell'Acquasanta, dell'Arenella, della Vergine Maria o per la sinuosa costa dell'Addaura. In tale sistema intercomunicativo tra torre e torre, erano presenti delle vistose smagliature o "punti ciechi", come cale o grotte poco controllabili e ben note ai nemici. Il secondo percorso difensivo interessava la costa Orientale sino all'odierno paese di Ficarazzi e svolgeva il precipuo compito di impedire ai manipoli barbareschi, l'approvvigionamento di acqua potabile da alcune sorgenti che sgorgavano lungo la fascia costiera dell'Acqua dei Corsari e fare l'acquata, è cioè rifornire i vascelli d'acqua alle foci del fiumi Oreto ed Eleutero 2.

Il territorio palermitano, appetibile perchè ricco di numerose tonnare, di vigneti, di orti ben attrezzati, di colture specializzate come quelle del mirto per la concia delle pelli e soprattutto della cannamela 3, di sorgenti d'acqua potabile e di una salina, s'inserisce nel vortice della bagarre generale trasportato dai delittuosi eventi. Nel XIV secolo sui monti Gallo, Pellegrino e Sòlanto, che da Ovest ad Est circondano la Conca d'Oro, sono documentati i primi fani le cui segnalazioni convergevano al mastio del Castellammare, nei pressi dell'attuale Cala, l'antico porto della città. La documentazione cittadina, attesta che il 27 marzo 1321 il Pretore di Palermo, per mano del tesoriere Obberto Aldibrandino, consegnò pondus auri uncias duas mensili, a favore di Orlandino di Matteo Cacalimbarda, affinché provvedesse ad accendere i fani sulle cime dei citati monti, per un efficiente controllo del territorio e per agevolare la navigazione notturna, diretta al porto di Palermo. Era soprattutto indispensabile segnalare tempestivamente, a tutte le altre torri del comprensorio, eventuali presenze di navi piratesche in avvicinamento 4. Dal XVI secolo il territorio era costellato da una serie di torri in diretta comunicazione visiva tra loro, con ampia visuale a dominio del mare, i cui torrari erano stipendiati dal Senato Palermitano 5. Ad esse si aggiungevano una lunga serie di torri, "appadronate" o torri di "seconda sfera" o "agricole", le quali ricevevano in seconda battuta l'avviso del pericolo consentendo l'allertamento delle popolazioni dell'immediato entroterra. Le torri "appadronate", nella maggior parte dei casi, vennero edificate a spese di privati cittadini, a difesa delle vigne e degli orti, sparsi nelle campagne extra moenia.

Assieme alle torri di avvistamento e difesa contro pirati e corsari, il territorio siciliano annoverava anche una serie di luoghi forti che avevano lo scopo di difendere i viandanti da eventuali attacchi di banditi: la torre Sant'Anna s'inserisce in quest'ultimo gruppo. La presenza di bande armate è documentata nell'Isola in tutti i secoli dell'età moderna, tuttavia la loro pericolosità sociale raggiunge punte estreme nei periodi di carestia eccezionalmente gravi o di epidemie. Sotto tale aspetto il fenomeno si acuisce e sfocia nella costituzione di organizzate bande che battono vasti territori di cui ne conoscono ogni anfratto, grotta o gola. Il Villabianca ne ricorda alcune tra le più agguerrite e feroci che operarono nel XVI secolo: la banda di Vincenzo Agnello nel Val di Mazara e la banda di Giorgio Lanza che afflisse insieme Val Demone e Val di Mazara sotto il viceré Olivares (1591-95)6. Tra gli anni 1560-1591, anni di gravi carestie seguite da scarsi raccolti, il Di Giovanni, nel Palermo restaurato, riporta la notevole cifra di 200.000 morti per fame ed il conseguente proliferare del fenomeno banditesco che divenne una grave minaccia per i commerci interni7.

La solitaria torre, insostituibile avamposto al di là della chiostra dei monti che formano la naturale barriera alla Conca d'Oro, assunse la duplice veste di sicuro rifugio per viandanti e commercianti in caso di attacco e di stazione ricevente - trasmittente del capillare sistema delle comunicazioni, coi fani, da e per la città di Palermo. La torre ‚ un particolare edificio tipologicamente dissimile da quelli che sovente troviamo dislocate lungo la fascia costiera a base tonda, cilindrica o troncoconica o a base rettangolare o quadra, con "scarpa" o senza tale rivoluzionario sistema difensivo8. Essa può, infatti, ascriversi ad un'ipotetica categoria di singolari manufatti particolari, probabilmente un unicum, in quanto non esistono casi similari in tutta l'Isola per ciò che attiene la particolare architettura9. Solo di recente sono stati approntati studi specifici su alcune torri interne o "appadronate" dell'area partinicese10 e palermitana11; tali lavori scientifici hanno permesso di censire oltre un centinaio di torri, che sono state poste all'attenzione di studiosi e dei pubblici amministratori per un totale recupero architettonico ed un immediato riutilizzo sociale o del tempo libero.

  

2 Aspetti geografici

Individuabile nelle carte topografiche IGM di Monreale, l'area qui considerata fa parte della provincia di Palermo ed è posta al confine tra i comuni di Torretta e di Monreale le cui più alte cime raggiungono mediamente gli 800 metri s. l. m. La torre Sant'Anna è raggiungibile attraverso un sinuoso sentiero forestale che parte dal Villaggio Montano di San Martino delle Scale e sale in direzione del Monte Cuccio, la cui grande mole, rappresenta punto di riferimento geografico dell'intera area palermitana. Percorrendo la strada sterrata per circa tre chilometri dal centro di villeggiatura, imboccando la strada del cimitero, poco dopo essa diventa una polverosa trazzera che attraversa zigzagando la Costa Sant'Anna e la località Puntarono, si porta al centro di una gola naturale a quota m. 802, nella cui Portella si erge l'edificio militare. La strada in quel punto incrocia altre diramazioni formando un nodo viario: una ‚ quella sin qui descritta, una seconda si dirige per il versante Sud-occidentale in direzione della Portella Renne, superata la quale si ridiscende al villaggio di Sàgana e quindi alla Piana di Partinico passando per Montelepre; la terza, infine, scende di quota verso Settentrione sino ad incrociare la rotabile SP 1, la Bellolampo - Montelepre, lungo il tratto di Piano dell'Occhio.

La torre si trova lungo la dorsale Serra dell'Occhio che annovera una serie interminabile di cime che si elevano oltre gli 800 metri. Quella più alta è costituita dal Timpone di Caronia di m. 915 e poco pi- oltre il Pizzo dell'Uomo di m. 931 s. l. m. La Serra ha un andamento da Nord/Nord-Est a Sud/Sud-Ovest e va a collegarsi con la Portella Creta che dalla sua elevazione di m. 881, separa le sottostanti pianure. Orograficamente le cime degradano man mano che ci si approssima alla torre; il Pizzo Neviera di 758 metri ed il monte Castellaccio di 776. fanno eccezione il Monte Cuccio di m. 1052 e la Punta Busilmeri di 998 metri.

Il più importante corso fluviale, a carattere torrentizio ‚ un modesto Vallone che nasce a quota m. 877 nei pressi della Portella Renne e si snoda per oltre 10 km, sfociando nel mare Tirreno in territorio di Capaci, dopo avere attraversato le località Areddara e costeggiando il Monte Tre Pizzi dalla tondeggiante base. La parte terminale del corso d'acqua serpeggia tra le torri pi- strategiche dell'intero comprensorio: le torri Ciachea, Milioti e Puccio, edificate lungo la zona pianeggiante a difesa delle coltivazioni e dei bagli agricoli. La torre Sant'Anna si eleva al di sopra di un cocuzzoletto roccioso a guardia delle due direttrici con ampia visibilità dei tratti marini costituiti dal golfo di Palermo e dalla baia di Carini.

L'importante e frequentata via di comunicazione montana della Portella, costituiva in antico una delle "porte" della Conca d'Oro assieme a quelle di Sferracavallo da Ovest, di Mondello da Nord e della valle dell'Oreto da Est. La maggior parte del flusso commerciale da e per l'area trapanese, transitava infatti attraverso questo passo e ricadeva all'interno di un'area costituita da zone archeologiche altamente scenografiche ed interessanti che denotano una capillare frequentazione anche in antico. I centri pi- noti sono quelli dell'insediamento urbano del VI secolo a. C. di Monte d'Oro12, della necropoli di Manico di Quarara13, del Castellaccio di Sàgana14 e della grotta di Iazzu Vecchio, al cui interno sono stati rinvenuti resti dell'estinta fauna quaternaria, industrie del Paleolitico superiore e la presenza di non meglio studiate ceramiche preistoriche ed a vernice nera, ascrivibili all'età ellenistica15.

  

3 Notizie storiche

La chiostra di monti che cinge ad Occidente la città di Palermo e divide la Conca d'Oro dalle aree di Sàgana, di Montelepre, di Borgetto e di Partinico, sin dall'antichità fu sede di importanti edifici di culto di pregiata fattura artistica che si collocano tra le pi- rilevanti opere dell'architettura religiosa medievale della Sicilia Occidentale. Esempi, anche se tipologicamente differenti, sono il Duomo di Monreale dedicato a Santa Maria la Nuova fatto edificare da Guglielmo II a partire dal 117416 sul fianco del monte Caputo che da allora prese il nome di Mons Regalis, l'odierna Monreale, il monastero benedettino di San Martino delle Scale riedificato nel 1347 per volontà dell'arcivescovo di Monreale Emanuele Spinola sulle rovine di uno dei sei monasteri fondati nel VI secolo d. C. in Sicilia, da Papa Gregorio Magno17, e al di là della valle oretea, l'abbazia del Parco o Santa Maria d'Altofonte, alla quale già nel XIV secolo apparteneva l'immensa risorsa boschiva, nota come "foresta di Partinico"18. Non ultimo si ricordano i ruderi del Castellaccio di Monreale, ben visibili in cima all'omonimo Monte la cui costruzione si fa risalire agli ultimi anni del XII secolo19. L'epoca nella quale prese origine la massiccia colonizzazione ecclesiastica dell'area in oggetto, coincise con il periodo normanno, allorquando il re Guglielmo II donò alla chiesa di Monreale, i vasti territori con i rispettivi castelli di Jato, Corleone e Calatrasi20. Essi rappresentarono un vastissimo potere spirituale e temporale e costituiranno per la chiesa una cospicua ed un'insostituibile rendita fondiaria. Nel XII secolo l'introduzione di tale istituzione determinò la formazione di un'area cristiana e latina che s'interpose tra la diocesi palermitana, retta dall'Arcivescovo Gualtiero Offamilio e lo "stato" islamico di Jato ricordato come "la marca dei saraceni"21, popolato quasi esclusivamente da musulmani ridotti al villanaggio sin dalla conquista normanna.

La ricorrente toponomastica del paesaggio, letta in relazione ai principali riferimenti di culto religioso, fornisce significative informazioni sull'antica sacralità dei luoghi. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di toponimi legati alla sfera ecclesiastica ed a quella agiografica: Cozzo San Nicolò e Piano di Vaddi di San Martino, Contrada Santa Scolastica, Case della Cresia22, Costa Sant'Anna, Grotta dell'Eremita, Cozzo Chiesa, Case del Parroco, Vallone Paradiso e abbeveratoio del Malefizio, Case Sant'Isidoro e Case del Rosario, sono questi alcuni esempi del vasto panorama che attestano una fervente fede religiosa e costituiscono, inoltre, una testimonianza di una precoce e profonda cristianizzazione del territorio monrealese. Altro importante toponimo riscontrato nel paesaggio rurale, è "scala", termine abbastanza diffuso in Sicilia, che indica un sentiero in forte pendio transitabile a piedi o con animali da soma23 e che costituisce un'importante traccia d'indagine topografica ed archeologica. Tale termine si presenta generalmente nelle forme composte del tipo San Martino delle Scale, Santa Maria delle Scale, un'abbazia fondata nel messinese dal Conte Ruggero24, evidenziando la nota dualità luogo eminente - monastero, frequentemente presente sui monti siciliani a partire dal XIII secolo. Una indagine topografica, a cui ha fatto seguito una ricognizione sul campo, ha permesso di localizzare a quota metri 800 s. l. m., lungo l'antica direttrice viaria che collegava la città di Palermo con l'entroterra e le località di Sàgana e di San Martino delle Scale, un ambiente interamente scavato nella viva roccia. La parte sommitale Š rafforzata dall'imponente torre di avvistamento, che rappresentava il confine ed il limite territoriale che divideva nell'XI secolo le due grosse diocesi di Mazara e di Palermo, ancor prima della fondazione della cittadina monrealese 25. L'attuale sentiero forestale ricalca esattamente l'antico tracciato viario raggiungibile dalle località di San Martino delle Scale, di Piano dell'Occhio e di Casaboli ed in passato il passo, come evidenziato da precedenti studi topografici ed archeologici26 rappresentò arteria di grande traffico.

I frastagliati gioghi montani di San Martino costituiscono una barriera contro i venti e naturali spartiacque tra l'agro palermitano e la Piana di Partinico; i passi in epoca romana erano interessati da un percorso interno che congiungeva Panormus a Parthenicum attraverso il territorio di Montelepre. In epoca medievale il sistema venne perfezionato, tant'è che è documentata una viam que itur ad Parthenicum27, una strada che garantiva il flusso commerciale tra la capitale islamica Balarm (Palermo), e gli ubertosi casali nei pressi di Genis, Bartiniq e Alqamah (Cinisi, Partinico e Alcamo). Ulteriori antiche vie di comunicazioni che congiungevano la media ed alta valle del fiume Oreto con la costa Settentrionale ed Occidentale isolana, sono state recentemente scoperte durante ricerche archeologiche che hanno interessato i centri agricoli di Pioppo, di Altofonte ed i frastagliati rilievi della Moarda28, che separano la vallata del Fiumelato di Miccini (così è denominata la parte iniziale del fiume Oreto), da Piana degli Albanesi. Nel punto pi- alto dell'antico valico utilizzato ininterrottamente sino ai primi anni del '900 ed ubicato lungo l'asse viario che aveva inizio presso la "Bocca del Falco", oggi il borgo di Boccadifalco alle porte meridionali di Palermo, giacciono i ruderi della torre Sant'Anna29 con la sottostante chiesetta, in parte manomessa nell'originaria struttura muraria30. Il santuario ipogeico è decorato da una serie di arcate e da un tetto a volta, realizzato con pietrame informe contraddistinto dalla particolare architettura religiosa-militare. I due corpi di fabbrica, torre e cappella, fanno corpo unico e costituiscono, apparentemente, un unico edificio. Le indagini archivistiche di tale antico e complesso residuo architettonico, conducono sulle remote tracce dell'esistenza sin dal XIII secolo di una chiesa dedicata a Sancte Anne de Scalis31 dalla quale trae origine il nome del passo e quello della stessa torre. Già l'Amico, nel secolo scorso, riferiva trovarsi nella medesima gola una torre a presidio dei viandanti e i ruderi di un antico monastero di monache, intitolato a Sant'Anna32. La notizia più o meno con piccole varianti, è riportata dai cronisti dei secoli XVII e XVIII, come il Lello, il Mongitore, l'Inveges ed il Pirri, tutti concordi, anche se spesso attingendo notizie l'uno dall'altro, nell'identificare presso la Portella l'antica badia fatta edificare nel 1294 da Ugo Talach, Secreto e Procuratore di Sicilia di origine catalana33.

La letteratura storica tardo-medievale trova le sue fondamenta in un documento del 1294, appartenente al ricco Tabulario di Santa Maria la Nuova, nel quale è citato tale Lorenzo Demenna, che alla presenza di «Ioannis, Petro Raymundo de Catagirono et Riberto Copula militibus Panormi, magnificus Hugo Talac miles fundat ecclesiam Sancte Anne de Scalis Sancti Martini et Sancti Matthei ecclesiam, ubi erant latrocinia»34. Il Lello aggiunge che Hugo o Hugone assegnò alla nuova fondazione i frati dell'ordine de Continenti che vi tenevano l'hospitalis35; un ostello, una stabile e confortevole struttura architettonica per il ricovero dei pellegrini e dei viandanti. Anche il marchese di Villabianca attingendo informazioni dalle fonti citate, afferma che il monastero di Sant'Anna venne fatto erigere da Ugone Talach e quindi colonizzato dai monaci «... fra Sebastiano, fra Giovanni e fra Guglielmo Maiali fratelli germani ...»36. Ugone Talach fu un eminente personaggio siciliano e sposò Benedetta Blanch, nobile catalana; ebbe il titolo di Gran Siniscalco del Regno ed ambasciatore presso la corte di re Pietro d'Aragona37. Nel 1299 dovette rinunciare alla proprietà sul castello o torre di Bivona per volere di Roberto d'Angiò che gli preferì il suo seguace Giacomo da Catania38. Quando Giacomo II volle unificare la Secrezia del Regno di Sicilia, divisa sin d'allora in due zone, questa fu assegnata alla responsabilità di Ugone Talach, nominato Secretus et Magister procurator totius Sicilie39 già giustiziere del Val di Mazara e "uomo nuovo" della politica catalana40. L'atto con il quale l'Arcivescovo di Monreale Emanuele Spinola nel 1348 ordinava la riedificazione del monastero di San Martino delle Scale chiarisce che «reservatis similiter Ecclesiae nostrae Montis Regalis omnibus iuribus spiritualibus, quae habet et habere potest in Ecclesia S. Annae, quae est in tenimento ipso S. Martini »41. La riedificazione dell'abbazia di San Martino, sminuisce in qualche modo il potere della chiesa di Sant'Anna di cui diviene, anzi, una valida antagonista. Rimane il dubbio se la badia di Sant'Anna non sia da identificare con il convento delle monache di San Martino, di cui il papa francese Gregorio XI (1370-1378), ne incoraggiò la costruzione42. La chiesa di Sant'Anna e la Portella, su cui essa sorse, sono in strettissimo rapporto con il territorio di Sàgana o di Bonagratia, nome che si riferisce al suo antico possessore, Nicolai Bonagratia, cavaliere palermitano. Nel 1404 il miles Riccardo Filingerio per conto di sua madre donna Bartolomea de Filingerio, vende al monastero di San Martino delle Scale «medietatem tenimentum terrarum vocati Bonagratia cum onere annuo census pecciarum quinquaginta casei» da corrispondere alla chiesa di Monreale specificando che la metà delle terre oggetto della vendita confinanti col feudo di Munchilebbri, anch'esso attraversato dalla via sant'Anna. Dalla lettura di alcuni documenti, si evince che il territorio chiamato Rasilme, era anch'esso sotto la giurisdizione di Sant'Anna43. Dell'antico e vastissimo fondo di Bonagratia o Bonagracia, rimane oggi il ricordo in una piccola contrada ai piedi della valle di Sàgana, Bonagrazia per l'appunto, mentre in origine i confini dovettero comprendere anche le odierne contrade di Suvarelli, Calcerame, Chianarance e Cippi che ancor prima di Bonagratia44, furono posseduti dal gaito Karram, un funzionario regio saraceno. Egli era infatti proprietario dell'intero fondo chiamato Rachalkarram, ovvero casale di Karram, arabismo sopravvissuto nel toponimo Calcerame (halkaram), un'altura che si eleva nei pressi di Sàgana. A partire dal XIII secolo, l'esteso tenimentum terrarum venne frazionato in feudi pi- piccoli; allo stato attuale non è dato sapere a quale titolo alcuni tra questi andarono alla chiesa di S. Annae de Scalis. Il monaco benedettino Don Piero Antonio Tornamira, vissuto alla fine del XVIII secolo, riferisce che fu lo stesso gaito Karram a smembrare il suo sconfinato tenimento cedendone una parte in dote alla figlia Susanna45 e che da allora venne a separarsi dai feudi di Sàgana e di Suvarelli acquistati nel XIV secolo dal monastero di San Martino delle Scale. Solo più tardi, nel 1424, Martino V unì il priorato di Sant'Anna, dell'ordine di San Benedetto, alla mensa arcivescovile di Monreale ricavandone la somma di cento fiorini46. L'ostello di Sant'Anna, nei secoli della maggiore pressione piratesca non sappiamo se venne mai attaccato da bande che avevano l'ardire di spingersi, con estrema facilità, in aperto territorio a distanze anche di oltre dieci chilometri dal mare, l'unica via di fuga47.

Riferisce l'abate Martino Anastasi che all'interno della chiesa di Sant'Anna vi era raffigurato, in un affresco murale, papa Gregorio in abito pontificale e Silvia sua madre col capo velato e avvolto alla greca, recante l'iscrizione «Beatae Sylviae concivi nostra, ac Beato Gregorio benefactori nostro dicotum anno 1294»48. Si è in possesso della documentazione relativa alla carica di prior Sancte Annae riconosciuta agli arcivescovi di Monreale a titolo puramente onorifico. Tarde, rispetto alla presunta data di fondazione, appaiono una serie di concessioni enfiteutiche alle quali necessariamente ricorse l'Abbazia di Sant'Anna per la mancanza dei mezzi economici per la conduzione diretta dei fondi agricoli. L'origine di questo fenomeno è rintracciabile già alla fine del XIV secolo, quando il «Prior Sante Anne de Scalis concedit viridarium in contrada trium canalium» nel territorio di Montis Regalis49 dove il termine canalium fa chiaro riferimento all'esistenza di un acquedotto identificabile, con molta probabilità con alcuni resti di strutture architettoniche dell'odierna contrada Canaloni. In epoca più tarda, nel 1401, un «Ioannes de Pontecorona prior S. Anne (...) concedit viridarium in territorio Montis Regalis in quarterio trium canalium»50. Nel 1432 lo stesso priore venne incaricato da Eugenio IV, giudice delegato della sede apostolica, affinchè intervenisse nella ratifica del contratto di enfiteusi delle terre di Munchilebbi cedute dal monastero di Santa Caterina del Cassaro alla chiesa di Monreale51. Nell'anno 1450 il «prior Sancte Anne in perpetuum concedit Ioanni de furmento viridarium in tri canali pro tarì 12»52, un discreto verziere e successivamente nel 1495 sarà concesso a «Friderico de Iannutio viridarium in tri canali pro uncis 4 et certis pactis»53. Il fenomeno dell'alienazione dei fondi si estese definitivamente a tutti i poderi appartenenti al territorio della badia di Sant'Anna, solo quando nel 1484, sotto gli atti del notaio Domenico di Leo di Palermo, «frater Petrus de Calcis prior venerabili monasterii seu ecclesiae aut Prioratus S. Anne de Scalis ordinis Sancti Benedicti Montis regalis diocesis (...) dedit et concessit Ioanni Susinno civis Montis Regalis (...) territorium dicti prioratus Sancte Anne vocatum Bonagrazia cum eius (...) nuncupatis li Cippi et Carceramo cum iuribus et pertinentiis suis omnibus et singulis ad emphiteusim perpetuum et censum unciarum auri octo anno ad usum massarie iuxta consuetudinem»54.

  

4 La via Sant'Anna: un percorso medievale

Le cronache del 1574 riportano le dispute che divamparono tra l'arcivescovo di Monreale ed i padri Benedettini di San Martino delle Scale, circa la «fynaitas inter feudum Montis Cucchii, et nostrum feudum de Sancto Martino», quando si dovette mutare, per migliorarne la viabilità dall'area trapanese, l'antico percorso della via superior che giunge a Palermo da Sant'Anna la Portella55. Intorno al 1580 il viceré Marco Antonio Colonna fece demolire parte degli ambienti dell'antica abbazia di Sant'Anna perch‚ divenivano spesso nascondigli di assassini di strada56; tale periodo coincise, non a caso, con una serie incalcolabile di furti e di omicidi perpetrati nelle campagne e nei villaggi di Sàgana e di Suvarelli. Mancava il controllo del territorio ma soprattutto non esisteva stretta vigilanza, né alla Portella di Sant'Anna, né alla Portella Bianca, altro importante nodo viario che diverrà in seguito, Regia Trazzera di Sàgana. Si ricordano a tal proposito le vicissitudini che ebbe il bordonaro palermitano Vincenzo La Zara, inviato dal Iacobus Parisi, da Palermo a Trapani via Monreale lungo la regia trazzera di Sàgana, con una mula carica di un «... paro di stivali di vacchetta di fiandra, otto pezzi di formaggio majorchino, annelli, un stocco di scarpi, sapuni, puma, castagni e un paro di causetti di panno, arrivato alla mandra di Polito di Ganci esistente nel feudo di Sàgana fu ferito alla testa da un tipo longo e mustazzuto di nome Piero di Salvo alias Nicosciano capo di una compagnia di tri iuvini che haviano la scopetta et un cortello grandi che haviano d'andari allo valluni di Misser Simuni ...»57 nei pressi del fiume Nocella. L'abigeato assunse particolare rilevanza nel XVII secolo. Divenuta la "strada di Sant'Anna" Regia Trazzera, il Tribunale del Real Patrimonio, nel 1632, delegò tre deputati per la custodia e gli acconci di questa arteria viaria, nelle persone di Don Mario Gambacurta marchese della Motta, Alfonso Saladino e Gian Domenico Cicala58. Francesco Platamone barone di Cutò, nello stesso anno, pagava 20 onze al Tribunale del Real Patrimonio per la tassa e la ripartizione della medesima strada nel territorio dei Cippi posseduto dal detto barone. Il pubblico passo di Sant'Anna, divenne ben presto luogo preferito da ladroni e da banditi, che attendevano i viandanti e i bordonari al passo per depredarli. Tali pericolose e continue aggressioni portate a segno nella maggior parte dei casi impunemente, furono oggetto di pubbliche lagnanze alle quali il vicerè Francesco Benavides, conte di Santo Stefano, tentò di mettere fine nel 168059. Fu infatti sopra le rovine dell'antica chiesetta di Sant'Anna, che fece edificare una robusta torre presidiata da alcuni torrari e vigilata da cavallari a protezione e salvaguardia dei viandanti. Il tempestivo provvedimento non scoraggiò il temuto bandito Francesco Antonio Papaseudi che, alla testa di una nutrita compagnia di scursuni, negli anni 1727-29 mise a segno un'infinità di furtis in campis e di uccisioni nei centri urbani e nelle pubbliche strade ed un particolare nella gola della Portella Sant'Anna60.Nativo del Piemonte, il brigante Papaseudi, per gli arditi sequestri di persona e per le frequenti ruberie, si serviva della manovalanza di sette manigoldi che ben conoscevano ogni anfratto, ogni rotta e le più brevi vie di fuga tra i monti. Dopo un lungo periodo di attenta sorveglianza, una guarnigione della giustizia di Monreale, riuscì a catturarlo ed a ucciderlo mediante decapitazione, come era consuetudine a quel tempo, presso alcune case del monte Caputo. La testa venne esposta pubblicamente, a monito, nella piazza principale di Partinico. All'epoca delle azioni criminose del bandito Papaseudi, il passo di Sant'Anna rappresentava oltre che una prospera via commerciale, anche uno strategico e cruciale percorso militare. Nel 1720 vi si svolse un'azione dell'esercito austriaco, comandato dal generale Mercy. Il contingente militare si attestò sul passo deciso ad attaccare l'esercito spagnolo attendato tra Boccadifalco e le contrade Petrazzi e Malaspina e marciò alla volta della città disposto in due colonne. Una attraversò la strada della marina di Cinisi, Carini e Sferracavallo e l'altra infilò il sentiero di Montelepre attraverso la Scala di Carini, comparendo entrambe sui monti del Billiemi che sovrastano Palermo, prendendo alla sprovvista il nemico. Intuendo l'imminente pericolo per la presenza delle truppe austriache dai cui acquartieramenti dominavano dall'alto la Piana e gli spostamenti nemici, il comandante spagnolo, generale de Lede, spedì celermente una squadra, composta da due picchetti, per sostenere il passo della Portella di Sant'Anna61. Più tardi con continuità sino al principio del XX secolo, questa portella sarà frequentata anche dai viandanti e da fedeli trapanesi, poiché rappresentava l'arteria più praticabile e più breve per recarsi in pellegrinaggio alla festa di Santa Rosalia a Palermo, che si svolgeva ogni anno con grande pompa e numeroso concorso di pellegrini62. A rendere particolarmente frequentata tale antica strada, contribuiva lo scomodissimo e inagibile percorso della costa settentrionale che da Tommaso Natale conduceva in direzione della costa trapanese, il "passo di Sferracavallo", così denominato poiché vi si sferravano o cadevano dalla scogliera muli e cavalli a causa del fondo stradale fortemente accidentato e viscido63. La via Sant'Anna era anche il percorso preferito da artigiani e da commercianti di generi alimentari prodotti nei centri di Alcamo, di Partinico, di Borgetto, di Montelepre e di Giardinello; essi, non appena superavano la Portella Sant'Anna e la contrada di Altarello di Baida, erano tenuti a dichiarare generi e quantità di merci, ai funzionari preposti alla riscossione dei dazi, per avere concesso l'ingresso in città e per venderle nelle pubbliche vie64.

  

5 Caratteri costruttivi

La chiesetta ipogeica. Sopraelevata di alcuni metri rispetto alla sottostante strada, ricavata nel passo, la chiesa è costituita da un ambiente rettangolare di m. 8,02 x m. 3,51, con un unico ingresso di m. 0,88 rivolto a Settentrione. L'area per l'edificazione venne ricavata sfruttando un naturale anfratto tra le rocce poco consistenti. La chiesa Sant'Anna è ad un'unica navata, suddivisa longitudinalmente da quattro settori separati da tre pilastri di calcarenite con relativi archi ciechi a tutto sesto, con funzioni di rinforzo. Essi coronano le pareti ed il tetto con volta a botte. Il rivestimento murario è dato da un intonaco di colore rosso-mattone steso su un sottostante strato di cocciopesto. La parte absidale non mostra alcun elemento architettonico o decorativo significativo. Priva di ulteriori aperture, la chiesetta immersa nella penombra, rotta solo in parte da una soffusa luce che filtra dall'ingresso e dal foro praticato sul tetto, in corrispondenza del piano di calpestio della torre. Non ci è dato sapere quando la chiesa cessò la funzione di centro religioso e sociale di accoglienza dei pellegrini, per essere adibita a capiente cisterna per l'acqua. Un utilizzo a tale scopo è comprovato dalla presenza di tre tubi fittili che adducevano l'acqua piovana che si raccoglieva sull'estradosso della volta dammusata della torre e tracce del tappo che rendeva ermetico il locale. Tracce di strutture in cemento armato attestano invece, una temporanea frequentazione in età moderna, forse durante l'ultimo conflitto bellico, quando l'edificio venne utilizzato come base logistica o come polveriera in appoggio ai fortini disseminati sullo strategico colle. Nel complesso l'edificio si trova in buono stato di conservazione, sebbene alcune sbrecciature alle pareti, infruttuosi tentativi di ampliamento del vano della porta e la presenza di cumuli di materiali di riporto. Un pronto restauro ed un idoneo recupero sociale, potrebbe portare la chiesa Sant'Anna ai fasti di un tempo.

  

La torre. Di forma rettangolare di metri 8,24 x 7,30, con un unico ingresso largo m. 0,68, rivolto anch'esso a Nord, in corrispondenza della sottostante apertura della chiesetta, la torre è oggi ridotta a rudere con le pareti sbrecciate in più punti e priva della copertura dammusata elemento la cui tipologia ‚ deducibile dalle frammentarie tracce della curvatura muraria interna. L'unità di misura adottata dagli antichi fabbri murari, sia per costruire la chiesa che la torre, è risultata ancora una volta il Cubito Arabo Africano equivalente a metri lineari 0,540465. Infatti le misure esterne di base dell'edificio risultano così c. 15+1/4 x 13+1/2; lo spessore murario ‚ esattamente c. 3; l'apertura ‚ c. 1+1/4; le misure interne sono c. 8+1/2 x 8+1/4; ecc.

La parte basamentale, rinforzata con pietre più grosse, poggia direttamente sulla viva roccia, tranne la parte meridionale che è stata in parte scavata per adattare il piano di calpestio ad un medesimo livello. I muri sono costruiti con pietre calcaree informi, rinzeppate da grossi frammenti di mattoni e di tegole legate con malta. Le pareti interne conservano consistenti tracce dell'originario rivestimento e due finestre che guardano rispettivamente ad Oriente in direzione della Conca d'Oro ed il mare, ed a Occidente verso Piano dell'Occhio. L'unico elemento dell'arredamento dei torrari sembra essere un ripostiglio, forse utilizzato come dispensa, ricavato nell'intercapedine muraria, largo m. 0,81 e profondo m. 1,36, nella cui parte mediana si notano le tracce di un supporto di una mensola. Al centro del monoambiente si apre il foro di circa m. 0,90 di diametro, come precedentemente illustrato, che metteva in diretta comunicazione con la sottostante cripta trasformata all'occorrenza in cisterna, unica riserva idrica potabile in caso di prolungato assedio66. Non esistono tracce dell'originaria pavimentazione. Il rivestimento murario esterno, conserva ancora le tracce di decorazioni con una sorta di modanatura, che denotano buon gusto artistico, anche se si è in presenza di un severo edificio militare. Addossato alla cortina muraria del prospetto della torre, si trova un contrafforte con funzione statica. Altri elementi architettonici degni di nota sono una scala esterna di sei gradini ad unica rampa che permetteva di superare la breve quota che la separa dalla strada ed un andito che precede l'ingresso alla torre stessa coperto da tegole. All'esterno un recinto di m. 8x8, posto di fianco all'edificio, di cui rimane un muretto alto mediamente m. 0,30, è costruito con sassi di misura diseguale e con contorni irregolari. La strategicità del luogo è testimoniata da alcune postazioni militari e da bunker in cemento armato, risalenti alla II Guerra Mondiale e costruiti a protezione del fianco meridionale della città di Palermo.

  

6 I traguardi tra le torri

Tra i secoli XVI e XVII, periodo in cui si verificarono i più sanguinosi attacchi pirateschi alle coste siciliane, la torre Sant'Anna costituì, probabilmente, uno dei punti di riferimento tra i più importanti, per la difesa della città e della Conca d'Oro dal versante meridionale, al di là della cortina del monte Billiemi che la cinge da Sud. Quindi, sì torre di difesa di uomini e mezzi dagli attacchi sferrati da bande ben armate, ma all'occorrenza era eminente punto di ricevimento e di trasmissione dei massaggi luminosi della lunga catena costiera. La "sentinella" più importante del fronte Occidentale verso l'area trapanese e l'isola di Ustica, era rappresentata dal Dammuso di Gallo o Torre Amari, costruzione dal tipico tetto a volta posta sulla cima del Monte Gallo strapiombante sul sottostante Malopasso con un'alta falesia che in quel punto raggiunge oltre i 300 metri67. Il lato Orientale era protetto dalla piccola fortezza dei "Corsali" o dell'Acqua dei Corsari in riva al mare, utilizzata oggi come caserma della Guardia di Finanza68.

Studiando l'orografia e le rappresentazioni cartografiche del territorio, i traguardi e le postazione dei luoghi di ricezione dei messaggi dei fani, appare subito evidente la complessa topografica, costituita da numerosi monti di media altezza e dalla cima della Montagna dei Tre Pizzi, che con metri 853 e con l'ampia base si frappone tra la Portella Sant'Anna ed il mare. La fitta ragnatela delle comunicazioni, dovevano necessariamente scegliere dei percorsi obbligati (Settentrionale o Nord-occidentale), all'interno delle valli coinvolgendo in questa complessa operazione delle comunicazioni visive, una serie di torri sparse nelle campagne del territorio. Dopo l'avvistamento di navi nemiche nelle acque tirreniche antistante Capaci o Carini, il messaggio partiva dalla torre Puccio o da quella di Ciachea, per poi essere raccolto e rilanciato dalla torre Troia che rappresenta la prima torre interna e permette lo scavalcamento dell'ostacolo costituito dal massiccio del Monte Colombrina. Da lì attraverso le torri Susinna, Susette, Villa Fanny, Morfino e Bellone ai piedi del paese di Torretta, il messaggio s'incanalava tra i monti Tre Pizzi e Bellolampo, giungendo in breve ai vigili torrari di Sant'Anna. Scartando l'ipotesi che il messaggio potesse giungere da una sola via di comunicazione, una seconda doveva necessariamente essere costituta da quella del versante Nord-occidentale attraverso il castello di Carini distante circa undici chilometri in linea d'aria dalla Portella Sant'Anna69. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, però la diretta visuale tra i due luoghi forti non è possibile, in quanto il Pizzo Cirina, alto m. 867 s. l. m., ostacola la visuale e si frappone vistosamente tra i due. è probabile, quindi, che il messaggio corrisposto coi fani o aveva un andamento di linea spezzata, oppure retta, ma in questo caso ancora oggi non è stata possibile individuare la torre che si frapponeva tra loro e rilanciava il minaccioso messaggio visivo. Raggiunto il castello di Carini il messaggio perveniva attraverso la torre Franco o torre della Monaca di Villagrazia di Carini, alla torre del baglio agricolo Milioti, e da lì irradiato verso Oriente alle torri di Isola delle Femmine ed a Occidente attraverso la torre Muzza e la torre Orsa, posta nella marina di Cinisi. Una eventuale comunicazione dal mare verso i monti e l'interno, aveva naturalmente un percorso esattamente speculare.

  

7 I rinvenimenti

Per circa 50 metri attorno alla costruzione, sono stati raccolti in superficie una discreta quantità di ceramica acroma ed invetriata, la maggior parte della quale è attribuibile a periodi compresi tra il 1300 ed il 1400 ed il 1700 ed il 180070.

  

7. 1 Catalogo dei reperti ceramici

I materiali ceramici presentati in questo catalogo provengono dall'area della torre e della chiesa di Sant'Anna; essi sono stati rinvenuti in superficie a seguito di una prospezione e risultano, pertanto, privi di contesto stratigrafico. Per tale ragione è possibile valutarli e proporne una cronologia soltanto attraverso confronti stilistici e morfologici. Il catalogo fornisce la descrizione dei pezzi frammentari più significativi dei quali è stato possibile determinare la forma. I frammenti, numerati progressivamente, sono stati suddivisi per cronologia e nell'ambito di questa ulteriormente raggruppati per tipo di rivestimento esterno. Fatta eccezione per le ceramiche acrome che aprono il catalogo, complessivamente i materiali sono riconducibili a tre ambiti cronologici: il primo collocabile nel XII secolo, il secondo in un periodo compreso tra il XIV e il XV secolo e il terzo è ascrivibile tra il XVIII e il XIX secolo.

  

7. 1. 1 Ceramiche acrome

Alle ceramiche prive di rivestimento esterno appartiene un frammento di orlo di una giara ribattuto all'esterno e segnato da una costolatura sul collo. è catalogato col n. 1, ed è costituito da un corpo ceramico molto compatto e ben depurato di colore rosso mattone chiaro, con rari calcinelli all'interno. Presenta evidenti tracce di reimpiego nella muratura (calce e cemento). Datazione incerta. Diam. orlo cm 28, spess. cm 0,7.

  

Secolo XII

7. 1. 2 Ceramiche invetriate

Rientrano in questo gruppo due frammenti di catini di produzione siciliana del XII secolo.

Il frammento n. 2 è un orlo di catino decorato all'interno in verde e bruno. L'esterno è ricoperto soltanto da invetriatura piombifera. L'impasto è di colore rosso mattone schiarito in superficie con piccoli vacuoli all'interno. Diam. orlo cm 22, spess. cm 0,7. Il frammento n. 3 appartiene anch'esso all'orlo di un catino decorato in bruno e verde all'interno e tratti in bruno sull'orlo. Manca la parete che doveva essere presumibilmente emisferica. Sia il rivestimento che l'impasto sono in tutto simili al frammento n. 2. Diam. orlo cm 34, spess. cm 0,8. I frammenti trovano puntuali confronti con i catini siculo-normanni databili al XII secolo71.

  

Secoli XIII-XV

7. 1. 3 Ceramiche invetriate

A questo gruppo appartengono i frammenti nn. 4 e 5, entrambi invetriati monocromi verdi sia all'interno che all'esterno. Sono orli di boccali di probabile produzione del XIV secolo. Differiscono tra di loro per il colore dell'impasto, rosso mattone, poco compatto del primo, molto chiaro tendente al verdino, nel secondo.

Framm. n. 4, diam. bocca cm 7,5, spess. cm 0,5;

framm. n. 5 diam. bocca cm 6, spess. cm 0,5.

  

Secoli XIII-XV

7. 1. 4 Ceramiche stannifere

Alle ceramiche smaltate appartiene il frammento n. 6, che è l'orlo di un boccale invetriato piombifero all'interno e decorato con fasce brune e verdi su smalto bianco opaco all'esterno. Ha corpo ceramico di color bruno molto compatto e ben depurato. Si tratta di maiolica arcaica di produzione pisana della fine del XIII primi del XIV secolo72.

Un altro piccolo frammento incluso in questo gruppo è il n. 7 che appartiene alla tesa di una scodella in protomaiolica d'impasto savonese rosso-arancio e decorazione dipinta in bruno a reticolo con tocchi in giallo ad imitazione della ceramica graffita arcaica tirrenica73. è databile al XIII secolo.

Il frammento n. 8 appartiene alla parete di una ciotola smaltata bianca e decorata all'interno con la lettera "M" gotica tracciata in blu. Ha corpo ceramico rosato ed ‚ da ascrivere alla produzione spagnola della metà del XV secolo, Manises, tipo "Ave Maria"74.

  

Secoli XVIII-XIX

7. 1. 5 Ceramiche smaltate

Si tratta di tre piccoli frammenti di scodelle smaltate che attestano una tarda frequentazione del sito.

Il reperto n. 9 è pertinente all'orlo di un grande catino o di un piatto decorato all'interno con fasce circolari in verde e giallo su smalto bianco rosato. Ha corpo ceramico compatto di colore bruno rosa. Sul profilo si scorgono tracce della lavorazione al tornio. Diam. orlo cm 22, spess. cm 0,7.

Il n. 10 è un frammento di un orlo di catino decorato con virgole, tra due profili, tracciate in bruno su smalto bianco. L'impasto è rosato in frattura. Diam. orlo cm 24, spess. cm 0,7.

Un altro frammento, il n. 11, appartiene alla tesa di una scodella decorata con tratti in bruno su smalto giallino. Ha impasto tenero di colore rosso mattone chiaro. Diam. orlo cm 14, spess. cm 0,5.

  

Considerazioni

Le ceramiche di Sant'Anna, sebbene molto frammentarie, appartengono prevalentemente a forme aperte: scodelle, ciotole e catini. Raramente a forme chiuse come i boccali. Si tratta quasi esclusivamente di ceramiche da mensa. Tra i materiali non si trovano ceramiche da fuoco e ciò, come è già stato documentato per altre torri di guardia dell'area palermitana75, lascia supporre al consumo di cibi prevalentemente arrostiti o salati. Tuttavia, dato l'esiguo numero dei reperti raccolti in superficie, è solo un'ipotesi ricostruttiva della dieta alimentare dei torrari. Scarse sono anche le ceramiche da dispensa attestate soltanto da alcuni orli di giare. La ceramica della torre Sant'Anna, ricopre un vasto periodo cronologico compreso tra il XII ed il XIX secolo, testimoniando una lunga frequentazione del sito iniziata in epoca normanna. Ad eccezione dei frammenti della ciotola spagnola e di quello del boccale di produzione pisana, la rimanente parte fa supporre una produzione locale. La ceramica d'importazione rappresenta un terzo del totale dei manufatti rinvenuti. Un saggio archeologico potrebbe fornire ulteriori informazioni sul sito, e precisarne meglio l'epoca della frequentazione e del definitivo abbandono.

  

8 Una moneta

All'interno della torre è stata rinvenuta una moneta corrosa da una profonda ossidazione che ne ha intaccato la superficie appiattendone le immagini. Si tratta di una emissione dei Mamertini, i mercenari di origine italica che nel III secolo a. C. occuparono la città di Messana.

Dr. Testa di Apollo laureata a destra: porta lunghi capelli raccolti sulla nuca. Dietro, simbolo evanido. C. p.

Rv. Guerriero nudo, stante a sinistra; poggia il braccio sinistro ripiegato su una lancia presso la quale, in basso, sta uno scudo e nella destra abbassata porta un parazonio. A sinistra. MAMEPTINON evanido; a destra; la lettera P in carattere greco, iniziale della parola pentonkion, indica il segno di valore della moneta, corrispondente a 5 once; diam. mm. 26; peso gr. 8,676.

  

9 Le selci

Tra i tanti materiali raccolti in superficie è riconoscibile una scheggia informe di quarzite ed un frammento di selce di forma semilunata con tracce di scheggiatura intenzionale e segni di percussioni. Probabilmente è stato utilizzato come acciarino per provocare la scintilla e dare fuoco alle polveri. La selce e la quarzite rappresentano, ormai, elementi caratterizzanti di posti militari o di torri di vedette "appadronate" databili al XVI-XVIII secolo. Raccattate soprattutto in contesti archeologici preistorici, particolarmente numerosi nell'area palermitana, le selci venivano perfezionati ed utilizzati per il funzionamento delle armi da fuoco, come pistole, archibugi e focili. Si ricordano ad esempio le recenti scoperte fatte nei pressi della torre Amari o Dammuso di Gallo77, della torre della Vuletta, della torre Mazzone di Gallo in cima all'omonimo Monte, della torre di Isola delle Femmine di "Mare" e della torre del Fico d'india, che si erge nell'estrema punta Occidentale del golfo di Mondello78.

  

10 Materiali ferrosi

Tra i materiali ferrosi sono stati recuperati quattro chiodi fortemente ossidati:

a - chiodo a testa e sezione quadra di circa mm. 3, lungo mm. 20;

b - chiodo a sezione tonda diametro mm. 2,5, lungo mm. 50.

c - chiodo a sezione quadra di mm. 5, lungo mm. 50, senza testa. In buono stato di conservazione la parte acuminata della punta.

d - chiodo a sezione quadra di mm. 50 di lato e testa ovalizzata di mm. 12 per mm. 8; lunghezza totale mm. 5079.

 

Si ringraziano tutti coloro che hanno sostenuto a diverso titolo questo lavoro ed in particolare il dott. F. D'Angelo per la collaborazione alla determinazione cronologica della ceramica, la dott.ssa Aldina Tusa Cutroni per la minuziosa descrizione della moneta, l'arch. Giuseppe Castellese per i rilievi architettonici dei due monumenti e per il servizio fotografico, il prezioso sig. Vincenzo Sanfilippo per le pregevole tavole dei frammenti ceramici ed infine gli amici Sebastiano Tusa e Ferdinando Maurici per gli innumerevoli consigli ricevuti durante la fase di stesura di questa breve comunicazione.

 


1 Cfr. Eschilo, Agamennone, trad. ital. di C. Carena, Torino 1956, pp. 251-252; Cicerone, Actio in Verrem, lib. V, XXXV.

2 Cfr. F. Pollacci Nuccio, Le iscrizioni del Palazzo Comunale di Palermo, Palermo 1886-88, p. 264.

3 Cfr. C. Trasselli, Storia dello zucchero siciliano, Caltanissetta-Roma 1982; F. Maurici, Per una cartografia storica della Sicilia medievale. Il territorio di Capaci, Carini e Cinisi, in Atti dell'Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo, serie V, vol. V, 1984-85, parte II, Palermo 1986, pp. 147-203.

4 Cfr. Acta Curie Felicis Urbis Panormi, Registri di lettere gabelle e petizioni (1274-1321), a cura di F. Pollacci Nuccio e D. Gnoffo, ristampa, Palermo 1982, p. 291; «... XXVIIJ marcij Indicionis (1321). Solute et assignate sunt per dominum pretorem felicis urbis panormj per manus obbertj aldibrandinj de pecunia universitatis dicte urbis orlando de matheo Cacalimbarda pro se et alij quinque sociis suis conductis ad faciendum fano per mensem unum completum numerandum a Crastina die inclusive in antea in territorio dicte urbis videlicet in monte solantj. Item in monte peregrinj. Et in monte gallj ana duos dictorum sociorum in quolibet ipsorum locorum ad racionem de tarenis decem pro quolibet sociorum predictorum in forma consueta et debita servanda in faciendis fano predictis a generale pondus auri uncias duas...»; C. De Stefani, Monte Pellegrino. Lo stemma del monte, in «Rivista Panormus» del Comune di Palermo, a. I, nn. 3-4, Palermo 1920, e ripreso da R. La Duca, Torri delle coste di Sicilia, in Vie Mediterranee, Palermo, marzo-aprile 1960, p. 1.

5 Cfr. De Stefani, Monte Pellegrino cit.; La Duca, Torri delle coste di Sicilia cit. Per la cifra di «... onze due per mano del Tesoriere, Alberto Mitrandino, per pagarle a se e ad altri cinque soci, a ragione di tarì dieci per ciascuno, a fine di accendere i fani sopra i monti di Solanto, Pellegrino e Gallo per un mese a contare dal giorno seguente ...».

6 Cfr. F. M. e Gaetani marchese di Villabianca, De banditi di Sicilia, Palermo 1988, p. 10.

7 Cfr. V. Di Giovanni, Palermo restaurato, in G. Di Marzo, «Biblioteca storica e letteraria di Sicilia», serie II, vol. II, Palermo 1872, p. 246.

8 Per uno studio dettagliato delle torri costiere siciliane, cfr. S. Mazzarella - R. Zanca, Il libro delle torri, Palermo 1985; F. Russo, La difesa costiera del regno di Sicilia dal XVI al XIX secolo, 2 voll., Roma 1994. Per le torri dell'Italia meridionale cfr. G. Valente, Le torri costiere della Calabria, Chiaravalle (CZ) 1972; R. De Vita, Castelli, torri ed opere fortificate di Puglia, Bari 1982; G. Montaldo, Le torri costiere della Sardegna, Sassari 1992.

9 Da un censimento ancora inedito, oltre alla torre Sant'Anna, possono essere considerate uniche per tipologia di fabbricazione, una quarantina di manufatti architettonici sparse per la Sicilia. Eccone alcuni esempi: Dammuso di Gallo o Torre Amari sul Monte Gallo, Acqua dei Corsari, Zaffarana, Lauro, Pizzarrone a Caccamo, Polluce all'interno del parco archeologico di Selinunte, Guidaloca, Albachiara a Partinico, San Nicola a Licata, Donnalucata, Avola, ecc.

10  Cfr. S. Vitale, Le torri del distretto, Partinico 1994; A. Palazzolo, Le torri di campagna nei feudi dell'Abbazia di Santa Maria d'Altofonte a Partinico nel XVI secolo (Documenti per servire alla Storia del territorio di Partinico), in «Rivista Libera Università di Trapani», anni VII-VIII, nn. 20, 21, 23.

11 Cfr. P. Lo Cascio, Una torre di avvistamento della costa palermitana: il Dammuso di Gallo o Torre Amari, in SicArch, XXIII, 80, 1992, pp. 7-47, con ricco catalogo di S. Fiorilla; ID., Il Dammuso di Gallo torre di vedetta, in «Mondello», Riv. Ass. Mondello, a. 1, n. 2, Palermo luglio 1992, pp. 16-17; ID., Una sentinella a Pizzo Sella, in «DL Notizie», rivista Fincantieri, a. VI, n. 5, Palermo sett.-ott. 1991, pp. 6-7; ID., Mondello tra torri e pirati, Palermo 1995.

12 Monte d'Oro‚ l'antico centro posto a controllo del passo interno che dalla Piana di Partinico conduceva a quella di Carini ove si ipotizza essere ubicata Hikkara, città ricordata da Tucidite soprattutto per il traffico di schiavi cui era dedita e per avere dato i natali alla bella Laide, nota per avere influenzato a lungo la politica greca. Per notizie più dettagliate sul territorio si rimanda a V. Giustolisi, Hikkara, Palermo 1973.

13 Di fronte le rovine di Monte d'Oro, ai piedi della piccola collina di Pizzo Grotta Bianca, si trova la necropoli di Manico di Quarara, toponimo dialettale siciliano che indica verisimilmente i frequenti rinvenimenti di anse di quarara o di anfore. Una campagna di scavi condotta dall'allora Soprintendente Vincenzo Tusa, portò al recupero di ricchi corredi funerari costituiti da materiale attico databile tra la seconda metà del VI ed il V secolo a. C., assieme ad una notevole varietà di vasellame indigeno. Cfr. C. Greco, Monte d'Oro e la necropoli in località "Manico di Quarara", in Di terra in terra nuove scoperte archeologiche nella provincia di Palermo, Palermo 1991, p. 200.

14 Il Castellaccio di Sagana, presso l'omonimo villaggio montano tra Giacalone e Montelepre, è un importante sito archeologico suddiviso in due quartieri appollaiato su un'acropoli naturale a dominio della Piana di Partinico e di una importante strada di comunicazione con Panormo. Superficialmente e per vasto raggio, sono state trovate consistenti tracce di frequentazioni databili dal VI secolo a. C. al I a. C. Cfr. V. Giustolisi, Parthenicum e le Aquae Segestanae, Palermo 1976, pp. 43-51.

15 Cfr. C. A. Di Stefano - G. Mannino, Carta Archeologica della Sicilia. Carta d'Italia F. 249, Quaderno n. 2, Bollettino BCA Sicilia, Palermo 1983, p. 72.

16 Cfr. B. M. Alfieri, La Cathédrale de Monreale, Novara 1983.

17 Cfr. AA VV, L'Abbazia di San Martino storia arte ambiente, Palermo 1990, Atti del Convegno "Storia-arte-spiritualità"; G. Frangipani, Storia del monastero di San Martino, Assisi 1905, pp. 6-7.

18 Per dettagliate notizie sulla foresta di Partinico, cfr. AA VV, Storia e cultura del territorio di Partinico, Palermo 1994; G. Nania, Toponomastica e topografia storica nelle valli del Belice e dello Jato, Palermo 1995; D. Tuzzo, Trappeto nella sua storia, Alcamo 1977; Trasselli, Storia dello zucchero siciliano cit., p. 98.

19 Su dettagliate notizie sul Castellaccio di Monreale, cfr. F. Maurici, Castelli medievali in Sicilia dai Bizantini ai Normanni, Palermo 1992, p. 329; G. Schirò, Il Castellaccio di Monreale, Palermo 1990; M. G. Montalbano, Il Castellaccio di Monreale, in «Incontri e Iniziative. Memorie del Centro di Cultura di Cefalù», IV, 2, 1987, pp. 49-70.

20 Cfr. C. A. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di Santa Maria Nuova, Palermo 1902.

21 Cfr. S. Salamone Marino, Luoghi e nomi storici della provincia di Palermo, in Nuove effemeridi Siciliane, Palermo 1875.

22Il termine siciliano "cresia", sta per chiesa o congregazione dei fedeli; cfr. A. Traina, Vocabolario Siciliano-Italiano, Napoli 1991.

23 Cfr. D. Trischitta, Toponimi e paesaggio nella Sicilia orientale, Ercolano 1983, pp. 123-125.

24 Cfr. L. T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, ristampa anastatica, Catania 1984.

25 Cfr. F. D'Angelo, Il territorio della chiesa mazarese nell'età normanna, in L'organizzazione della chiesa in Sicilia nell'età normanna, Mazara 1985.

26 Cfr. V. Giustolisi, Nuovi ragguagli sulla viabilità antica nella Sicilia Nord-Occidentale, in Nakone ed Entella alla luce degli antichi decreti recentemente apparsi e di un nuovo decreto inedito, Palermo 1985, pp. 186-193.

27 Cfr. ASP, Tabulario San Martino delle Scale, pergamena n. 191.

28 Sulla viabilità in antico tra la media ed alta valle oretea ed i centri di San Giuseppe Jato, di Piana degli Albanesi e di Partinico, cfr. S. Tusa - G. Lo Cascio - G. Mammina, Indagine topografica al Cozzo Paparina (con contributi di E. Burgio e di F. Mercadante), in SicArch, 74, XXIII, 1990, pp. 29-62.

29 Cfr. Frangipani, Storia del monastero di San Martino cit.

30 L'ubicazione dei due edifici è individuabile nella carta topografica IGM F. 249 II N O Torretta, al confine tra i comuni di Monreale e di Torretta.

31 Cfr. Frangipani, Storia del monastero di San Martino cit., pp. 30-31.

32 Cfr. V. Amico, Dizionario Topografico della Sicilia, vol. II, Palermo 1856, p. 384.

33 Cfr. G. L. Lello, Descrizione del Real Tempio e Monastero di Santa Maria la Nuova di Monreale, Palermo 1702, p. 38.

34 Cfr. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario cit., p. 205.

35 Cfr. Lello, Descrizione del Real Tempio cit., p. 47.

36 Cfr. Biblioteca Comunale di Palermo, E. G. marchese di Villabianca, Ms Qq E 107.

37 Cfr. F. Mugnos, Teatro genealogico delle famiglie nobili titolate feudatarie ed antiche nobili del fidelissimo Regno di Sicilia, Palermo 1647, p. 435.

38 Cfr. M. Amari, La guerra del vespro siciliano, vol. II, Milano 1989, p. 157; A. Marrone, Bivona città feudale, Palermo 1987, vol. I, p. 74.

39 Cfr. V. D'Alessandro, Terra, nobili e borghesi nella Sicilia medievale, Palermo 1994, p. 110.

40 Cfr. L. Sciascia, Le donne i cavalieri, gli affanni e gli agi, Messina 1993, p. 83.

41 Cfr. Frangipani, Storia del monastero di San Martino cit., p. 31.

42 Cfr. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna cit., p. 28. Per la controversa figura di papa Gregorio XI, cfr. C. Rendina, I papi storia e segreti, Roma 1983, pp. 442-446.

43 Cfr. Archivio, Abbazia San Martino delle Scale, Ms. VI B 9, trascritto dell'atto di vendizione del 1404 stipulato tra Riccardo Filingerio e il Monastero di San Martino delle Scale.

44 Cfr. ASP, Tabulario di San Martino, pergamena n. 191.

45 Cfr. P. Don Piero Antonio Tornamira, Dei ragguagli historici, Ms. Archivio San Martino delle Scale, cc. 368-369.

46 Cfr. Lello, Descrizione del Real Tempio cit., p. 51 e p. 65.

47 A tal proposito si ricorda la torre Albachiara o Abaxiara o Abraciara di Partinico, residenza estiva del principe di Villabianca, edificata ad oltre sette chilometri dalla linea costiera.

48 Cfr. Frangipani, Storia del monastero di San Martino cit., p. 31.

49 Cfr. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario cit., p. 207.

50 Ibidem.

51 Ivi, p. 40.

52 Ivi, p. 209.

53 Ivi, p. 212.

54 Cfr. ASM, Ms VI B 9, in Archivio Storico San Martino, p. 72.

55 Cfr. ASM, Ms VI C 13, op. cit., p. 65.

56 Cfr. Frangipani, Storia del monastero cit., p. 32.

57 Cfr. Archivio Arcivescovile di Monreale, Fondo Mensa, classe I, serie 5, busta 81.

58 Cfr. ASP, Real Commenda della Magione, Abbazia di Santa Maria d'Altofonte di Parco e Partinico, filza n. 187, dal titolo "Acconci nella strada di Sant'Anna".

59 Cfr. Frangipani, Storia del monastero cit., p. 32.

60 Cfr. F. M. e Gaetani marchese di Villabianca, De banditi di Sicilia cit. p. 75.

61 Cfr. E. G. marchese di Villabianca, Diari della città di Palermo, in Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, vol XI, Palermo 1873, p. 259.

62 Cfr. Frangipani, Storia del monastero cit., p. 30.

63 Cfr. Emanuele marchese di Villabianca, Diari della città di Palermo cit., p. 177.

64 Cfr. F. Lo Piccolo, Altarello di Baida, Palermo 1993, p. 43.

65 L'utilizzazione del Cubito Arabo Africano, corrispondente a metri lineari 0,5404, evidenziata in numerosi monumenti architettonici di differenti tipologie e periodi storici, evidenzia un lungo periodo dell'umanità, che va dal medioevo sino al post-rinascimento. L'antica unità di misura di lunghezza del Cubito, in uso presso vari popoli mediterranei tra cui i Greci e i Romani, era equivalente a m. 0,444. Sovente, però, assumeva differenti denominazioni in base ai luoghi di adozione. Così si aveva il Cubito Alessandrino-Egizio di m. 0,444, il C. Greco-Olimpico di m. 0,4625, il C. Greco-Attico di m. 0,444, il C. Romano classico di m. 0,4444, il C. Arabo Antico di m. 0,444-0,64 ed infine il C. Arabo Africano. Per alcuni esempi di utilizzo del C. A. A., cfr. A. Messina, La Cuba di Mineo, in SicArch, n.66-67-68, XXI, 1988, p. 8; S. Boscarino, L'edificio dei bagni a Cefalà Diana, in «Quad. Ist. di Disegno Università di Catania», Catania, 2, 1964-65, p. 20, n. 16; Lo Cascio, Una torre di avvistamento cit., p. 14-16.

66 Ipotesi dedotta dalle evidenti tracce della chiusura dell'unica porticina della chiesa, tompagnandola per renderla stagna.

67 Cfr. Lo Cascio, Una torre di avvistamento cit., pp. 7-47.

68 Denominata nell'arco di alcuni secoli col nome di Corsaro, dei Corsali, Guzmana e dello Stazzone, la torre venne edificata dalla Deputazione nel 1591 e ricordata dal Camiliani trovandosi «... uno spargimento di rocche dove ‚ fabbricata una torre di guardia, lontano dal fiume Bacarìa [è il fiume Eleutero che sfocia nei pressi del centro agricolo di Ficarazzi detto anche "fiume di Bagheria" n. d. aa.] tre miglia, detto Acqua de Corsari ...». Cfr. Emanuele marchese di Villabianca, Delle torri di avviso, che d'ogni intorno i littorali circondano della Sicilia in difesa, e guardia di essa da legni nemici e da mori corsari sopra tutto della vicina Africa, ms. BCPa, ai segni Qq E 97 I; Mazzarella - Zanca, Il libro delle torri cit., p. 386.

69 Per dettagliate notizie sul castello di Carini, cfr. R. Santoro, La Sicilia dei castelli. La difesa dell'Isola dal VI al XVIII secolo, storia ed architettura, Palermo 1986, p. 81 e sgg.; Maurici, Castelli medievali in Sicilia cit., p. 276.

70 I frammenti ceramici sono stati consegnati al Museo del comune di Montelepre.

71 Cfr. A. Ragona, La maiolica siciliana, Palermo 1975, tav. 3.

72 Cfr. G. Berti - L. Tongiorgi, La ceramica pisana secoli XIII-XV, Pisa 1977.

73 Si ringrazia F. D'Angelo per la precisazione della provenienza della ceramica. Cfr. il suo lavoro Le protomaioliche rinvenute a Marsala ed il loro rapporto con le ceramiche magrebine e le graffite tirreniche, in «Archeologia Medievale», XVIII, 1991, pp. 765-770; C. Varaldo, Protomaiolica e imitazioni negli scavi del savonese, in Atti del XXIII, Convegno Internazionale della Ceramica, Albisola 1990, pp. 69-78; ID., La protomaiolica in Sicilia e la ricerca delle sue origini, in « Archeologia Medievale», XXII, 1995, pp. 455-460.

74 Cfr. M. Gonzales Martì, Ceràmica del Levante Espanol, siglos medievales, Loza, Barcellona, 1994, p. 432, fig. 529; p. 442, fig. 540.

75 Cfr. Lo Cascio, Una torre di avvistamento cit., pp. 7-47.

76 Cfr. E. Gabrici, La monetazione del bronzo nella Sicilia antica, Palermo 1927, p. 150, n. 34, tav. VII, 24 e 26.

77 Cfr. Lo Cascio, Una torre di avvistamento cit., pp. 7-47.

78 Lavori di prossima pubblicazione.

79 Per un confronto di materiali ferrosi e di chiodi di tale periodo storico, cfr. Lo Cascio, Una torre di avvistamento cit., pp. 7-47.

  

  

 

© 2003 Giovanni Lo Brano e Pippo Lo Cascio. Testo già apparso in «SicArch», nn. 90-91-92, 1996 (XXIX), pp. 195-220, e qui ripubblicato con il consenso degli autori.

 

  


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