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di MARIA LORUSSO 

 

Premessa

L'esame della letteratura relativa alle vicende istituzionali, economiche e sociali delle Universitates della Capitanata in età moderna ha messo in evidenza quanto solo di recente la ricerca si sia mossa in questa direzione.

Tuttavia, nonostante il notevole ritardo degli studi in questo settore, il quadro informativo e storiografico di cui oggi disponiamo, ha ormai quasi completamente raggiunto quei livelli di completezza, omogeneità e capillarità, che consentono un bilancio estensibile, senza forzature e prevaricazioni, all'intera provincia.

Delle quattro città che un cronista del tempo come Pietrantonio Rosso citava, intorno agli anni ottanta del XVI secolo, come le principali della provincia di Capitanata, ovvero Foggia, Lucera, Troia e Manfredonia1, coerentemente perseguiti ed approfonditi si sono rivelati i contributi sulla storia economica, sociale ed amministrativa di Lucera, in particolar modo quelli curati da A. La Cava2, nonché i più recenti studi che vedono come protagoniste le città di Manfredonia e Foggia in età moderna. Grazie al reperimento di interessanti manoscritti risalenti alla metà del XVIII secolo, preziosi per le informazioni che hanno saputo fornire anche in relazione a problematiche più antiche (pensiamo al manoscritto conservato nella Biblioteca provinciale di Foggia e intitolato Capitoli e Statuti della città di Foggia3, o al manoscritto risalente al 1740, che riassume e aggiorna a quella data gli Statuti dell'Università di Manfredonia4), tali studi hanno saputo restituire un'immagine complessiva delle due cittadine nei secoli del Viceregno spagnolo.

Piuttosto scarse, al contrario - se si eccettuano le sporadiche informazioni che in tal senso ci vengono fornite dai resoconti del Beccia e del Bambacigno5- si presentano le notizie sull’Università troiana, sulla sua capacità di gestire i propri affari, di difendere i propri interessi e di garantirsi una più o meno ampia rappresentanza, in un clima politico ostile ed indifferente alle sorti  delle piccole realtà periferiche, quale fu quello prodotto dal governo asburgico nei due secoli della sua permanenza nell’Italia meridionale.

Dunque sulla scia delle ricerche su descritte, vuole inserirsi in qualche modo il presente contributo sulle vicende amministrative, sociali ed economiche dell'Università troiana nel periodo del Viceregno spagnolo, e particolarmente negli anni compresi tra il XVII e la prima metà del XVIII secolo, anni per i quali è stata reperita una interessante documentazione, attualmente custodita nella Biblioteca Comunale di Troia.

Si tratta principalmente di una serie di registri detti Liber Conclusionum Universitatis Fidelissimae Civitatis Troiae, che raccolgono i verbali delle sedute dei governi cittadini, nel corso delle quali si discuteva dei più svariati argomenti; dall'analisi di queste fonti potremo trarre informazioni preziose sulla società del tempo, le quali, opportunamente integrate da un'inevitabile e complementare indagine archivistica6, ci consentiranno di risalire all'organizzazione e alla funzione della cittadina di Troia in età moderna. Lungi dal ridursi alla semplice trasposizione di dati relativi ad una storia locale, la nostra indagine dovrà continuamente arricchirsi di collegamenti e confronti con le altre realtà urbane pugliesi e del Mezzogiorno, per poter realmente offrire un contributo costruttivo ad una ricerca di più ampio respiro.

 

Dall’analisi dei Registri dei Libri delle Conclusioni - cercando di cogliere, al di là della solita formula dei «pari voto nemine discrepante», le tensioni reali, più o meno espresse, che soggiacciono inevitabilmente alla discussione delle questioni presentate nelle  varie sedute parlamentari - è possibile ricavare tutta una serie di informazioni riguardanti la natura sociale, economica e il carattere politico-amministrativo dell’Università troiana: è possibile indagare, ad esempio sul rapporto esistente nella cittadina tra le diverse componenti sociali, quella dei nobili, quella dei «cives» o civili, nella quale convergevano ormai per tradizione, accanto ai «mercatores» ed ai massari, anche «iuris periti, fisici, judici et notarii»7, ed infine quella dei «populares», il cosiddetto popolo minuto, costituito prevalentemente da artigiani e coloni.

In che modo e in quale misura queste diverse componenti sociali a Troia intervenivano nella gestione del potere, ritagliandosi uno spazio concreto nell'amministrazione della cittadina? Quali interessi difendevano le scelte politiche ed economiche dei governi dell'Università? Quale parabola evolutiva seguì la rappresentanza a Troia nel corso dei due secoli del Viceregno spagnolo? Il caso troiano, in tal senso, presenta analogie con la situazione che si andava delineando negli altri centri urbani pugliesi di cui abbiamo notizie, o si caratterizza per alcuni elementi di originalità? Quali potrebbero essere le ragioni di un'eventuale dissonanza del caso troiano?

Viene ancora da chiedersi di che natura fossero, ad esempio, i rapporti che l'Università di Troia riuscì ad instaurare con i centri di potere del tempo, ossia da un lato con l'oppressivo Viceregno, che faceva le veci della Corona spagnola e che sin dai tempi del Viceré Don Pedro De Toledo, nel 1531, mostrava il suo carattere assolutistico e dispotico tanto contro il baronaggio, quanto contro le municipalità8; con il potere baronale, soprattutto dopo il 1639, quando la cittadina venduta all'asta per i suoi debiti, diventò proprietà di Don Francesco d'Avalos, che di li a poco assunse il titolo onorifico di Principe di Troia9, cosa che trasformò la cittadina da libero comune, che a caro prezzo aveva conquistato, o meglio acquistato il suo ingresso nel demanio, in Principato, con tutte le conseguenze che l’infeudamento portava con sé.

Infine viene anche da chiedersi in che modo l’Università gestisse i suoi rapporti con la Chiesa locale, terzo importante centro di potere del tempo, che nel caso specifico troiano aveva sempre assunto un ruolo di primo piano nella vita della cittadina, e questo sin dal lontano 1031, quando la bolla di papa Giovanni XIX aveva concesso all’istituzione locale il privilegio del vescovado esente10, con una diocesi che, nel corso del XVI secolo, era giunta a comprendere «iure parrocchiali» una serie cospicua di chiese, monasteri, casali e ville tra cui Castelluccio, Biccari, Celle, Faeto e la stessa Foggia11.

Un'istituzione forte, dunque, quella del vescovado di Troia, con la quale inevitabilmente l'Università dovette incontrarsi e scontrarsi, soprattutto nel periodo che più da vicino seguì il Concilio tridentino, quando l'opera ecclesiastica di penetrazione nei diversi strati sociali e di controllo sulle tensioni che una società baronale inevitabilmente portava con sé, dovette raggiungere i suoi livelli di maggiore incidenza e dunque superare di gran lunga i limiti normalmente imposti alle pertinenze della Chiesa nella società del tempo. Del resto vescovi della fama di mons. Antonio di Sangro o mons. Emilio Giacomo Cavalieri, per citare i più noti, tra la seconda metà del Seicento e la prima metà del secolo successivo, in tutta la Capitanata sono da considerarsi i fautori più attivi di quella politica culturale, capace di raggiungere attraverso una fitta e capillare rete di interventi anche gli strati più bassi della popolazione12.

Scarse e spesso contraddittorie sono le notizie di cui oggi disponiamo sulla vita sociale, politica, economica e amministrativa dell'Università di Troia in età moderna, in relazione alle variabili appena individuate.

Nei due volumetti pubblicati tra il 1907 ed il 1917 a cura dello storico locale Nicola Beccia, il quale assume come fonti soprattutto due cronisti del tempo, Vincenzo Aceto e Pietrantonio Rosso13, non è raro trovarsi di fronte a notizie se non proprio di segno opposto, comunque di difficile conciliazione.

Mentre per tutto il periodo del Viceregno spagnolo mancano notizie specifiche sui caratteri intrinseci dell'istituzione cittadina, in seguito, nelle pagine dedicate agli anni della dominazione borbonica, il Beccia sottolinea, sulla base di alcuni esempi riferiti agli anni 1745-46, il fatto che, per l'assunzione di alcune decisioni, tra cui quelle riguardanti l'aggregazione delle rendite di una chiesa in rovina, denominata S. Pietro la Barbuta, da parte del Capitolo di Troia:

« Fu però necessario sentire il parere del popolo, il quale, pur trovandosi sotto il regime feudale, conservava una certa parte dell'antica sua libertà quasi repubblicana, che, in questi tempi, era rafforzata dal buon governo del re»14. 

Qualche tempo dopo, tra il 1748 ed il 1751, sarebbe stato ancora una volta il  «popolo» ad acconsentire alla ricostruzione di «un ponte delle mura della città, attiguo al Monastero delle Grazie», mentre lo stesso si sarebbe opposto alla richiesta dei monaci conventuali di S. Francesco di «ingrandire la loro chiesa», acconsentendo esclusivamente al suo rimodernamento15.

Questi esempi vorrebbero in qualche modo dimostrare quale autorità fosse riconosciuta all'Università di Troia, persino dall'istituzione più forte del periodo, quella della Chiesa per l'appunto, e contemporaneamente sottolineare la gestione «aperta» del governo cittadino.

A parte il fatto che, alla fine del 1746, il Capitolo poté tranquillamente incamerare le rendite di S. Pietro, promettendo semplicemente in cambio di assumersene la cura delle anime e di acconsentire di riservare al clero cittadino il beneficio dell'istituzione del mansionariato, sarebbero necessarie ulteriori verifiche, prima di giungere a conclusioni convincenti, in merito al rapporto tra l’Università di Troia ed il clero locale.

Innanzitutto verrebbe da chiedersi fino a che punto nell'accordo preso con il Capitolo di Troia, come nelle decisioni successive, fossero stati lesi gli interessi della Chiesa a vantaggio di quelli dell'Università; e questo senza contare il fatto che poi ci sarebbe anche da indagare sulla reale portata di quel cosiddetto «parere popolare»: un governo a «maggioranza» nobiliare, avrebbe naturalmente difeso, per ovvie ragioni, gli interessi e le prerogative del clero locale.

La presunta libertà e la forza dell'istituzione cittadina, del resto, diventano ancor meno probabili, almeno ai livelli descritti, se consideriamo il fatto che, a proposito della lite intrapresa dall'Università contro Don Felice Carignano nel 1760, per la sua pretesa di chiudere alcune terre in suo possesso, lo stesso Beccia ricorda come:

«i cittadini di Troja, senza aver avuto in cambio alcun beneficio a favore del Comune, un po’ alla volta perdettero l'uso di tutti i diritti civici su qualsivoglia parte di loro territorio»16.

A tutto questo va aggiunto il dato certo della forte depressione economica di cui soffre la cittadina dalla fine del XVI secolo, che si aggraverà nel corso del secolo successivo, come vedremo più avanti, fino alla sua vendita all'asta, avvenuta nel 1639, dato questo che mal si concilia, al contrario, con la presunta serena sopravvivenza di un sistema politico-amministrativo di tipo «repubblicano»;  questo, piuttosto, deve aver attraversato a sua volta una fase di generale svilimento, di crisi dell'istituzione cittadina, accompagnata da un graduale esautoramento delle forze popolari, così come del resto è accaduto, soprattutto nel corso della seconda metà del Seicento, alla quasi totalità delle città pugliesi infeudate di cui abbiamo notizie certe17.

Tuttavia, al di là delle facili polemiche, sulle quali ci si potrebbe sterilmente trattenere, nei confronti di una storiografia non supportata dalle attuali frontiere della ricerca, le indicazioni offerteci dal Beccia non possono non suggerirci la necessità di ulteriori scrupolosi approfondimenti. E questa esigenza diventa tanto più impellente se si considera il fatto che, allo stato attuale degli studi, le ricerche sulle vicende amministrative, sociali ed economiche delle Università meridionali in età moderna e sui caratteri dei ceti dirigenti che in esse operavano, non sono ancora giunte a delineare un quadro analitico dettagliato di tutte le realtà locali18.

Ritardo, questo, che sicuramente trova un'adeguata spiegazione nel perpetuarsi di quel giudizio che, sottolineando quasi esclusivamente il carattere agricolo-pastorale della società meridionale, ha consentito, fino a circa un quindicennio fa, l'identificazione del binomio storia del Mezzogiorno = storia delle campagne, cosa che ha ridotto di molto l'interesse per tutto ciò che con le campagne non avesse direttamente attinenza19.

Neppure, d'altro canto,è opportuno incorrere nell'errore opposto, negando l'inconfutabile dato che vuole le campagne protagoniste della vita economica, politica e sociale dell'Italia meridionale per tutto il Medioevo, e ben oltre i limiti cronologici imposti dall'età moderna: proprio in Puglia, alle campagne, seppure con una fisionomia nuova, sono legate le classi sociali protagoniste della vita politica nazionale fino alle soglie del ventennio fascista: da un lato la grande proprietà terriera, dall'altro il bracciantato.

Il ceto medio meridionale, quello legato alle professioni cittadine e dunque espressione di una diversa ipotesi politica di riorganizzazione del territorio, riuscirà ad emergere con un proprio ruolo autonomo e direzionale e dunque a trovare una salda collocazione nel panorama politico nazionale e periferico, solo quando la politica fortemente accentratrice del regime fascista e l'esigenza di operare un più diretto controllo sulle realtà locali, contribuiranno ad un mutamento radicale del ruolo delle città rispetto al territorio circostante, nei termini di un passaggio a  quella funzione direzionale, che la borghesia cittadina aveva sempre auspicato20.

Questo almeno se assumiamo come punto di riferimento il quadro politico nazionale: a livello locale e su un piano più specificatamente sociale, l’ascesa delle classi medie meridionali è ravvisabile, come ci suggeriscono le ricerche di Spagnoletti, già nel corso del XVIII secolo.

Proprio per questo, approfondire la natura delle Università meridionali nei secoli del Viceregno, la loro capacità organizzativa, le forme più o meno democratiche della loro rappresentanza, la capacità di gestione dei loro affari, diventa un passaggio obbligato, per una ricerca che si ponga come obiettivo la conoscenza della società meridionale in età moderna: un'età basilare per le premesse che in essa pone qualsiasi successivo sviluppo.

A dire il vero già da tempo la storiografia si è mossa nel senso di una rivalutazione del fenomeno delle Università meridionali, spingendosi a sostenerne la non secondarietà nel panorama nazionale.

Sebbene più vistose appaiano le esperienze universitarie dell’Italia settentrionale, per l’attenzione posta da esse alla realizzazione di robusti corpi di leggi statutarie, più evoluti rispetto alle forme di quel diritto consuetudinario, a lungo protagonista della vita politica delle cittadine meridionali, ricerche come quelle del Faraglia, dell’Anianielli e del Calasso21, hanno senza dubbio dimostrato la vitalità dei comuni meridionali in età moderna e trasmesso l’esigenza di ulteriori approfondimenti in merito.

Certo nel Mezzogiorno i tempi sono alquanto più lunghi e l'esigenza di imprimere sulla carta, una volta per tutte, le conclusioni cui la tradizione orale era giunta da tempo, venne sentita, almeno secondo il parere generale e sulla base degli statuti rintracciati sinora, solo tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo, ossia in genere in tarda età aragonese.

Evidentemente solo allora si avvertì l’esigenza di garantire un equilibrio interno, equilibrio che probabilmente cominciava a dare segni di cedimento, e di creare una solida base legale per la mediazione dei conflitti tra le diverse componenti sociali; tra l’altro, il passaggio allo «ius scriptum», e quindi alla compilazione dei cosiddetti «Libri rossi», diventava necessario qualora si cercasse anche un buon  deterrente contro le ingerenze del potere centrale22.

   

Negli Statuti che è stato possibile visionare, sono state rintracciate una serie di disposizioni di diverso genere, che da un lato riguardano lo spaccio dei generi annonari, l'esattezza dei pesi e delle misure, la salute pubblica, la manutenzione delle strade, la salvaguardia dei boschi e delle messi ecc., dall'altro si occupano di questioni di diritto civile, di sanzioni penali per reati puniti dalle leggi comuni, e, naturalmente non mancano disposizioni intorno al governo e al reggimento dell'Università, che descrivono come dovevano essere gestite le elezioni ed in che modo era proporzionata la presenza al governo cittadino delle varie componenti sociali23. Tuttavia dobbiamo necessariamente ritenere che le città meridionali, demaniali o feudali che fossero, abbiano eletto i loro amministratori e creato i loro Parlamenti, o Comizi, o Consigli, o ancora, Decurionati, che abbiano gestito il loro patrimonio, imposto dazi e provveduto ai loro specifici bisogni, da epoche di gran lunga antecedenti a quella alla quale in genere è riferita la compilazione degli Statuti24, i quali non rappresenterebbero altro se non una rielaborazione scritta di norme legate alla consuetudine, che ha radici più antiche.

Nulla sappiamo, al momento, del «Libro rosso» dell'Università di Troia: probabilmente, analogamente a quanto era accaduto nelle altre città del Regno di Napoli, anche Troia ne aveva compilato uno, tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, e non è da escludere che, analogamente alle altre città della provincia, una delle copie, depositata nell'Archivio Storico di Foggia, sia andata perduta nell'opera di distruzione che caratterizzò la primavera foggiana del 189825.

Un'altra copia potrebbe ancora nascondersi, se sopravvissuta, nel grande Archivio di Stato di Napoli26, e forse qualche stralcio del testo originale, potremmo anche trovarlo citato in qualche processo civile del Tribunale della Dogana, conservato attualmente nell'omonimo fondo dell'Archivio di Stato di Foggia: indagini più approfondite in merito potranno portare a risposte certe.

Sicuramente, poter contare su un documento fondamentale come lo Statuto cittadino, soprattutto per le disposizioni che riguardano il governo ed il reggimento dell’Università, ci permetterebbe di comporre un quadro più preciso e dunque di raggiungere risultati più importanti nella ricerca: innanzi tutto per il fatto che l’imposizione di una norma rappresenta sempre la risoluzione ufficiale di questioni che nascono in relazione a bisogni concreti; e poi perché il confronto tra le norme previste nello Statuto e la loro applicazione reale, che emergerebbe dall’analisi del «Libro delle conclusioni», potrebbe già dirci molto sul grado di legalità presente nella città nel periodo della dominazione spagnola.

Ma dello statuto di Troia non abbiamo se non qualche labile indizio che potrebbe suggerirci, nella migliore delle ipotesi, gli anni intorno ai quali lo statuto fu ufficialmente promulgato: al 12 novembre 1442 risale il privilegio concesso da Alfonso d’Aragona a Troia, subito dopo l’atto di resa della cittadina alla nuova dinastia; il documento ufficiale, purtroppo non più reperibile27, è così sintetizzato, nella parte che più direttamente ci interessa, dall’anonimo copista di P. Rosso:

«Et ridotta la Città di Troja alla divotione del Re Alfonso et ritrovandosi nella terra di Foggia concesse et confirmò alla detta Città tutte le gratie, immunità, usi, Consuetudini, Osservatione et Capitoli che per suoi predecessori erano stati concessi et confirmati ad essa Città insino all’obito della Regina Giovanna»28.

Come si può facilmente evincere dal testo non si fa alcun riferimento alla riconferma o alla concessione di un qualche Statuto.

Registrato presso la Regia Camera della Sommaria e reso esecutivo in data 5 settembre 1463, è il privilegio che, invece, dopo il periodo di scontri dinastici con Giovanni d’Angiò29, Ferrante I d’Aragona concesse alla città, nel quale, tra l’altro, si legge:

«Item che la prefata Maestà del Re si degni di voler confirmare tutti li Privilegij, accioni, gratie, usi, cosuetudini, Statuti et observantie hactenus alla ditta città di Troja jam concessi per predecessori della Maestà sua. Placet Regiae Majestati»30.

Dunque si parla di Statuti: se ci si riferisce a quelli cittadini è evidente che in questo ventennio, ossia tra la data del precedente privilegio del 1442 e quella di quest’ultimo del 1463, potrebbe essere collocata la nascita di quello dell’Università di Troia, per altro concesso prima dell’incoronazione di Ferrante I, il quale si limita, nel suo privilegio, a confermarne la legittimità: tuttavia, non potendo contare sulla possibilità di verifica diretta dei due documenti in questione, la supposizione, almeno per ora , rimane tale.

  

«Iudicem quoque Robertum nomine»: l’origine dell’istituzione cittadina

Non è tuttavia la promulgazione di uno Statuto a determinare la nascita di una Università, la quale, com’è noto, lo precede sulla base del diritto consuetudinario. E dunque, a quando risalgono le prime notizie sulla presenza istituzionale dell’Università troiana?

N. F. Faraglia, nel già citato Il Comune nell’Italia meridionale, sostiene che ai tempi della riedificazione dell’antica Aecas, avvenuta ad opera del catepano Basilio Boioannes nel 1019, già si era costituita una istituzione di questo genere e a testimonianza di ciò vi sarebbe il diploma bizantino del giugno dello stesso anno, emesso allo scopo di definire una volta per tutte i confini della nuova città: essendoci un territorio in cui tanto i cittadini di Troia, quanto quelli di Vaccarizza avevano comune diritto di pascolo, fu stabilito che potevano continuare ad usufruirne entrambe («commune pascendi habeant locum»)31, nella proporzione di due terzi a Troia ed un terzo a Vaccarizza.

In definitiva il Faraglia conclude che, se nel 1019 vi erano già dei demani municipali, designati nel testo con la parola «commune», ossia proprietà di tutta la comunanza dei cittadini, non poteva mancare l’istituzione alla quale quel demanio faceva naturalmente e legalmente riferimento, ovvero la stessa Università.

Per avere le prime, seppur vaghe, notizie di carattere amministrativo riguardanti il comune di Troia in epoca medievale bisogna attendere, dalla data della sua rifondazione, più di un secolo. è infatti del 1127 una carta di franchigie concessa da papa Onorio II32, dalla quale è possibile estrapolare alcune notizie di un certo interesse.

Innanzitutto sembra ricomparire un ulteriore riferimento al demanio della cittadina, allorché Onorio concede:

«Ut praedia et omnia loca Trojanae Civitatis secundum antiquorum imperatorum praecepta appenditia sub eiusdem Civitatis ditionem restituantur»32.

Sicuramente  tra le franchigie più interessanti troviamo quella che ricorda come il Rettore dovesse essere eletto dai cittadini («…ut in eadem Civitate Rector sine civium expetitione non costituatur…»), e soprattutto quella in cui si sostiene che nessun cittadino dovesse essere costretto alla guerra se non per questioni di pubblica utilità, stabilite da un consiglio costituito dalla parte più sana dei cittadini («…ne aliquis invitus sine Urbis commodo vel sanioris partis civium consilio in hostem ire cogatur»)33. La cosa diventa ancora più interessante se consideriamo il fatto che, ancora alle soglie del XVI secolo, quasi allo stesso modo sono designati i cittadini facenti parte del Consiglio: infatti, nello strumento sulle decime che l’Università di Troia firma con la chiesa il 13 agosto 1499, subito dopo aver elencato i nomi degli amministratori allora in carica presenti alla ufficializzazione dell’atto, il notaio aggiunge all’elenco «i sottoscritti cittadini che rappresentano la maggiore e più sana parte della città»34.

Di pochi anni successiva alla carta di Onorio II è la testimonianza, sempre relativa a Troia, del noto cronista Falcone Beneventano, il quale narra che quando il terribile Ruggero condusse a buon fine la conquista normanna anche il quelle terre, espugnando Troia nel 1133, tra le altre cose «iudicem quoque Robertum nomine, et quatuor alios viros sapientes laqueo suspendi praecepit»35.

Dunque un giudice e quattro uomini probi furono fatti giustiziare da Ruggero: ammesso che ciò sia vero, viene da chiedersi a quale titolo abbiano subito una simile angheria; non è da escludere che essi rappresentassero l’autorità cittadina, tanto più che nei Libri delle Conclusioni decurionali del XVII e XVIII secolo sono ancora quattro (ed il numero è variabile a seconda delle consuetudini locali), gli Eletti nel reggimento cittadino oltre al Sindaco e Mastro giurato, ovviamente premettendo che nulla sappiamo sulle aree di competenza dei quattro uomini probi di normanna memoria.

Molto è stato già detto sul carattere centralista della monarchia normanno-sveva, e su tutte le precauzioni da essa adottate per tenere sotto strettissimo controllo le forze centripete del regno; d’altro canto, all’interno del lungo periodo in esame, non mancano parentesi di grande interesse per la storia delle Università: nell’età di Guglielmo II, infatti, la monarchia si mosse nella direzione di un sostanziale riconoscimento delle consuetudini locali e dei privilegi acquisiti, cosa che favorì il raggiungimento di un buon livello di equilibrio, anche se non privo di contraddizioni36, tra le esigenze delle autonomie locali e quelle del potere centrale, equilibrio che durò almeno fino all’avvento di Federico II.

Il trentennio di torbidi che precedettero la sua effettiva ascesa al trono, rappresentano sicuramente la ragione principale per cui il sovrano svevo si mosse a ritroso nel ripristino di tutta l’autorità regia.

Nonostante egli avesse aperto la Dieta di Capua apparentemente animato dalle migliori intenzioni, nel momento in cui ordinava di osservare «omnes bonos usus et consuetudines quibus consueverunt vivere tempore regis Guillelmi»37, nel corso della stessa introdusse provvedimenti liberticidi nei confronti delle autonomie locali, provvedimenti confermati in seguito nelle Costituzioni di Melfi, che sancirono definitivamente l’imposizione degli ufficiali regi alla guida delle amministrazioni cittadine38.

Va letto dunque su questa base il difficile rapporto che Federico II instaura in particolare con alcune cittadine della Capitanata: Troia, indicata tra i 7 castra del Subappennino dauno nello Statutum de reparatione castrorum (1241-1246), proprio in quanto elemento di rottura, con una posizione tutto sommato  marginale in un sistema castellare capillare ed efficiente, subì per rappresaglia l’abbattimento delle mura cittadine nel gennaio del 123339.

Più propizia allo sviluppo delle autonomie cittadine, ma contemporaneamente anche alla crescita dello strapotere baronale, si presenta l’età dei sovrani angioini: nel corso del XIV secolo infatti le cittadine meridionali passano all’offensiva riuscendo a strappare alla monarchia tutta una serie di grazie e privilegi, sui quali baseranno la profonda trasformazione dei loro ordinamenti amministrativi: le magistrature locali passano dalla nomina regia all’elezione popolare, anche se è improbabile che, anche nei centri più piccoli, il popolo partecipasse realmente alle decisioni di interesse collettivo. Del resto lo stesso Roberto d’Angiò, in un documento del 1338, si era affrettato a sottolineare il fatto che, allorché aveva parlato della presenza del popolo nell’amministrazione cittadina, egli intendeva «de populo qui comuni vocabulo dicitur grassus et non de populo minuto»40, e comunque già i nobili si erano di per sé preoccupati di impedire ai popolani l’accesso alle cariche pubbliche.

Fu soprattutto nella seconda metà del XIV secolo, e questa volta non tanto più in virtù di privilegi concessi dal sovrano, ma sulla base dell’esperienza quotidiana e delle esigenze concrete, che le istituzioni universitarie si avviarono a raggiungere quella fisionomia più moderna che le caratterizzerà anche in età asburgica.

Le costituzioni cittadine acquistarono contorni più netti, e furono introdotte quelle figure di amministratori che rimarranno invariate a lungo, anche se con competenze un po’ modificate, ossia Mastrogiurati, Sindaci, «Domini de regimine», Consiglieri: ognuna di queste cariche assunse connotati specifici in questo periodo; il Parlamento, vista l’incapacità dimostrata di tutelare gli interessi cittadini, veniva convocato ormai solo per questioni che richiedevano una presa di coscienza collettiva.

A vigilare sull’amministrazione cittadina, con funzioni giurisdizionali, era il Capitano, in seguito detto «Regio Governatore», il quale appunto rappresentava localmente il potere sovrano; doveva durare in carica solo un anno, ma come è facile immaginare, su questo fronte non mancarono ingerenze e abusi, tanto più se consideriamo il fatto che questa carica finì per essere monopolizzata, a volte con il tacito assenso della corona, a volte con il suo diretto appoggio, dai baroni locali.

Abbiamo a tal proposito un documento dei Registri angioini ricostruiti, che riguarda proprio il caso troiano: la regina Giovanna II, dopo aver donato a Sforza degli Attendoli il contado di Troia, il 28 febbraio del 1415 gli concedeva a vita l’ufficio di Capitano nelle sue terre41.

Iniziava insomma ancora una volta, sarebbe il caso di dire, nel Mezzogiorno una fase non troppo propizia alla crescita delle istituzioni cittadine.

è sufficiente analizzare i testi dei privilegi concessi dai sovrani angioini e gli argomenti che vi sono trattati, per avere già un’idea delle condizioni in cui vivevano le Università nel XIV secolo: tra il 1349 e il 1351 Giovanna I concesse a Troia alcuni privilegi, tra cui quello di riscuotere in perpetuo un grana per ogni bestia di barda che attraversasse il suo territorio; inoltre stabilì che nessuno dovesse recarsi a corte a denunciare i concittadini senza il supporto di prove concrete; e infine, che non si potesse procedere penalmente contro i Troiani, se non nei casi previsti dalla legge42.

Le concessioni regie, nel caso specifico nei confronti delle Università, vanno sicuramente rilette non tanto nel senso di atto di gratitudine per un servigio reso, quanto come risposta più o meno spontanea del potere centrale, a situazioni che in mancanza di una repentina risoluzione, sarebbero degenerate in forme più pericolose di malcontento.

Una possibile rilettura delle concessioni di Giovanna I sarebbe dunque quella che intravvede nella società troiana del tempo innanzitutto una situazione economica alquanto problematica, a giudicare dalla nuova tassa introdotta a favore della città; anche dal punto di vista sociale non dovevano mancare situazioni di grande tensione, tali per cui denunce e calunnie dovevano essere all’ordine del giorno; ed infine forti dovevano essere anche gli abusi da parte del potere giurisdizionale, in genere rappresentato dal Capitano, il quale evidentemente faceva arrestare e condannare con una certa facilità.

Un altro interessante documento, la già citata carta dei privilegi concessa da Ferrante I alla Università di Troia il 5 settembre del 1463, ci offre invece lo spunto per verificare le condizioni della cittadina in età aragonese, al di là delle notizie ufficiali tramandataci dagli storici locali: ancora una volta è la questione economica ad esigere la maggior attenzione da parte del governo cittadino.

Al sovrano si richiedeva la remissione dei pagamenti dovuti alla Corona per dieci anni ed in seguito una contribuzione che non superasse le quarantacinque once l’anno, nonché l’abolizione «dell’angaricia de la starsa sopra la iornata de la mietitura»43, come era stato stabilito ai tempi di Alfonso I d’Aragona. Nel privilegio sono contenuti un’altra serie di provvedimenti atti alla pacificazione sociale, indulti, amnistie, probabilmente per evitare rancori e scontri tra le due diverse fazioni politiche, quella nobiliare, che in genere si mostrava fedele alla causa angioina, e quella popolare, che simpatizzava per la Casa d’Aragona44, che dovevano turbare la vita della cittadina ed impedire un graduale ritorno alla normalità.

A questa situazione già per altro così complessa doveva aggiungersi anche l’ingombrante presenza degli alloggiamenti delle truppe spagnole, che le città erano obbligate a sostenere nonostante fossero estremamente distruttivi per l’economia locale e per la sicurezza pubblica: l’insistenza con la quale l’Università ripropone la questione alle autorità locali e centrali, per cercare di porre un freno ad una situazione che cominciava a provocare forme pericolose di malcontento popolare e lo spopolamento di massa, dimostra quanto già da allora il problema a Troia fosse particolarmente avvertito.

Dunque l’Università dovette insistere parecchio se riuscì a convincere lo stesso Ferrante, qualche anno più tardi, in aggiunta al privilegio del 7 marzo 148145, ad esonerare Troia dagli alloggiamenti delle truppe spagnole; tuttavia si trattò di una promessa che il sovrano non avrebbe mantenuto a lungo, vista la posizione geografica particolarmente strategica della cittadina.

Tra la seconda metà del XV e la prima metà del XVI secolo, come abbiamo già sottolineato in precedenza, presero corpo nella maggior parte delle Università meridionali, e Troia sembra non rappresentare una eccezione in tal senso, gli Statuti cittadini, che inglobavano le antiche norme del diritto consuetudinario, perfezionandole con l’aggiunta di regole pratiche, nate dall’esperienza quotidiana per evitare brogli e per questo affidate all’arbitrio delle comunità locali: se i rappresentanti delle città e le loro funzioni sembrano analoghe in tutto il Mezzogiorno, può variare, sulla base delle consuetudini locali, il sistema elettivo o le modalità scelte per proporzionare la partecipazione al governo locale delle diverse classi sociali, anche se la regola generale prevedeva il fatto che in tutti gli uffici dovevano essere eletti «unus mercator et unus populares»46.

Alla fine del XV secolo le università meridionali vivono in condizioni piuttosto difficili, impoverite come sono dalle guerre, dai pagamenti fiscali, dagli alloggiamenti, dal dilagante strapotere baronale. Troia presenta problemi analoghi, che dovettero raggiungere un buon livello di gravità se nel corso della seconda metà del XV secolo, nella cittadina sorsero quasi contemporaneamente due Confraternite laicali con finalità caritativo- assistenziali, ad opera dello stesso vescovo Stefano Gruben. Sappiamo che le confraternite, almeno nelle loro cariche principali, ossia quella del Priore e del Cassiere, dovevano essere per norma gestite da persone oneste e soprattutto benestanti47, e pertanto esse rappresenterebbero da un lato uno dei mezzi opportunamente sfruttato dalla Chiesa per raggiungere e conquistare le classi meno abbienti, dall’altro una delle forme più comuni di quel paternalismo nobiliare, tratto tipico dell’ancien régime; nel caso di Troia la stessa Università garantiva annualmente ad entrambe le Confraternite un certo contributo economico: tale doveva essere la funzione svolta dalle due associazioni anche nel prevenire possibili e gravi forme di malcontento.

 

Il Liber conclusionum Universitatis Fidelissimae Civitatis Trojae (1604- 1639). Notizie sulla vita dell’Università troiana nella prima metà del XVII secolo

Una lettura sommaria dell’inedito primo Registro del Liber Conclusionum di Troia, ci offre la possibilità di approfondire alcuni aspetti della vita amministrativa, sociale e politica dell’Università in piena età asburgica, quando le cittadine meridionali, salde nelle loro consolidate istituzioni, si trovarono ad affrontare una serie di difficoltà, principalmente di natura economica, che finirono per minare alla base anche ogni possibile sviluppo in senso democratico dell’istituzione stessa.

Ampia è ormai la bibliografia concorde sugli effetti deleteri che il malgoverno spagnolo produsse nella vita delle comunità locali, soprattutto per la sua incapacità di intervenire con una politica economica in grado di potenziare o stimolare le già poche energie del regno e per la mancanza di una azione finalizzata al riordino in campo monetario e finanziario. Conseguenza di tutto ciò, il soffocamento delle attività mercantili indigene e dei ceti sociali ad essa legate, la cui crescita era inibita dalla presenza di operatori stranieri, che impedivano l’affermarsi di un’autosufficiente dinamica di sviluppo48. Una pressione fiscale irrazionale, in quanto in continuo aumento senza che le potenzialità economiche del regno dessero alcun segno nello stesso senso, contribuisce a rendere ancora più chiaro e drammatico il quadro relativo alla situazione economica delle università ai tempi del Viceregno spagnolo.

In un clima simile di grave staticità economica e di recessione, quest’ultima soprattutto nel corso del XVII secolo, è difficile prospettare al contrario un dinamismo chiaramente percepibile dal punto di vista sociale e politico; in effetti, nella maggior parte delle cittadine di cui si ha notizia, si assistette, già alla fine del Cinquecento, ad una diminuzione sostanziale del numero dei Decurioni, cosa che inevitabilmente modificò la gestione del governo cittadino che si avviò verso una evidente chiusura in senso oligarchico49.

Anche a Troia nella prima metà del secolo il numero dei partecipanti alle sedute consiliari sembra attestarsi intorno alla ventina e non supera le cinquanta persone nel caso di «publico consiglio». Tali cifre diventano ancora più indicative se confrontate con il numero di famiglie presenti a Troia tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo: nel 1595 i cosiddetti fuochi fiscali dichiarati dalla cittadina sono ben 89350.

Nonostante a Troia le cariche fossero per consuetudine equamente divise tra nobili e popolo, al punto che laddove ci si trovasse di fronte ad una magistratura singola, questa era gestita ad anni alterni dalle due classi sociali, le modalità con le quali venivano eletti i nuovi rappresentanti cittadini e il numero esiguo delle famiglie aventi diritto a governare nell’Università51, sono un’ulteriore conferma del carattere oligarchico che la gestione del potere aveva assunto anche nell’Università troiana.

Per rendere più direttamente note le modalità attraverso le quali si giungeva alla proclamazione del nuovo governo nella prima metà del XVII secolo, riportiamo di seguito il verbale di una seduta parlamentare che risale al 5 dicembre del 1604, nel corso della quale si procedette all’elezione del nuovo reggimento cittadino per l’anno a venire:

Die quinto mensis decembris 1604 in domo Universitatis congregatis infra(scri)ttis de regimine ad sonu(m) campana ut moris est properagendis infrattis negotiis et hoc cum interventu doctoris Joannis Cioffo regii gubernatoris predicte civitatis.

Tomaso de Baldis mastrogiurato

Not. Gio: Angelo Calapro sindaco

Hettorre de Afflitto e Gio: Francesco Lombardo (eletti dei nobili)

Hettorre Menio et Gioanni de Calderinis (eletti del popolo)

(cittadini presenti)

Geronimo Siliceo - dott. Cesare del Jacono - Massimiano de Magnis - il dott. Giulio de Angelis - not. Giulio Capoano - Sulpitio de Rosa - Bernardino Valentino - Gio: Vincenzo Cassano - Antonio Lembo - Emilio Cirillo - Giulio de Clariti - Virgilio de Gregorio - Aniballe Greco - Francesco Caputo - Francesco de Lauretta - Masi de Re - Paulo de Re - Tello Pontiano - Pietro Stanco - Mario Mariotta - Cesare de Rosa - Ottavio Borello - Sc… Bongo - Hettorre Spinello - Donato Flores - Gio: Jacopo Franco - Gio: Bernardino Quirico.

è stato proposto per il detto mastro giurato atteso è già tempo de fare la nova eletione del regimento di essa città conforme al solito et perciò magnifico Gio: Angelo Calapro, sindaco presente, nomina et elige per mastro giurato del populo Mario de Mare, il quale inteso da essi del regimento et cittadini è stato accettato unanimiter et pari voto nemine discrepante  viva voce per mastro giurato.

Item nomina et elige per mastro giurato del populo not. Eusebio Pucci, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato accettato viva voce nemine discrepante.

Item nomina et elige per mastro giurato del populo Antonio Granato, il quale inteso ut sopra da detti del regimento et cittadini è stato unanimiter viva voce accettato, et detto che si facciano le cartelle con loro nomi et cognomi et quelle fatte se bussolano; et essendono dette tre cartelle fatte con loro nomi et cognomi, et quelle piecate et bussolate dentro un cappello et havendone un fanciullo pigliata una di esse è uscita di sorte not. Eusebio Pucci mastro giurato, quale è stato unanimiter pari voto nemine discrepante accettato et confirmato per mastro giurato.

Tomaso de Baldis mastro giurato de nobili nomina et elige per sindaco Giuseppe Floreo, il quale inteso da detti del regimento e cittadini è stato unanimiter pari voto et viva voce nemine discrepante accettato per sindaco.

Il detto Tomaso mastrogiurato nomina et elige Paulo de Re per sindaco, il quale inteso ut sopraè è stato unanimiter pari voto nemine discrepante accettato per sindaco.

Il detto mastro giurato nomina et alige per sindaco Antonio Granato, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato unanimiter pari voto nemine discrepante et viva voce accettato per sindaco et detto che si facciano le cartelle.

Et essendone fatte le tre cartelle con loro nomi et cognomi et quelle poste dentro un cappello et cavatane una da un fanciullo, per mano del regio governatore è uscita la cartella de Giuseppe Floreo sindaco, il quale è stato viva voce accettato et confirmato per sindaco del presente anno.

Giuseppe Floreo sindaco

Hettorre de Afflitto eletto de nobili nomina et elige per eletto de nobili Gio: Battista Siliceo eletto, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato pari voto et viva voce accettato et confirmato eletto de nobili.

Il detto Hettorre nomina et elige eletto de nobili Alfonso Lombardo,il quale inteso è stato da detti del regimento et cittadini unanimiter pari voto et viva voce accettato et confirmato eletto de nobili.

Il detto Hettorre eletto de nobili nomina et elige per eletto de nobili Orlando Saliceto, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato  unanimiter pari voto et viva voce accettato per eletto de nobili.

Et detto che se facciano le tre cartelle con loro nomi et cognomi et quelle se bussolano dentro un cappello, et fatte dette tre cartelle  et quelle bussolate dentro un cappello et poi pigliatane una da un fanciullo, per mano del regio governatore è uscito Alfonso Lombardi eletto de nobili, il quale è stato accettato et confirmato ut sopra.

Alfonso Lombardo eletto de nobili.

Gio: Francesco Lombardo, eletto de nobili nomina in suo loco eletto de nobili Fabritio Lombardo, il quale è stato da detti del regimento et cittadini viva voce accettato et confirmato per eletto de nobili.

Il detto Gio: Francesco eletto de nobili, nomina per eletto de nobili Gio: Battista Siliceo, il quale viva voce nemine descrepante è stato accettato et confirmato per eletto de nobili.

Il detto nomina per eletto de nobili in suo loco Cesare de Sangro il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato unanimiter pari voto et viva voce accettato et confirmato per eletto de nobili

Et detto che se facciano le cartelle con loro nomi et cognomi et quelle se bussolano dentro un cappello et poi se ne cava una et chi esce di sorte sia eletto: et fatte dette tre cartelle et quelle bussolate dentro un cappello et da quello cavata una per un fanciullo, per mano del regio governatore è uscita di sorte la cartella de Cesare de Sangro eletto de nobili.

Cesare de Sangro eletto.

Hettorre Menio, eletto del populo nomina per eletto del populo in suo loco Antonio Granato, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato unanimiter pari voto et viva voce accettato et confirmato per eletto del populo.

Il detto nomina Paulo de Re eletto del populo, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato unanimiter pari voto et viva voce accettato et confirmato per eletto del populo.

Il detto nomina per eletto del populo in suo locoGio: Bernardino Quirico, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato unanimiter et pari voto et viva voce accettato et confirmato per eletto del populo.

Et detto che se facciano tre cartelle con loro nomi et cognomi et quelle fatte se bussolano dentro un cappello et pio se ne cava una et quello che esce per sorte è eletto, et fatta dette tre cartelle et quelle bussolate dentro un cappello et poi per un fanciullo tiratane una di esse, per mano del regio governatore è uscito Paulo de Re eletto del populo.

Paulo de Re eletto.

Gioanni de Calderinis, eletto del populo nomina in suo loco per eletto del populo Gio: Bernardino Quirico, il quale inteso ut sopra è stato viva voce accettato et confirmato.

Il detto Gioanni nomina per eletto del populo Antonio Granato, il quale viva voce ut sopra è stato accettato et confirmato.

Il detto Gioanni nomina per eletto del populo in suo loco Vincenzo Petrullo, il quale inteso da detti del regimento et cittadini è stato unanimiter pari voto et viva voce accettato et confirmato per eletto del populo

Et detto che si facciano tre cartelle con loro nomi et cognomi et quelle fatte se bussolano dentro un cappello et fatte dette tre cartelle et quelle bussolate dentro un cappello et cavatane una da un fanciullo, per mano del regio governatore è uscita la cartella de Vincenzo Petrullo, il quale è stato unanimiter, pari voto et viva voce accettato et confirmato per eletto del populo.

Vincenzo Petrullo eletto.

Not. Eusebio pucci, mastrogiurato del populo, Giuseppe Floreo, sindaco; Alfonso Lombardo et Cesare de Sangro, eletti de nobili; Paulo de Re et Vincenzo Petrullo eletti del populo; et divulgarizasi a detti del regimento et cittadini son stati eletti viva voce, unanimiter et pari voto, nemine discrepante accettati et confirmati per governatori di questa città per il prossimo anno 1604 et 1605 conforme al solito et ita.

Compositori: il dott. Cesare del jacono, Antonio Granato.

Procuratori de li Conventi: Francesco Claritia, procuratore in S. Bernardino; Gerolamo  Siliceo, procuratore in S. Girolamo; not. Gio: Angelo Calapro, procuratore de Nostra Donna; Donato Flores, procuratore di S. Francesco52.

Dunque in base alla consuetudine di Troia erano i reggimentari uscenti a proporre tre nomi per ciascuno dei nuovi Eletti, la cui candidatura i cittadini presenti erano invitati «viva voce» ad accettare o respingere. Nello stesso periodo a Foggia lo «ius nominandi», anche per i quattro eletti, spettava invece al mastrogiurato uscente e solo in sua assenza ai suoi colleghi del reggimento53, mentre a Manfredonia erano i «Consiliarii d’essa città» a «nominare prima uno delli Consiliari suddetti non impedito per Sindico Generale e successivamente poi uno ad uno, l’altri per eletti»54. Nella cittadina di  Lucera invece i quattro eletti venivano sorteggiati tra i dodici consiglieri, i quali si occupavano anche di creare le altre cariche del governo cittadino55.

Nonostante queste differenze di forma nell’elezione dei reggimenti cittadini, tuttavia nella sostanza, e soprattutto nella composizione sociale dei governi universitari, la situazione nei centri maggiori della Capitanata sembra non presentare differenze degne di rilievo: un po’ dovunque e per consuetudine acquisita nei secoli precedenti la componente popolare affiancava quella nobiliare nella gestione del potere locale, ma nel corso del XVII secolo sempre più gravose furono le condizioni imposte ai rappresentanti popolari per la loro eleggibilità, al punto che le classi meno abbienti ( senza arrivare all'«infima plebs» di angioina memoria) di fatto furono allontanate dal cerchio sempre più ristretto degli addetti alla gestione delle Universitates.

Se nell’Ordinamento Municipale di Manfredonia del 1491 ci si limitava a ricordare che si eleggessero quei candidati popolari «secundo che se trovano più disposti» ovvero «havendose anco consideratione ale persone licterate, et ydiote, ala consanguinita, et altre debite circumstantie»56, in un verbale del 1608 inserito nei registri delle Conclusioni decurionali di Troia, si precisa ancor di più l’idea di quanto, per «beneficio universale» nelle rappresentanze popolari fosse obbligatorio «eligere persone ricche et facoltose» e che ovviamente «non fussero debitori della città, conformemente alla Regia Prammatica»57.

E in genere, qualora si procedesse ad una inchiesta nei confronti di un’amministrazione cittadina  in particolari difficoltà economiche, erano i rappresentanti popolari i primi ad essere inquisiti e conseguentemente deposti dalla loro carica alla presenza di Ufficiali regi (commissari, funzionari dell’Udienza provinciale, reggenti del Sacro Consiglio), i quali allo scopo ufficiale di razionalizzare l’attività delle Università, ne sancivano l’espulsione generalizzata, a sostegno spesso degli interessi nobiliari58.

Neppure va sottovalutata la portata di certi scontri tra le varie fazioni all’interno della stessa componente nobiliare59, cosa che doveva contribuire a rendere ancora più complicata la gestione politico-amministrativa della cittadina.

Segni di contrasti nel reggimento dell’università sono riscontrabili, almeno sulla base dei Registri a noi pervenuti, nel corso del 1608, quando i responsabili del governo locale erano Scipione Sansone, «Mastrogiurato de nobili», Francesco Saetta, «General Sindico», Alfonso Lombardo e Pietro de Baldis gli «Eletti de nobili», Paolo de Re e Antonio Rosato gli «Eletti del populo»: il 10 aprile dello stesso anno  nel corso di una seduta «in publico parlamento», alla presenza di 90 cittadini fu deciso che anche l’Università si impegnasse economicamente in una causa contro il Capitano, che aveva commesso dei soprusi scavalcando alcune prerogative che erano dell’Università e, forse, facendo arrestare un rappresentante di una delle famiglie nobili più potenti di Troia, quella dei Siliceo (come vedremo più avanti); a questa proposta si erano opposti solo i due eletti dei nobili, i quali avevano votato contro perché convinti del fatto che la già grave situazione economica in cui vessava l’Università sconsigliasse ogni ulteriore spesa60.

Tale opposizione, apparentemente un episodio diremo di “ordinaria amministrazione”, assume un significato diverso se consideriamo il fatto che, nel corso dello stesso anno, furono proprio Alfonso Lombardo e Pietro de Baldis a inviare direttamente al Vicerè ed al suo Consiglio Collaterale, una supplica, nella quale s’informava l’autorità del fatto che l’Auditore Guadagno, inviato per presiedere alle elezioni e controllare che fossero elette al governo cittadino persone facoltose ed idonee all’ufficio, contravvenendo agli ordini ricevuti, 

«per compiacere alli silicei, carcarati hora in Vicaria, per ordine di Vostra Eccellenza,…. et altri loro aderenti»61,

aveva fatto eleggere:

«…detto Scipione Sansone per mastro giurato, homo poverissimo che appena possede docati 25 (?) de intrata, fratello carnale de Giovanni Sansone pur carcerato in Vicaria per li stessa causa, il quale mastro giurato ha sempre soccorso detto suo fratello con li denari della povera Università, aggravata de ottantamilia docati de debiti»62.

Inoltre l’Auditore aveva dichiarato per eletto del popolo Paolo de Re, il quale l’anno precedente aveva esercitato l’Ufficio di “Percettore o banco” e ancora non aveva dato conto della sua amministrazione, ed infine aveva permesso:

«...che fusse cancelliero de detta città, notar Giulio Capoano, il quale pure l’anno precedente fu eletto del popolo e per alcuni mesi esercitò l’officio de sindico, nemmeno ha dato conto della sua administratione e perciò sono debitori in grossa summa di denari verso detta città onde, Eccellentissimo, l’administratione di detta città va in tota rovina...»63.

Oltre a ciò i due eletti dei nobili accusavano i loro colleghi del reggimento di essersi macchiati di reati più gravi:

«…manifestatamente appare che in questi mesi di lor governo figurano d’aver dato per elemosina circa millie ducento docati, conforme consta dalle licenze ottenute per posserli fare non havendono riguardo che la detta città se ritrova tanto oppressata de debiti, figurando anco aver fatto altri dispendi et tutti cum licentia li hanno convertiti in uso proprio, che pur, Eccellentissimo, è sangue de poveri pupilli, vedove et altre persone miserabile».

Pertanto Alfonso Lombardo e Pietro de Baldis richiedevano l’intervento di Marcello Lanfranco «Commissario deputato dall’Eccellentia Sua e suo Collaterale Consiglio», il quale avrebbe dovuto conferirsi nella città allo scopo di 

«levarli dall’administratione... eligendo et facendo eligere altri in loro loco, atti e sufficienti a detto esercitio et che non li osta la forma et tenore della Regia Prammatica»64.

La questione si concluse momentaneamente con la destituzione ufficiale non solo degli ufficiali citati, ma anche dell’altro Eletto del popolo non citato nel memoriale, ossia Antonio Rosato e con la indizione delle nuove elezioni da tenersi con il maggior numero di pubblico possibile, elezioni, per la verità, la cui esplicazione risulterà piuttosto controversa 65.

Infatti ancora per alcuni anni, come vedremo di seguito, nonostante l’intervento dell’ufficiale regio, le parti non sembreranno interessate alla ricerca di un accordo che garantisse alla cittadina la presenza di un apparato amministrativo compatto e seriamente impegnato nella risoluzione dei gravi problemi locali.

Del resto l’Università, analogamente a quanto accadeva nelle altre parti del Viceregno, si trovava ad affrontare, in questo periodo, difficoltà la cui portata soverchiava di gran lunga le umane possibilità: un debito esorbitante a cui si erano aggiunte le annate difficili dal punto di vista dei raccolti e la presenza continua delle truppe spagnole, alloggiate nella città a presidio e “difesa” delle popolazioni da quel fenomeno dilagante e infestante che era il brigantaggio, preludio di quella insofferenza popolare, che sfocerà nei moti masanelliani del 1646-4766.

Ancora nel 1610 le nuove elezioni si svolsero alla presenza dell’avvocato fiscale Cesare Natale, il quale nella premessa ai lavori aveva rivolto ai presenti un invito dal carattere piuttosto minatorio, affinché tutti si impegnassero a 

«lasciare da parte ogni rancore, partialità et timore et nominare et accettare quelli che li pareranno habili al detto carico e che non li ostano le regie prammatiche, poiché, facendono altrimente si procederà da noi ad eligere persona nella quale concorrano tutte dette qualità»67.

Nel corso dell’elezione, come spesso accadeva quando si presupponeva la mancanza dell’unanimità, nonché per altre ovvie ragioni, si sospese il voto «viva voce» e si introdusse l’uso delle  fave per il sì e dei ceceri per il no.

La situazione non dovette migliorare se, per le elezioni del 1613, fu richiesta la presenza di un Ufficiale qualsiasi del Tribunale Regio «com’è solito e di ragione», «per obviare scandali…ogni disordine et tumulto…che possano succedere»68; tanto più che nella seduta del Consiglio comunale che seguì immediatamente le elezioni, la nuova amministrazione, guidata da un Mastrogiurato popolare, Gio: Simone Sarrocco, lamentava il fatto che non si fosse riusciti ad «appaltare» ad un prezzo conveniente la gabella della farina, come del resto tutte le altre, non solo a causa dei cattivi raccolti, ma

«…anco per li tanti franchi ch’hoggi sono in questa città, che son fatti ( da alcuni cittadini) per disgravarnosi dal peso di dette gabelle, a pena detti loro figli sanno leggere e l’hanno vestiti preiti con farci donatione di quelli stabili e robbe soggette a dette gabelle e debiti contratti dalla città, e quel che è peggio che poi fatte dette donationi, l’istessi particolari hanno posseduto e possedono detti beni donati, e n’hanno disposto, e disponeno a lor gusto, com’è noto a tutti, e si vede che realmente dette donationi sono infraude, di modo che questa città è ridotta a tale ch’appena potrà sodisfar li pagamenti fiscali».

Il mastrogiurato Sarrocco signicativamente concludeva:

«è bene che sia qualche rimedio a detti franchi che sono in Troja, ch’hormai non è remasto altro che il povero, che non può fare figli preiti, a pagar le gabelle»69.

Il quadro che emerge da una prima analisi della attività dell’Università di Troia nella prima metà del XVII secolo non lascia dubbi sul cammino tortuoso e sulla presenza di un dibattito molto vivace tra le diverse componenti dell’amministrazione cittadina, dibattito che in alcune circostanze sembra più assomigliare alla strenua difesa di diritti e di prerogative di singoli individui o “clan” a discapito di altri; le cariche pubbliche in fondo sono gestite sempre dalle stesse, poche famiglie, senza un ricambio che possa lasciare intuire un qualche elemento di originalità, rispetto alla situazione registrata nelle altre realtà cittadine del Mezzogiorno70.

Tuttavia l’Università di Troia in quegli anni dà ancora segni tangibili di vita, si riunisce per affrontare i più svariati argomenti e persino per introdurre delle novità, più o meno positive, nelle consuetudini ormai consolidate: nell’elezione del 25 agosto del 1638, ad esempio, lo «ius nominandi», contrariamente al solito, sembra proprio gestito dall’assemblea elettiva, la quale non rifiuta il candidato proposto dal Sindaco uscente per Mastro giurato, ossia Horatio Sansone, definito «bono et perfettissimo», ma ne acclama a gran voce un altro, Alfonso d’Afflitto, chiedendo al Sindaco di candidarlo; allorché il sindaco cede alle richieste, l’assemblea sembra votarlo compatta «...et per acclamatione viva voce detto che questo voleno per mastro giurato et che no si proceda ad altra nomina»71.

In futuro gli ufficiali uscenti, probabilmente anche prendendo spunto da questa particolare circostanza, si limiteranno a proporre un solo nome per il candidato a venire.

  

«Ex causa necessaria publicae utilitatis»: Troia e il  Principato nel Libro dei conti della Fidelissima Città di Troja ( 1634-1664)

Nonostante il grosso sforzo economico e gli esosi riscatti pagati dalle Università del Viceregno per garantirsi l’accesso nel demanio, già nel corso del 1626 il duca d’Alcalà aveva proceduto, per ragioni di Stato, alla vendita di alcune città, in un clima di malcontento generale, caratterizzato da inutili ricorsi ai Tribunali e tumulti; un decennio più tardi, un decreto della Camera della Sommaria datato 23 febbraio 1638 estendeva il provvedimento a tutte le terre e le città demaniali e anche Troia nel 1639 «ex causa necessaria publicae utilitatis», seguiva il medesimo destino: la cittadina, acquistata in un primo momento dalla principessa di Montesarchio Andreana di Sangro, veniva dalla stessa ceduta al secondogenito Francesco d’Avalos, che un decennio più tardi avrebbe assunto il titolo onorifico di Principe72.

La notizia compare nelle pagine del Beccia in maniera frettolosa senza alcun commento: quasi un incidente di percorso. Incidente per la verità piuttosto grave e pertanto assunto nel corso della nostra ricerca come momento cruciale nella storia dell’Università di Troia in età moderna.

Evidentemente nessun malcontento, almeno di un certo rilievo, si accompagnò all’evento (non abbiamo alcun indizio in tal senso), al contrario di quanto accadde invece in altre parti del regno: a Lanciano, ad esempio, a redimere lo scontro tra il Marchese del Vasto, Ferrante Francesco d’Avalos, ed i rappresentanti del governo cittadino, intervenne una sentenza del tribunale che affidava Lanciano all’autorità del Marchese solo finché la cittadina non avesse pagato a lui il prezzo della compra73; probabilmente a Troia i continui presidi delle truppe spagnole dovettero  scoraggiare di fatto ogni tipo di reazione.

Con il passaggio di Troia allo stato giuridico di città feudale e poi di principato, la vita politica e amministrativa dell’Università, come non solo è facilmente desumibile, ma anche chiaramente verificabile, subì un notevole contraccolpo.

Sebbene nei Registri delle Conclusioni decurionali manchino proprio le annate cruciali del passaggio al nuovo status, vista la grossa lacuna che comprende gli anni che vanno dal 1639 al 1670, un’altra interessante fonte, il Libro dei conti della Regia Fidelissima città di Troja, anch’esso custodito nella Biblioteca comunale di Troia, sembra degnamente sopperire alla carenza, offrendoci un quadro ancor più completo, soprattutto dal punto di vista economico, della vita di Troia negli anni che vanno dal 1634 al 1664, nonostante la frammentarietà e, a tratti, l’illeggibilità di parte della documentazione.

Nel preambolo di ogni resoconto annuale del Libro dei conti è possibile trovare notizie sugli Ufficiali cittadini, compreso l’addetto al «banco», non solo dell’amministrazione corrente, ma anche di quella a cui il resoconto fa riferimento; seguono le voci delle varie gabelle («Dazio del vino», «Gabella della farina», della «Catapania», dell’«Industria», «Magazeno dell’orgio», ecc.), e per ognuna il nome dell’affittuario e il prezzo pattuito per quell’anno; seguono in fine l’elenco dei pagamenti periodici effettuati, espressi in ducati, tarì e grana, e le conclusioni.

Una prima rapida analisi del Libro ha fatto emergere una serie di notizie che sicuramente meritano ulteriori approfondimenti, ma che già ci consentono di effettuare alcune considerazioni di fondo. Il Principe di Troia, nell’anno 1652-53, risulta fittuario del «magazeno dell’orgio», che egli pare gestire non direttamente, ma tramite un suo agente, un certo Angelo Cardinale74, il quale ricompare nelle medesime vesti anche nell’anno 166375, cosa che rende presumibile il fatto che egli abbia svolto questo ruolo in maniera continuativa per tutto il decennio in questione.

La cosa di per sé risulterebbe di scarso interesse se non fosse per il fatto che lo stesso Angelo Cardinale è menzionato nel settembre del 1660, ossia all’atto del resoconto della città di Troia relativo al 1658-59, tra gli amministratori dell’Università e per di più nell’importante ufficio di Mastrogiurato76, cosa che non lascia dubbi sulle possibili ingerenze da parte del Principe nella vita amministrativa dalla cittadina.

Chi sia con certezza Angelo Cardinale, dal punto di vista sociale s’intende, è ancora questione da chiarire: si tratta di un nome piuttosto nuovo, che non sembra comparire tra i candidati alle cariche amministrative della prima metà del XVII secolo.

 Tra il 1659 ed il 1662 egli riveste la carica di Priore della Confraternita dell’Annunziata77, carica che in genere, per questioni di sicurezza era affidata ai notabili cittadini più abbienti: è probabile dunque che Angelo Cardinale facesse parte di quel patriziato cittadino che, anche in altri centri meridionali, allettato da prospettive di ascesa sociale, entrò in connubio con il baronaggio locale, difendendone i privilegi ed ottenendone in cambio protezione78.

Anche a Troia dunque sembra non trovare smentite il dato che emerge costantemente dalle ricerche condotte nella maggior  parte dei centri urbani  del  Mezzogiorno in età spagnola: ossia quello dell’egemonia che la nobiltà continuò ad esercitare, nonostante la nuova connotazione moderna dello stato asburgico: se da un lato la Corona, con il ricorso alla proliferazione dei titoli, con l’emanazione di Prammatiche, che denunciavano le usurpazioni baronali quali concausa della decadenza delle cittadine meridionali, portò ad una certa «diminutio capitis» del potere politico baronale, dall’altro la mancanza di un’azione più incisiva, quale sarebbe stata una politica di demanializzazione, favorì a livello locale la nascita di società signorili all’interno delle quali il barone di turno, non solo assumeva, nelle forme più rigide, le tradizionali prerogative feudali, ma si dotava anche di più sottili strategie per il controllo delle classi sociali meno abbienti e delle amministrazioni cittadine79.

Del resto dai verbali delle sedute decurionali della seconda metà del  XVIII secolo80 emerge quanto la vita politica di un centro infeudato fosse ai limiti della mera sopravvivenza: il governo veniva infatti convocato solo per l’elezione dei nuovi rappresentanti: ciò indica che la risoluzione dei problemi della cittadina, problemi che dovevano continuare ad essere sempre più impellenti, trovavano altre vie risolutive, cosa che rendeva evidentemente inutile la convocazione del Parlamento o del Consiglio cittadino.

Anche nei primi anni della dominazione borbonica la situazione rimane pressoché invariata: bisognerà attendere la metà XVIII per assistere a novità degne di nota.

Agli inizi del XVIII secolo, il governo cittadino a Troia non solo si riunisce saltuariamente e quasi esclusivamente per espletare le elezioni, ma queste ultime appaiono sempre più affrettate: nelle elezioni del 25 agosto del 1712 ogni eletto uscente è invitato a nominare in suo loco solo un candidato, il quale, in mancanza di alternativa è, seduta stante, nominato Eletto81.

Dunque l’Università è l’istituzione più seriamente danneggiata dalla riscossa baronale dalla metà del Seicento: frequenti i colpi di mano cui una classe sociale dal solido retroterra economico può lasciarsi andare con il tacito benestare del potere centrale.

In particolar modo la città di Troia dovette risentire il disagio economico che il fiscalismo spagnolo e la nuova condizione giuridica portavano con sé, per via della sua posizione piuttosto eccentrica rispetto alle regionali rotte economiche, che sempre più andavano identificandosi con le vie della transumanza; la proliferazione delle Confraternite caritatevoli e la nascita di un Monte frumentario ancora nel 1733, inaugurato non a caso da un esponente di casa d’Avalos, il calo demografico, che si può evincere dal numero di fuochi fiscali82, e le notizie che si possono ricavare dall’analisi delle fonti del tempo, possono darci la misura delle condizioni in cui si trovava la cittadina nell’ultimo secolo della dominazione asburgica.

Se un quadro generale è stato sin qui delineato, ulteriori ricerche d’archivio potranno consentirci di entrare nel particolare e condurre un’analisi che più dettagliatamente si sforzi di cogliere connessioni, di comprendere strategie e meccanismi, che possa insomma restituirci, nella maniera più coerente possibile, un’immagine complessiva della vita sociale, politica ed economica dell’Università di Troia in età moderna.

 

   


NOTE

 

1 P. ROSSO, Ristretto dell’Istoria della città di Troja e sua diocesi dall’origine delle medesime al 1584, a cura di N. Beccia, Trani 1907 ( ristampa anastatica, Troia 1987), p. 17.

2 A. La Cava, La demografia di un Comune pugliese nell’età moderna, A.S.P.N. (1939), pp.25-39; Id., Un comune pugliese nell’età moderna: note di storia economica e civile di Lucera, in A.S.P.N. (1943), pp. 108-114.

3 Si tratta di un manoscritto che riprende in parte gli Statuti dell'originale «Libro rosso»: era detto così il libro che conservava gli Statuti, le Leggi i Capitoli i Privilegi dell'antica Università, che le città del Regno di Napoli compilarono in genere tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo.

4 Attualmente il manoscritto è conservato nell'Archivio municipale di Manfredonia. Per ulteriori approfondimenti in merito rimando alle seguenti pubblicazioni: Il Libro rosso della Città di Foggia, a c. di P. di Cicco, Foggia 1965; Il Libro rosso dell'Università di Manfredonia, a c. di P. di Cicco, Napoli 1974; non va del resto dimenticato il volume dal titolo Storia di Foggia in età moderna, a c. di S. Russo, Foggia 1992.

5 F. e V. Bambacigno, Natura e culture sul tetto della Puglia lungo la Via Traiana, Troia 1996. 

6 Lo stesso Archivio Capitolare e vescovile di Troia potrà offrire interessanti spunti in tal senso.

7 Già in età angioina per l'assegnazione delle terre operata da Roberto d'Angiò, dopo la distruzione di Lucera saracena, il secondo ceto appare costituito nel modo indicato. Il “ceto medio” tenterà, riuscendoci solo alla fine del Settecento, quando la discriminante per l'accesso al governo delle Università sarà rappresentata non più dal ceto ma dal censo, di entrare da protagonisti nei Parlamenti cittadini: A. Spagnoletti, «L'incostanza delle umane cose». Il patriziato in Terra di Bari tra egemonia e crisi (XVI-XVIII secolo), Bari 1981, pp. 4 e ss.

8 G. Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno, Torino 1965, p. 164 e ss.

9 N. Beccia, Cronistoria di Troja (dal 1584 al 1900) seguito al ristretto dell'Istoria della città di Troja e sua diocesi di Pietrantonio Rosso, Lucera 1917 (ristampa anastatica, Troia 1987), p. 37.

10 Il documento in questione è pubblicato tra l'altro in Rosso, op. cit., p. 44.

11 A giudicare dalle relaziones ad limina,  che vanno dal 1592 al 1621, e dalle visite pastorali compiute a Foggia tra il 1540 e il 1625, che offrono un'interessante quantità di notizie sullo stato della diocesi; in Bambacigno, op. cit., pp. 275-291.

12 Per notizie più dettagliate anche sul ruolo di mecenati e committenti dei vescovi troiani in età moderna si veda: F. Baini, Lineamenti di storia dell'arte a Troia, Troia 1996; in particolare sull'opera di Mons. Cavalieri: G. Rossi, Della vita di Mons. Emilio Giacomo Cavalieri della Congregazione de' pii operai, vescovo di Troia, Napoli 1741; notizie varie sull'operato del vescovato troiano nel periodo in esame anche in Beccia, op. cit.; R. Mastrulli, Le confraternite della diocesi di Troia come fenomeno associativo del preappennino dauno, in AA.VV., Le confraternite pugliesi in età moderna, Fasano 1988, pp. 223-228.

13 Vincenzo Aceto da Sansevero, canonico di Troia, è l'autore tra la fine del XVII e il primo trentennio del XVIII secolo, della Troja Sagra, un manoscritto di grossa mole, diviso in due volumi ancora inediti e conservati gelosamente nell'Archivio Capitolare di Troia; di professione notaio è il più antico P. Rosso, vissuto tra il 1527 e il 1592 circa, autore di una cronaca che ci è stata tramandata da un Anonimo cappuccino e pubblicata, come abbiamo già riferito precedentemente, a c. di Beccia.

14 Beccia, op.cit., p. 80.

15 Ivi, p. 81.

16 Ivi, p. 8.

17 Per notizie più dettagliate in merito: Spagnoletti, op. cit.

18 Anche se non manca una saggistica di ampio respiro a tal proposito; si veda ad esempio l'imponente collana di studi «Storia del Mezzogiorno», a cura di G. Galasso, Roma 1986, soprattutto il VII volume che comprende, tra gli altri, i saggi di R. Colapietra sulla Capitanata e quello di A. Massafra sulle Università in Terra di Bari.

19 Naturalmente il giudizio sul ruolo preponderante della campagna rispetto alla città nel Mezzogiorno d'Italia, trova le sue radici nel convincimento che la presenza precoce e persistente in quest'area di un solido stato unitario su basi monarchico-feudali, nessuno spazio avrebbe concesso allo sviluppo di realtà politiche urbane in grado di assumere ruoli politici alternativi alla monarchia, come al contrario nel caso dell'Italia centro-settentrionale; ampia eco di tale condizionamento in Spagnoletti, op. cit., p. 3.

20 L. Masella, La difficile costruzione di una identità, in Storia d'Italia. La Puglia, Torino 1989.

21 F. Calasso, La legislazione statutaria dell'Italia meridionale. Le basi storiche, le libertà cittadine dalla fondazione del Regno all'epoca degli Statuti, Roma 1929; V. Alianelli, Delle Consuetudini e degli statuti municipali nelle province napoletane, Napoli 1873; N. F. Faraglia, Il Comune nell'Italia meridionale (1100-1806), Napoli 1883.

22 A. Massafra, Le Università: ordinamenti amministrativi, ceti sociali e finanze dall'ultimo periodo aragonese alla fine del Seicento, in Storia del Mezzogiorno, Roma 1986, p. 523.

23 Alianelli, op. cit., pp. 40-41.

24 Ivi, pp. 23-24.

25 DI CICCO, Il libro rosso della città di Foggia cit., pp. 9-10.

26 è la strada seguita dall'Anianelli e da altri studiosi della fine del secolo scorso, i quali visionarono la documentazione relativa agli atti delle liti che nei secoli scorsi le città sostennero davanti ai tribunali regi, il Sacro Regio Consiglio, al quale si ricorreva contro gli abusi, e la Regia Camera della Sommaria, alla quale si ricorreva per essere preferite  nell'acquisto della libertà dalla condizione feudale e dunque per il passaggio al demanio, cosa che Troia fece nel 1583; in tali circostanze l'Università in genere presentava a suo vantaggio tutta la documentazione ad essa relativa (grazie, privilegi, ecc.), contenuta appunto nel cosiddetto «libro rosso». Una volta abolita la feudalità, fu creato un tribunale speciale, la «commissione feudale», per dirimere le controversie tra Comuni ed ex feudatari, e gli atti delle antiche procedure furono raccolti presso la stessa commissione e relegati in un migliaio di volumi, conservati appunto nell'archivio di Napoli; Alianelli, op. cit., p. 56; per quanto riguarda i dettagli della «proclamazione al demanio» dell'Università di Troia: Rosso, op. cit., pp. 460-469.

27 L’originale di questo documento, insieme alla gran parte delle scritture della cancelleria aragonese, fu perduto durante i tumulti del 1647, che condussero all’incendio del palazzo dell’allora segretario del regno, presso il quale tali registri erano conservati: F. Trinchera, Codice aragonese, Napoli 1866 (copia anastatica), v. I, p. XXXVII in nota.

28 Rosso, op. cit., p. 186 in nota.

29 Scontri nei quali emerse, intorno al 1459, la figura di Don Alfonso d’Avalos, capostipite della famiglia che risiederà a Troia un paio di secoli più tardi, quale difensore in Capitanata della causa aragonese: ivi, p. 199.

30 Preso dalla Troja Sagra dell’Aceto e riportato in Rosso, op. cit., p. 215.

31 Il documento può essere facilmente reperito in F. Trinchera, Syllabus Graecarum membranarum, Napoli 1865 (ristampa anastatica Bologna 1978), oppure in nota, tratto dall’Aceto, in Rosso, op. cit., pp. 34-37.

32 L’interessante documento si inserisce nel quadro di una diffusa produzione di concessioni di tale genere, tra l’XI e il XIII secolo, nel Mezzogiorno d’Italia; tali carte di franchigie hanno messo in evidenza, secondo il parere di alcuni studiosi, la presenza anche al Sud di un notevole movimento comunale, nato anzi prima di quello del centro-nord, ma stroncato con l’arrivo della monarchia normanna; cfr. Calasso, op. cit., p. 26.; a proposito della carta di Troia, vedi anche Zdecauer, Le franchigie concesse da Onorio II alla città di Troia, in «Rivista Italiana di Scienze Giuridiche», XXV (1898), p. 242 ss.

33 Ibidem.

34 Il documento è conservato nell’Archivio Capitolare di Troia, v. 22, f. 24; anche in Bambacigno, op. cit., pp. 265-269.

35 Falconis Beneventani Chronicon de rebus aetate sua gestis, in Faraglia, op. cit, p. 18.

36 Il sovrano intervenne con repressioni violente contro il banditismo locale e nella stessa Troia intorno al 1178: a tal proposito R. Licinio, Castelli medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo I  d’Angiò, Bari 1994, p. 112.

37 Cit. in G. Fasoli, Organizzazione delle città ed economia urbana, in Potere, società e popolo nell’età sveva (1210-1266), Atti delle seste giornate normanno-sveve, Bari 1985, p. 168.

38 Ivi, pp. 169 e ss.

39 Licinio, op. cit., p. 149.

40 Documento citato in Calasso, op. cit., p. 195.

41 Faraglia, op. cit., p. 76.

42 Il documento è citato in Rosso, op. cit., p. 149.

43 Il testo del privilegio è tratto dal già citato lavoro dell’Aceto e riportato in Rosso, op. cit., pp. 213-221.

44 Quella che aveva combattuto a favore di Giovanni d’Angiò, era stata capeggiata dal duca Giovanni Cossa, mentre in quella fedele alla causa aragonese si era distinto Alfonso d’Avalos, giunto da poco nell’Italia meridionale al seguito dei sovrani della dinastia spagnola. Anche la guerra franco-spagnola del 1528-30 vide le città protagoniste dello scontro ed ancora una volta fu la componente nobiliare ad invocare l’aiuto angioino: Massafra, op. cit., p. 522-523.

45 Citato in Rosso, op. cit., p. 235.

46 Come appare nel Codice Aragonese e in alcuni Statuti cittadini; per notizie più dettagliate sulle diverse cariche pubbliche del periodo e sulle loro funzioni, si veda Calasso, op. cit., pp. 229-265.

47 Mastrulli, op. cit., pp. 223 e ss.

48 Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno cit., pp. 168-170.

49 Spagnoletti, op. cit., p. 23.

50 L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, ristampa anastatica dell’edizione di Napoli 1797-1805, vol. IX, p. 265.

51 Basta una rapida occhiata ai cognomi dei candidati alle varie magistrature cittadine, nelle elezioni amministrative, per rendersi conto di ciò.

52 Biblioteca Comunale di Troia ( B.C.T.), Liber conclusionum Universitatis Fidelissimae Civitatis Trojae, Registro I (1604-1639), anno 1604, ff. 4- 8 (retro).

53 In Di Cicco, Il libro rosso della città di Foggia cit., p. 24.

54 Documento citato in Di Cicco, Il libro rosso dell’Università di Manfredonia cit., p. 7.

55 Di Cicco, Gli statuti economici cit., p. 323.

56 Il documento è riportato da Di Cicco, Il libro rosso dell’università di Manfredonia cit., p. 48.

57 B.C.T., Liber cit., Registro cit., f. 41.

58 Spagnoletti, op. cit., p. 19.

59 Troia non è nuova a lotte fratricide di questo genere; pensiamo alla faida scatenata nella prima metà del XVI secolo tra la famiglia Lombardo e quella Giojoso, per un motivo all’apparenza molto futile: Rosso, op. cit., p. 356.

60  B.C.T., Liber cit., Registro I, anni 1604-1634, anno 1608, f. 35.

61 B.C.T., Liber cit., Registro cit., f. 40.

62 Ivi, f. 41 retro.

63 Ibidem.

64 Ivi, f. 40 retro.

65 Ivi, ff. 45-46.

66 Di queste problematiche si trova eco diretta soprattutto nel Registro I del Liber di Troia.

67 Ivi, verbale del 31 agosto 1610, f. 65.

68 Ivi, verbale del 29 agosto 1613, f. 105.

69 Ivi, fgg. 108-109.

70 Analoga situazione anche nel resto della Capitanata: si pensi al caso di Lucera, la cui Università già nel 1568 inviava un memoriale al Vicerè D. Parafan de Rivera, duca d’Alcalà, nel quale si denunciava il fatto che da molti anni erano deputati al reggimento «li fratelli carnali di quelli che erano al regimento vecchio», cosa che metteva in forse la credibilità dei rendiconti annuali dell’Università; il documento, preso dal registro delle deliberazioni del decurionato di Lucera, è pubblicato in La Cava, op. cit., pp. 4-5.

71 Ivi verbale del 25 agosto 1638, fgg. 86-88.

72 Sui caratteri della famiglia d’Avalos e della nobiltà in genere in età moderna, anche in relazione alla tipologia delle residenze signorili, esauriente si presenta il lavoro di M. Mancini, Per una storia della cultura feudale in Puglia tra XVI e XVIII secolo: i d’Avalos Principi di Troia, Tesi di laurea in Istituzioni di storia dell'arte, Università di Bari, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1996-97.

73 Faraglia, op. cit., p. 191.

74 B.C.T., Il Libro dei conti della Fidelissima cità di Troia, unico registro (1634-1664), anno 1654, f. 266.

75 Ivi, anno 1664, f. 335.

76 Ivi, anno 1660, f. 307.

77 Come si dice a proposito di un mandato di 30 ducati  datato 14 aprile 1662, come somma ricavata «dall’esattione delle buonetenenze di Puzzo Arzogna», relative all’anno 1659-60: ivi, anno 1662, f. 322.

78 Spagnoletti, op. cit, p. 45.

79 Galasso, op. cit., p. 193.

80 Ci riferiamo al II Registro del Libro delle conclusioni, dove compaiono le annate comprese tra il 1663 ed il 1802.

81 Ivi, Registro II, anno 1712, f. 44.

82 Nel 1595 Troia è tassata per un numero di 893 fuochi; nel 1648 i fuochi sono 551, nel 1669 sono 501 e nel 1737 il numero si è ulteriormente ridotto a 435 fuochi: Giustiniani, op. cit., p. 262.

   

  

 

©2001 Maria Lorusso

       


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