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di ANDREA MONETI

 

Hattin si trovava al centro del regno di Gerusalemme, presso Tiberiade, e il 4 luglio 1187 fu il luogo dove avvenne la più grande disfatta dei cristiani in Terrasanta per mano del Saladino. Dopo quella battaglia si sgretolò il Regno latino di Gerusalemme o d’Oltremare (al di la del mare), la lunga striscia, cioè, che comprendeva le quattro aree dei regni di Antiochia, Edessa, Tripoli e Gerusalemme, durato solo ottantotto anni: Gerusalemme si arrese al Saladino pochi mesi dopo, il 12 ottobre 1187, quindi Giaffa, Ascalona, Beirut ed infine San Giovanni d'Acri.

La presa di Gerusalemme e di Acri causò un profondo sgomento nel mondo cristiano europeo. I Franchi (così venivano chiamati indistintamente gli europei) scampati con la fuga presero la via dei mari per andare a chiedere aiuti e soccorsi in ogni paese, in particolare a Roma, e per incitare la gente raccontarono ogni sorta di nefandezza. Ma a Gerusalemme, le cose non erano affatto andate in questo modo: quando Saladino fece il suo ingresso nella Città Santa, diede ordine ai suoi emiri e soldati che nessun cristiano, franco, o ebreo, venisse molestato. Rispetto alle pratiche comuni di ogni guerra, non ci furono né massacri né razzie. Saladino rafforzò persino la guardia al Santo Sepolcro, il principale luogo di culto cristiano. Né fece nessuna pulizia etnica, limitandosi ad imporre una tassa di dieci dinar a chi avesse deciso di abbandonare Gerusalemme. Il patriarca si appellò al Saladino per i cristiani poveri che volevano lasciare il paese e che non lo potevano fare perché non potevano permettersi di pagare l’imposta; Saladino dette a tutte le persone senza averi, la possibilità di partire senza pagare nulla. E alle vedove e agli orfani franchi, non solo li esentò dai pagamenti, ma offrì loro dei doni prima di lasciarli partire.

Lo stesso Patriarca di Gerusalemme, quando uscì dalla città e pagò dieci dinar come tutti gli altri, ebbe pure una scorta per poter raggiungere Tiro senza subire molestie dai fanatici che reclamavano rappresaglia contro le violenze subite in passato dai cristiani. Ben diverso fu il comportamento di Riccardo Cuor di Leone quando espugnò Acri l'11 luglio del 1191 sterminando i suoi abitanti: le cronache raccontano che furono radunati dinanzi alle mura 2700 soldati del Saladino, con circa 300 donne e bambini, legati tra loro per mezzo di corde, e passati a fil di spada uno ad uno.

Ma come fu possibile arrivare a tutto questo?

Da tempo si era esaurita la spinta propulsiva del 1096 quando partì la Prima Crociata: un esercito di alcune migliaia di uomini, composto in buona parte di feudatari, valvassori e cavalieri, tutta gente abituata alla guerra, tra i quali ricordiamo Goffredo di Buglione, conte della Lorena, col fratello Baldovino, Raimondo conte di Tolosa, conosciuto come conte di Saint Gilles, dal nome del suo feudo preferito, i normanni di Boemondo di Taranto, figlio di Roberto il Guiscardo, e Tancredi d'Altavilla, e con loro molti altri, francesi, inglesi, normanni, italiani. Gli stati cristiani nati dopo il 1099, quando cadde Gerusalemme, tra i quali ricordiamo il Regno di Gerusalemme, la Contea di Tripoli, il Principato di Antiochia e la contea di Edessa, fin dalla loro nascita, erano deboli e incerti si presentavano i loro confini, anche perché molti “crociati” superstiti alle battaglie, se ne ritornarono in patria, né furono sufficienti a sostituirli gli Ordini religiosi cavallereschi, dei Templari e dei Cavalieri di San Giovanni o Ospedalieri. 

Passarono pochi anni e i latini stessi iniziarono a farsi guerra tra di loro per contendersi i territori conquistati che appartenevano ai Bizantini, creando una situazione ambigua e convulsa, arrivando a stipulare patti suicidi e di scarse vedute con gli stessi saraceni. A tutto questo va aggiunto la situazione politica che si era venuta a creare negli ultimi anni tra gli stati europei, prime fra tutte le ostilità nate tra l’imperatore Federico I Barbarossa, Normanni, papa, e l'impero di Costantinopoli con i Comneno, poi con Andronico e in ultimo con Isacco. Basti ricordare che quando, pochi anni dopo, partirà la Quarta Crociata, che non arrivò nemmeno a destinazione, con la conquista e il tremendo saccheggio di Costantinopoli, davanti ai commerci, alle terre e ai tesori di Bisanzio, la Terrasanta fu del tutto dimenticata.

Altro elemento di debolezza fu anche la spaccatura che spesso si presentava tra i nuovi arrivati, gli avventurieri, e i latini che già risiedevano in Terrasanta da anni, se non due o tre generazioni, che avevano saputo stabilire relazioni amichevoli con i vicini arabi, anche imparentandosi con matrimoni misti (i pullani), spesso affascinati dal la vasta cultura, costumi, e tradizioni, cambiando nel tempo perfino mentalità. Per i legami di natura personale che detenevano con i musulmani, non potevano fare certamente la guerra agli arabi con gli stessi entusiasmi dei cavalieri che giungevano dall’Europa. Ecco spiegato anche perché vi furono tanti tradimenti tra i crociati residenti e quelli appena arrivati, che disprezzavano i saraceni (gli "infedeli").

Il Saladino approfittò di questa situazione che nei decenni si era venuta a creare e la sua avanzata fu inarrestabile: già unico sultano sull'Egitto, sul Maghreb e parte della Palestina, sulla Siria e sull'Arabia occidentale, conquistò anche buona parte della Mesopotamia Per completare il suo dominio mancava solo la Palestina e Gerusalemme.

Il 30 giugno 1187, Saladino attraversò il fiume Giordano con più di trentamila uomini, tra cui dodicimila cavalieri, composto da arabi, curdi, turchi, siriani, turcomanni, beduini ed egiziani; mandò una parte dell'esercito a Tiberiade, con l'intento di stanare l'esercito cristiano forte di 1200 cavalieri e circa 15000-18000 uomini, dall'accampamento di Sephorie (Saffuriya), luogo ben protetto già utilizzato in passato per fronteggiare gli attacchi provenienti dalla Siria: il piano funzionò. Guy di Lusignano re di Gerusalemme, che disponeva di un esercito di ventimila uomini, di cui milleduecento cavalieri, il 3 luglio 1187 lasciò l'accampamento per difendere il castello di Tiberiade. All'avanguardia era Raimondo di Tripoli, al centro Guido di Lusignano con i vescovi di Lidda e Acri che portavano la santa reliquia della Croce, mentre Baliano di Ibelin guidava la retroguardia con i Templari e gli Ospitalieri. Guido, per evitare di scontrarsi immediatamente con Saladino che controllava la strada più corta per Tiberiade, scelse di seguire la strada che da Saffuriya andava fino al villaggio di Mash-had e poi incontrava la strada principale che da Acri portava a Tiberiade.

Si prevedeva di percorrere il tragitto nell'arco di una giornata e, pertanto, non si provvide a portare carri cisterna per l'acqua. Alla notizia che l'armata cristiana si era messa in movimento Saladino lasciò un piccolo contingente a Tiberiade, ritornò al campo base e inviò delle truppe di cavalleria per disturbare con brevi scaramucce la marcia dei cristiani: obiettivo principale era l'uccisione dei cavalli. La cavalleria musulmana lanciava le frecce e si ritirava senza accettare lo scontro. Alle dieci del mattino i cristiani, dopo 5-6 ore di marcia, raggiunsero Monte Turan, dove, non lontano dalla strada, si trovava una ricca sorgente d'acqua, ma re Guido rifiutò di fermarsi.

A mezzogiorno l'esercito aveva percorso 18 chilometri: l'acqua era finita e la zona tutta intorno era desertica. I fanti, racchiusi nei loro giubbotti di protezione contro le frecce, erano tormentati dalla calura estiva che arroventava anche le corazze dei cavalieri. Tutti erano stanchi per le molte ore di cammino in un territorio impervio e per la sete. Saladino, con il grosso dell'esercito attestato nelle vicinanze, a Kafr Sabt, attaccò la retroguardia che, per difendersi, si dovette fermare. Il conte Raimondo, che aveva intuito a quale disastro sarebbe andato incontro l’esercito cristiano accettando la battaglia in quelle condizioni, fece compiere all'esercito una deviazione verso nord per raggiungere le sorgenti di Kafr Hattin, a circa 3-4 ore di marcia, dove avrebbe potuto pernottare per giungere riposati allo scontro il giorno seguente.

Saladino comprese la manovra di Raimondo; ordinò al suo esercito di schierarsi tra Hattin e l'esercito cristiano. Guido di Lusignano diede, allora, l’ordine di stabilire il campo dove si trovavano, nonostante le proteste di Raimondo. Circondati dall'esercito musulmano, i crociati passarono una notte agghiacciante. Con il morale basso e gli uomini esausti e assetati, i crociati stettero svegli tutta la notte, ascoltando il suono dei tamburi, dei corni e dei cembali musulmani che li circondavano. Oltre a suonare gli strumenti per tutta la notte, i musulmani, per confondere il nemico, appiccarono fuoco alle sterpaglie aumentando la sete dei cristiani, mentre ogni accampamento musulmano era rifornito d’acqua da una carovana di cammelli che portava otri di pelle caprina piene dal lago Tiberiade.

Il 4 luglio, all'alba, l'esercito cristiano si rimise in marcia; Saladino aspettò che il sole e la sete facessero la loro opera sui soldati di re Guido. Scrisse Abu Shama:

«Sirio gettava i suoi raggi su quegli uomini vestiti di ferro e la rabbia non abbandonava i loro cuori. Il cielo ardente accresceva la loro furia; i cavalieri caricavano, ad ondate successive nel tremolio dei miraggi, fra i tormenti della sete, in quel vento infuocato e con l'angoscia nel cuore. Quei cani gemevano sotto i colpi, con la lingua penzoloni dall'arsura. Speravano di raggiungere l'acqua, ma avevano di fronte le fiamme dell'inferno e furono sopraffatti dall'intollerabile calura» (Abu Shama, Kitab al-Raudatain).

Saladino attaccò la retroguardia. Templari e Ospitalieri contrattaccarono più volte. Intanto Raimondo continuava ad avanzare verso le gole di Hattin. Improvvisamente il morale della fanteria crollò, venne scompaginato l'ordine di battaglia e i soldati si dispersero sulla collina. Re Guido piantò la sua tenda rossa come punto di riferimento: i cavalieri accorsero prontamente, ma furono ben pochi i fanti che tornarono indietro. Allora i musulmani diedero fuoco alle sterpaglie. Il vento portò il fumo verso l'esercito cristiano già tormentato dalla sete. Non fu più possibile vedere il nemico mentre le frecce colpivano ovunque. Raimondo ordinò la carica ai suoi cavalieri, ma il Saladino, che conosceva bene il valore e la forza dei cavalieri crociati, aprì le fila e lasciò passare i soldati di Raimondo, per poi richiudere i varchi. Raimondo si trovò, così, isolato e fuori del campo di battaglia e non gli rimase che allontanarsi con i superstiti.

Intorno alla reliquia della Santa Croce la battaglia si fece più aspra. Lo stesso vescovo di Acri rimase ucciso. Quando venne dato l’ordine di sospendere l'attacco con le frecce e di passare alle spade e alle lance, i cavalieri musulmani si slanciarono contro i pochi sopravvissuti che resistevano intorno al vescovo di Lidda. Il figlio diciassettenne di Saladino, al-Malik al-Afdal, ci ha lasciato il racconto di quegli ultimi istanti di tensione.

«Quando il re dei Franchi si ridusse sul colle, con quella schiera fecero una carica tremenda sui musulmani che avevano di fronte, ributtandoli addosso a mio padre. Io lo vidi costernato e stravolto, afferrandosi alla barba, avanzare gridando 'Via la menzogna del demonio!', e i musulmani tornare al contrattacco ricacciando i Franchi sul colle. Al vedere indietreggiare i Franchi, e i musulmani incalzarli, io gridai dalla gioia: 'Li abbiamo vinti!'; ma quelli tornarono con una seconda carica pari alla prima, che ricacciò ancora i nostri fino a mio padre. Egli ripeté il suo atto di prima, e i musulmani, contrattaccatili, li riaddossarono alla collina. Tornai ancora a gridare 'Li abbiamo vinti!', ma mio padre si volse a me e disse:'Taci non li avremo vinti finché non cadrà quella tenda!', e mentre egli così parlava la tenda cadde, e il sultano smontò da cavallo e si prosternò in ringraziamento a Dio, piangendo di gioia» (F. Gabrieli, Storici arabi delle crociate, Einaudi, p. 118).

Centinaia di cavalieri e migliaia di fanti furono catturati. I personaggi più illustri vennero trattati bene da Saladino che intendeva ottenere dei pesanti riscatti. Guido di Lusignano per la sua libertà dovette garantire la consegna di Ascalona (odierna Ashqelon). Reginaldo di Châtillon, per il quale Saladino provava un astio feroce, venne invece ucciso personalmente da Saladino, che poi intinse le mani nel suo sangue. Stessa sorte ebbero i cavalieri degli Ordini religiosi, i soli non disposti a scendere a compromessi o a tradire il loro voto di combattere per la fede cristiana, per i quali non era neppure possibile richiedere un riscatto. Il Saladino li condannò a morte e che per l'esecuzione li consegnò a quei gruppi di fanatici irregolari che accompagnavano il suo esercito. La strage dei cavalieri avvenne al cospetto di Saladino. Lo storico arabo Imad ad-Din, che era presente all'episodio racconta:

«Saladino promise cinquanta denari a chiunque portasse un templare o un ospitaliero prigioniero. Subito i soldati ne portarono centinaia, ed egli li fece decapitare perché preferì ucciderli piuttosto che ridurli in schiavitù. Era circondato da un gruppo di dottori della legge e di mistici, e da un certo numero di persone consacrate alla castità e all'ascetismo. Ognuno di essi chiese il favore di uccidere un prigioniero, sguainò la spada e scoprì l'avambraccio. Il sultano stava seduto con la faccia sorridente, mentre quelle dei miscredenti erano accigliate. Le truppe erano schierate, con gli emiri su due file. Fra i religiosi, alcuni diedero un taglio netto ed ebbero ringraziamenti; la spada di altri esitò e rimbalzò: furono scusati; altri ancora furono derisi e sostituiti. Io ero presente e osservavo il sultano che sorrideva al massacro, scorsi in lui l'uomo di parola e d'azione. Quante promesse non adempì! Quante lodi non si meritò! Quante ricompense durature a motivo del sangue da lui versato! ...».

Saladino disse:

«Intendo purificare la terra da questi due ordini mostruosi, dediti a pratiche insensate, i quali non rinunzieranno mai all'ostilità, non hanno alcun valore come schiavi e rappresentano quanto di peggio vi sia nella razza degli infedeli».

 

    

©2004 Andrea Moneti

     


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