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di DOMENICO ASPRELLA

Il nome, gli aspetti archeologici, “A’ppiett” e il tracciato viario.

Il tratturo Metaponto

   

Il paese di Montalbano sorge su uno dei punti più elevati ( 292 metri sul livello del mare) degli altopiani marittimi posti tra l’Agri e il Cavone, a circa 20 Km dal mare.

Il suo nome pare abbia un’etimologia latina, ma ha fatto nascere le teorie più disparate sulle sue origini e il suo significato da parte di studiosi locali interessati a dare lustro al centro jonico.

Per il Troyli, il nome era derivato dal colore chiaro, tendente al bianco, dell’argilla dei calanchi, tipici della collina su cui sorge il paese.

In realtà sono diverse le colline dell’entroterra ionico che presentano un aspetto calanchivo e non è detto che sia sempre stato così: senza scomodare il mondo antico, già nel Medioevo è possibile che i terrazzi marini lucani fossero ricoperti di boschi.

Secondo il Flechia, importante filologo e linguista di fine Ottocento, invece, i nomi dei centri dell’Italia meridionale che finiscono col suffisso –ano e presentano una chiara etimologia latina denotano un’origine di età repubblicana (III-II sec. a.C.). In un primo momento questi nomi indicavano le proprietà fondiarie che appartenevano ad antiche famiglie italiche (gentes) e successivamente gli insediamenti nati per aggregazione delle abitazioni dei lavoratori dei medesimi fondi [1].

Il Racioppi si servì di questa teoria, a mio modo di vedere razionalmente, scrivendo nel 1889 che per Montalbano il suffisso “–ano” fu aggiunto al nomen gentilicium Albius. In effetti il gentilizio Albius - così come la forma Albanus [2] - è attestato nell’Italia meridionale [3].

È quindi possibile che in uno di questi due gentilizi vada trovata l’origine del nome “Montalbano”?

Un ulteriore sostegno a questa ipotesi è fornito indirettamente da Giandomenico Serra, topografo antichista della prima metà del Novecento. Egli afferma che quando in epoca romana fu individuato il fundus (latifondo), con una sua precisa forma ed identità, attribuitagli dal catasto romano e fu confermata, poi, ai fini fiscali dell’imposta fondiaria dal Digesto di Giustiniano, l’unità del fundus sarebbe rimasta intatta «in età barbarica» e per tutto il Medioevo, nonostante nuovi acquisti, vendite o cessioni di sue parti e nonostante la sua disgregazione in portiones o la parcellizzazione in petiae fra più eredi o nuovi possessori [4]. Gli appezzamenti, aggiunti o divisi, conservarono perciò il nome dell’antico fundus da cui erano stati ricavati e di cui continuarono a far parte per l’unità fiscale di un qualsiasi “fondo”.

Nel Medioevo, ogni petia di cui era composto il fundus fu designata con una particolare aggettivazione o con un nome, ma ciò non fu sufficiente a cancellare «l’unità catastale maggiore», e dunque il nome originario.

I fundi che avevano terminazioni in –(i)anus e –(i)acus (continua Serra) avevano quindi un’origine risalente al nomen gentilicium, in quanto indicanti la proprietà o una qualsiasi relazione in rapporto al proprietario, di un antico o del primo possessor fundi o ancora del caseggiato costruito sul medesimo. Ritengo che questa ipotesi di lavoro sia molto interessante e da approfondire in futuro.

Tuttavia esiste un’altra possibile etimologia, da non escludere a priori, sebbene possa apparire solo provocatoria: la matrice araba. Sappiamo che i Saraceni, al di là delle scorrerie e delle razzie nell’Italia meridionale, fondarono degli stanziamenti sul territorio lucano, come ad Abriola, Pietra Berciata (l’attuale Pietrapertosa), Castelsaraceno, Tursi e Tricarico [5]. Questa presenza potrebbe essersi fatta sentire anche a Montalbano, lasciandovi in eredità il nome: Al bana, in arabo, significa “luogo eccellente”.

L’antica origine di Montalbano, supposta da questi dati linguistici e da osservazioni topografiche, non era mai stata supportata dal dato certo e scientifico della ricerca archeologica, almeno fino a questo momento: ma occorre procedere con ordine.

Il Quilici riferisce che gli archivi della Soprintendenza di Taranto conservano la notizia di un ritrovamento archeologico avvenuto nel 1952 nei pressi del centro di Montalbano: si tratta di un oscìllum [6] fittile a disco, con testa raffigurata a rilievo.

Si deve ricordare, inoltre, di un recupero avvenuto negli anni Ottanta nei pressi della via “extramurale” (oggi scomparsa in seguito ad una frana) di una matrice fittile riferibile ad un busto di divinità femminile sormontata da un alto pòlos, della quale non si sa più nulla. Altre matrici del genere, ma più piccole, sembrano essere state trovate nel corso degli ultimi anni in più punti del centro storico e nei pressi dell’attuale campo sportivo comunale.

Diverso per tipologia è, invece, l’oggetto rinvenuto diversi decenni fa presso Palazzo Fiorentini ad opera di un ignaro cittadino, all’epoca molto giovane: si trattava (perché di essa oggi si sono perse completamente le tracce) di una moneta romana che aveva incisa, a detta dello “scopritore”, l’effige di Giano bifronte sul recto e una prua di nave sul verso. In effetti monete del genere sono state trovate numerose in tutto il territorio montalbanese e possono far pensare ad una frequentazione romana di età repubblicana.

Altre “voci” riferiscono di vasetti a vernice nera venuti fuori durante alcuni lavori in via Roma, all’esterno della “Porta del castello”, nel centro storico.

Di natura ufficiale, invece, è la scoperta avvenuta presso l’odierno cimitero, sul tratturo Metaponto, di due tombe di epoca romana [7].

Queste le notizie di ritrovamenti archeologici e di documentazioni ufficiali che, tuttavia, non danno ancora assoluta certezza su una presenza stabile in età antica sulla collina jonica.

Novità importanti sono però giunte in seguito ad alcuni lavori nel centro storico. Si tratta di lavori di rinforzo degli argini della collina franata negli anni Novanta, presso i giardini di Palazzo Fiorentini (“Lungocalanchi”), e che riguardano nello specifico la parte superiore della stessa rivolta a valle: su di essa è stata effettuata una sezione verticale superficiale al fine di potervi inserire delle travi metalliche da coprire successivamente con colate di cemento armato.

Durante i lavori è venuta alla luce la stratigrafia dell’altura, che mostrava una fascia scura e continua di humus a circa due metri dall’attuale piano di calpestio, indizio di frequentazione antica (dato il ritrovamento nello stesso di frammenti ceramici risalenti all’età antica), posizionata su strati sovrapposti di terreno vergine e conglomerati, sotto i quali giacevano molteplici livelli di arenarie.

Dallo strato di humus è venuto fuori del materiale archeologico greco-romano, che se vogliamo conferma per Montalbano quelli che finora erano stati solo degli indizi.

Alcuni cocci sono riferibili a ceramica grossolana, dalle pareti sottili e dal colore arancio chiaro, la cui datazione va probabilmente accostata a quella della ceramica a vernice nera trovata, in frammenti, nello stesso contesto: VI-III secolo a.C., secondo quella che è la sua cronologia attestata nel metapontino.

Tra i cocci rinvenuti, quello di un coperchio, da associare eventualmente a ceramica comune da cottura: un tipo con pomello a presa cilindrica dal profilo irregolare, con pareti oblique, morfologicamente simile ad alcuni esemplari provenienti dal metapontino e da Torre di Satriano, datati al IV-III sec. a.C. Il colore dell’argilla è ocra.

La stessa tipologia di ceramica da cottura è rappresentata dal frammento di un recipiente con coperchio, pertinente forse ad una lopades [8], con orlo breve e sottile, labbro smussato e piccolo battente interno obliquo. Colore dell’argilla arancio chiaro.

Unguentari

I pezzi più interessanti sono quattro unguentari – o balsamari – fittili. Gli unguentari sono vasi globulari o affusolati, di dimensioni e capacità particolarmente ridotte, solitamente usati per contenere profumi, unguenti, aromi, polveri cosmetiche e forse medicinali. Le origini dell’unguentario risalgono al IV secolo a.C., ma la sua evoluzione morfologica, dalle origini al I secolo a.C., presenta una varietà e complessità di soluzioni, tale da rendere difficile una classificazione assoluta.

Per il piccolo repertorio di soli quattro pezzi ho tenuto conto della classificazione dei balsamari ellenistici elaborata dalla Forti.

Purtroppo due balsamari sono frammentari, ma in un caso, in base alla distinzione formulata dalla Forti, si può parlare di tipo IV, caratterizzato da un corpo globulare o piriforme su alto stelo con piede a ventosa (o ad anello pieno) e lungo collo cilindrico terminante in un’imboccatura larga con orlo a sezione triangolare.

Degli altri due balsamari uno ha il corpo centrale più affusolato e dipinto a vernice nera e può essere considerato tipologicamente una via di mezzo tra la classe IV e la classe V della Forti - ritenuta una semplificazione del tipo IV e caratterizzata appunto da un affusolamento del corpo e da una progressiva tendenza a ridurre la lunghezza del gambo del piede - mentre l’altro presenta una superficie dall’impasto molto chiaro, dal corpo centrale globulare e con due anse verticali sulla spalla, da accostare alla classe IV.

La datazione del tipo IV è compresa tra la fine del IV secolo a.C. e la fine del III secolo a.C.; per il tipo V si va dall’ultimo quarto del III secolo a.C. al II secolo a.C.

Tra i reperti anche un rocchetto da telaio greco-romano.

Il rocchetto da telaio di età greco-romana.

Queste scoperte gettano nuova luce sulle origini di Montalbano: mai si era dimostrata una frequentazione greca sulla collina jonica.

Inoltre, la stessa altura potrebbe essere stata abitata in epoca romana fino all’età imperiale: le scoperte appena elencate insieme ai ritrovamenti di età romana - la moneta con l’immagine di Giano incisa, l’oscillum, la presenza delle due tombe presso il cimitero, sul tratturo Metaponto, indirizzano in tal senso.

Resta da stabilire la continuità di vita di Montalbano anche attraverso il tardo-impero e alto Medioevo. Sappiamo, per ora, che Montalbano è stata sicuramente abitata già in età bizantina.

Allo stato attuale delle ricerche si deve affermare che il centro jonico sia stato frequentato almeno a partire dal VI-IV secolo a.C. fino alla piena età imperiale per poi essere abbandonato in età tardo-imperiale (IV-V secolo d.C.) ed essere rioccupato dai bizantini.

L’esistenza di Montalbano per l’epoca greco-romana può chiarire inoltre il motivo per cui diverse strade antiche si incrocino nel paese o lo attraversino ancora oggi in direzione del mare o verso l’interno: si tratta di tratturi e di mulattiere che erano molto più frequentati di oggi.

Una delle strade più importanti di Montalbano fin dall’antichità (già dall’epoca greca) era sicuramente il cosiddetto A’ppiett u’ Castìedd (tradotto sommariamente “sentiero in ripida salita diretto al castello”), oggi abbandonato e degradato, non più frequentato da alcuni decenni. Questa strada collegava il centro alla vallata dell’Agri, fertilissima fin dall’Età del ferro, e alla strada che giungeva dal nord della regione e che costeggiava nell’ultimo tratto l’Agri fino ad Heràkleia: questa arteria in età romana partiva dalla via Hercùlia, nei pressi di Venùsia (Venosa, PZ) e proseguiva per Forèntum (Forenza, PZ), Acerùntia (Acerenza, PZ) e raggiungeva Caeliànum (Cirigliano?, MT) prima di arrivare ad Heràkleia. Nei pressi di Montalbano, tra Caelianum ed Heràkleia si collegava ad essa A’ppiett u’ Castìedd che saliva fin su per la collina.

Questa “strada in salita” di sicuro avrà mantenuto la sua continuità d’uso anche solo come via di transito per la transumanza anche nella tarda Antichità e, nel Medioevo, probabilmente fiancheggiata da fitti boschi, assunse un ruolo fondamentale, in quanto collegava direttamente la Val d’Agri al castello, quando i bizantini si insediarono a Montalbano creandovi un kastron [9].

Il centro jonico possiede un altro A’ppiett, vale a dire A’ppiett u’ Mulìn’ (sentiero in ripida salita diretto al Mulino), che dall’abitato conduceva (se vogliamo, ancora conduce, ma è in completo disuso) ad un mulino ad acqua sulla Valle dell’Agri, ma in questo caso non abbiamo alcuna notizia storica e archeologica che possa presupporre una sua esistenza nel Medioevo e nel mondo antico.

Altra via di comunicazione importante per l’economia della zona già all’epoca dei greci è quella che oggi è chiamata “tratturo Metaponto” (o tratturo per Pisticci) che collegava Pandosia (Anglona), Montalbano, la Madonna del Polegio (recentissima è la scoperta di una necropoli medievale su questo sito) e Pisticci, per giungere fino a Metaponto: evidente è la volontà di collegare i centri dell’immediato entroterra ionico alla costa attraverso un unico percorso interno. Questa strada mantenne una certa importanza nel Medioevo quando Anglona e Mons Albanus divennero due centri rilevanti.

Infine non bisogna dimenticare il percorso che metteva in comunicazione Montalbano all’abitato del Miglio Federici (d’età ellenistico-romana), alla Valle d’Ucio (la cosiddetta Valle dei Greci), presso la quale sorgevano ben tre insediamenti, e ad Andriace, sin dal periodo ellenistico (se non da epoche precedenti) e protrattosi nel tempo, senza soluzione di continuità fino ad oggi.

Dunque Montalbano era ben collegato in età antica sia verso il mare sia verso l’interno, mentre nel Medioevo è probabile che perse i collegamenti diretti verso la costa per via dei fitti boschi e della completa insalubrità di tutto il metapontino: l’unica strada in quella direzione sarebbe stata verso Andriace e San Basilio [10].

Secondo il Quilici, invece, Montalbano mantenne un accesso rivolto al mare che avrebbe condotto direttamente a Santa Maria de Scanzana (oggi Scanzano Jonico).

 

In conclusione, è possibile che Montalbano abbia avuto una discreta vitalità fin dalle sue origini (come una semplice fattoria o un insieme di fattorie oppure come centro abitato) e che probabilmente raggiunse il suo floruit nel Medioevo, quando assunse un ruolo strategico militare non irrilevante, tanto da divenire poi una domus con Federico II.


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·  P. Munzi, Laos: aspetti di vita quotidiana attraverso lo studio del materiale ceramico, in Nella terra degli Enotri, Atti del convegno di studi (Tortora 1998), Paestum 1999, pp. 91-98.

·  M. L. Nava- M. Osanna, Rituali per una dea lucana. Il santuario di Torre di Satriano, Soprintendenza Archeologica della Basilicata, Università di Basilicata 2001.

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·  G. Pianu, La necropoli meridionale di Eraclea. 1. Le tombe di secolo IV e III a.C., Roma 1990.

·  L. Quilici, Siris-Heraklea, in Forma Italia, Regio III, I, Roma 1967, p. 217.

·  G. Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, vol II, Roma, 1889.

·  P. Rondinelli, Montalbano e i suoi dintorni. Memorie storiche e topografiche, Taranto, 1913.

·  G. Serra, Contributo toponomastico alla descrizione delle vie Romane e Romee nel Canadese, 1927.

·  P. Troyli, Istoria generale del Reame di Napoli, tomo I, parte 2, Napoli 1747.

    


NOTE

1  GIOVANNI FLECHIA, I nomi locali del Napolitano derivati da gentilizi italici, in Atti dell’Accademia delle scienze di Torino. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, 10, Torino 1874, pp. 79-134.

2  Questo gentilizio avrebbe una probabile derivazione dal nomen Albius, secondo la normativa dell’onomastica romana (cfr. V. DI STEFANO MANZELLA, Antichità romane. Dispense, Viterbo 1999, pp. 28-43).

3  CIL (Corpus Inscriptionum  Latinarum), X, Berlin 1885.

4  GIANDOMENICO SERRA, Contributo toponomastico alla descrizione delle vie Romane e Romee nel Canadese, 1927, pp. 48-276.

5  RAFFAELE LICINIO, Castelli medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo d’Angiò, Bari 1994, p. 21.

6  L’oscillum è un oggetto discoidale o a forma di mezzaluna, decorato, che può essere in cera, in terracotta, in marmo o in metallo e veniva appeso alle pareti dei templi o sugli alberi sacri per motivi religiosi oppure tra le colonne, sulle finestre o tra gli stipiti di una porta di edifici domestici come apparato decorativo.

7  Ringrazio il dott. A. De Siena, direttore del museo nazionale di Metaponto, per avermi gentilmente fornito questa informazione.

8  Le lopades sono recipienti di medie dimensioni, più o meno profondi, con labbro dotato all’interno di un battente per consentire l’appoggio del coperchio. Si tratta di suppellettile particolarmente adatta alla bollitura dei cibi, ma soprattutto alla cottura in umido e alla realizzazione di pietanze fritte. Datazione: età ellenistica.

9  L. QUILICI, Siris-Heraklea, in Forma Italia, Regio III, I, Roma 1967, p. 232.

10  F. DE LUCA – R. MASTRIANI, Dizionario corografico del Reame di Napoli, Montalbano, Milano 1852.

   

      

©2005 Domenico Asprella.

   


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