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di Giuseppe Resta

La cuneddhra Vorelle

   

La piazza del SS. Crocifisso di Galatone si presenta al visitatore come una delle più pregevoli del Salento: ampia, quadra e sempre ben illuminata dal sole, costituisce una presenza urbana connotante caratterizzata da una serie di emergenze architettoniche di tutto rispetto. Così come deve essere una vera piazza Italiana: potere temporale e potere spirituale che si fronteggiano con reciproca alterigia; forma e funzione alta e collettiva in uno spazio destinato più alla vita della civitas che alla struttura dell’urbs.

Da una parte spicca magnifico il bel Santuario dalle eleganti forme con il decoro trionfante del maturo Barocco Leccese; poi i due edifici civili di origine novecentesca che inquadrano via Regina Elena. Di seguito la tetragona Torre Maschio Angioina, caratterizzata dall’incasso del ponte levatoio a unico bolzone identico a quello della torre gemella inserita all’interno del Castello di Copertino. A fianco l’austero e severo portone cinquecentesco con lo stemma degli Squarciafico, che segna il passaggio storico tra l’uso e la funzione del complesso da quella di castello a quella di palazzo feudale e il complesso su tre piani del Palazzo Marchesale con le superstiti sontuose finestre dell’impianto barocco pinelliano riccamente e finemente decorate, quasi cesellate. All’angolo la fastosa parasta angolare con lo stemma coronato che racconta quasi duecento anni di dinastia feudale. Chiuse il lato nord est il Palazzo sede del Comune, con portale bugnato tardo cinquecentesco che spicca così incastonato negli intonaci bianchi che definiscono perfettamente le snelle e sobrie forme del riadattamento e completamento dell’edificio preesistente progettato con misura sommessa e sensibilità evoluta, nel rispetto dell’intorno soverchiante, dal neretino Quintino Tarantino nel 1887. Chiude la piazza il retro della chiesa di S. Sebastiano e Rocco.

è proprio qui che abbiamo un tesoro sconosciuto ai più.

La chiesa è conosciuta popolarmente, ma impropriamente, come chiesa di S. Antonio, solo perché sede della confraternita e di una statua in cartapesta dedicate al Santo di Padova. In effetti la dedicazione propria è a san Sebastiano e Rocco. Molti dei cittadini di Galatone lo ignorano. Così come ignorano che proprio sulla piazza, in angolo con via Convento, esiste e resiste, seppure martoriato dall’atmosfera e dall’incuria un affresco gigante di S. Rocco (quasi sei metri di altezza!), che, ormai spettro di quello che fu, svanisce ogni giorno di più obliato dalla cecità negligente dei suoi ingrati protetti. Un preziosissimo tesoro storico, unico superstite, nel suo genere, in tutto il Salento.

L’affresco riproduce l’immagine canonica di S. Rocco, con le vesti tirate su – si nota la panneggiatura – così da mostrare il pestifero bubbone sulla coscia. Si legge bene ancora la grande aureola che contorna il viso, ormai illeggibile nelle sembianze, e un braccio piegato.

Perché questo grandissimo affresco all’esterno della chiesa e proprio sulla facciata posteriore?

Presto detto.

Ma prima scopriamo chi era san Rocco.

San Rocco de la Croix nacque a Montpellier, a sud della attuale Francia, in un anno approssimativamente tra il 1348 ed il 1350 e morì a Voghera nella notte tra il 15 e il 16 agosto di un anno indeterminato tra il 1376 ed il 1379. Tutti concordano che sia nato a Montpellier da famiglia agiata, forse da Giovanni e Libera Delacroix, che erano consoli della città. Avendo perso i genitori in giovane età, dopo alcuni anni di studi di medicina nella famosa università della città francese, egli distribuì i suoi averi ai poveri e s'incamminò in pellegrinaggio verso Roma.

Arrivato a Roma tra il 1367 ed il 1368, vi rimase tre anni durante le epidemie di peste. Curò, fino ad ottenerne la guarigione, un cardinale che per riconoscenza lo presentò al papa.

Anche durante il viaggio di ritorno da Roma a Montpellier, Rocco trovò a Piacenza un'epidemia di peste. Si fermò ad assistere gli ammalati dell’Ospedale di Santa Maria di Betlemme ma contrasse il contagio. Per non diffondere l’epidemia ma anche per tener fede al voto di anonimato che aveva fatto come pellegrino, si rifugiò in una grotta sulla via Francigena.

La tradizione narra di un cane (che tanti artisti raffigureranno al fianco del santo così da farlo divenire ormai attribuzione iconografica univoca) che durante la degenza di Rocco provvedeva quotidianamente a portargli un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone Gottardo Pallastrelli, nobile signore del castello di Sarmato. Gottardo, incuriosito dall’atteggiamento del cane, lo seguì e scoperse Rocco che fu subito soccorso e curato. San Rocco è stato venerato dalla Chiesa cattolica come protettore dei pellegrini, degli appestati e più in generale dei contagiati, dei farmacisti, dei becchini. I recenti aggiornamenti liturgici gli riconoscono pure il patronato contro ogni malattia contagiose, AIDS compresa. È patrono pure degli invalidi, dei prigionieri e degli emarginati, per aver provato le stesse situazioni quand'era in vita.

Nelle campagne è invocato contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, visto l'abitudine che aveva di invocare la protezione di Dio sui luoghi che visitava.

Patrono di numerose città e paesi, è il santo che ha, a livello mondiale, dedicati il maggior numero di luoghi di culto. E Galatone è in questa numerosissima compagnia. E si capisce perché nel 1500 gli si volesse e dovesse dedicare una chiesa su un percorso trafficato proprio da pellegrini da e per la Terra Santa e in una terra dove le pestilenze avevano già fatto strage.

La chiesa fu costruita per la prima volta da Cosimo Granai Castriota nell’anno 1500, proprio come recita l’iscrizione sormontata dalla statua di S. Sebastiano sulla facciata principale di Piazza Costadura, e donata all’ordine dei Frati Predicatori noti come Domenicani. Del tempio primigenio ci rimangono i paramenti murari su via Convento, caratterizzati da tre monofore, ormai chiuse dalle strutture interne settecentesche, e da alcune modanature che contornano e segnano la precedente posta laterale –oggi sostituita da un portale baroccheggiante- e la parte posteriore sulla Piazza. E qui è presente l’antico affresco. Queste finiture denunciano inequivocabilmente l’origine Catalano Durazzesca e ci descrivono perfettamente l’andamento e l’estensione del primo impianto.

La chiesa originale era di uguale lunghezza di quella odierna, ma più stretta, ed aveva il tetto a doppia falda ed un campanile a vela. Lo possiamo dedurre anche da alcune viste di Galatone dell’epoca raffigurate nelle tele conservate nelle chiese di Galatone dell’Assunta e del Crocifisso. Sappiamo che nel 1706 fu ordinata la ricostruzione perché la chiesa era diruta. Il tempio, ai tempi dell’edificazione, si trovava certamente fuori dalla cinta muraria della prima metà del ‘300 che racchiudeva il nucleo medievale di Galatone. Pertanto, come in moltissimi casi, chiesa e convento dei Domenicani, erano appena fuori il circuito murario. Solo nella fine della prima metà del cinquecento si edificarono le mura aragonesi che cinsero ed inglobarono gli edifici e le strutture agricole che erano cresciute fuori dalla protezione delle mura medievali e solo allora chiesa e convento furono inglobate all’interno del paese, al centro del Centro Storico odierno. Da ciò si può capire come dalla fondazione fino alla metà del Cinquecento, per circa cinquanta anni, il retro della chiesa di S. Sebastiano era il primo edificio che scorgevano il viaggiatore ed il pellegrino raggiungendo Galatone, provenendo dal percorso che partiva da Roca verso il porticciolo di S. Maria – S. Caterina o verso la Sferracavalli, antica Traiana Sallentina Occidentale, che collegava Leuca con Taranto. Chiaramente dobbiamo pensare alla vecchia strada di Galatina, quella che passa da Tabelle, scavalca l’Asso, passa il Doganieri, Tabelluccio, i Martiri e entra a Galatone dai Giammattei e non alla odierna provinciale.

Il gigantesco S. Rocco, sicuramente visibile da grande distanza, assicurava che il borgo era libero dalla temuta peste perché i suoi abitanti si erano affidati al santo protettore e che i pellegrini erano accolti e protetti. Una forma di segnaletica sanitaria di garanzia, non rara in quei tempi in cui la toponomastica e gli Itineraria si basavano proprio sulla agiografia e nella quale epoca i dipinti delle icone lungo le strade, oltre che Bibbia Pauperum, costituivano indicazioni di servizi da tutti decifrabili e segnavano percorsi.

è chiaro che, una volta edificata la nuova cinta muraria nella prima metà del ‘500, il S. Rocco non potrà più essere visto da lontano (e quindi questo lo data inequivocabilmente in quei quasi cinquanta anni), ma solo dal viaggiatore che avesse già varcato la Porta del Castello posta, a quel tempo, quasi il linea perpendicolare all’attuale ingresso del Palazzo. Ma questo, se è andato a sminuire il valore semantico dell’affresco, non ha certo sminuito quello fideistico verso S. Rocco.

Tant’è che la chiesa di S. Sebastiano, riedificata nel 1712 e consacrata nel 1719 dal vescovo Antonio Sanfelice, dedica una statua al santo di Montpellier a destra dell’altare, stessa posizione riservata a sinistra a quella di S. Sebastiano. Da notare che entrambi i santi sono protettori dalla peste.

Inoltre la pietà popolare, incanalata da don Gino Leante, negli anni sessanta del secolo scorso ha dotato la chiesa di un’altra statua in cartapesta policroma del santo Rocco conservata in una nicchia ai lati dell’ingresso principale.

Entrambe le statue raffigurano san Rocco nell’abito proprio del pellegrino: stivali a “zampa d’orso”, bordone, cappellaccio a larghe falde, mantello e mantellina con l’insegne del pellegrino costituite da due conchiglie di capasanta. Anche se le capesante, usate comunque dal pellegrino per bere, dovrebbero contraddistinguere più il pellegrino verso San Giacomo di Compostella che non quello Romeo, qual era san Rocco.

L’affresco sopravvissuto necessiterebbe, innanzitutto, di un attento lavoro di pulitura e restauro e consolidamento. Sebbene l’intonaco di fondo nella parte superiore è ancora in stato accettabile, quello della parte inferiore è definitivamente perso a causa dell’umidità e delle ingiurie degli uomini (compreso la tracciatura di alcuni spazi per pubbliche affissioni!). Inoltre sull’affresco ci sono altre incrostazioni di calcina che impediscono la chiara visione. Nonostante queste mancanze e le lacune l’imponente figura è intuibile, specie in giornate umide quando i colori si vivificano. L’importanza storica e simbolica è oltretutto superiore a qualsiasi pregio artistico, anche se dovrebbe essere in assoluto una delle più antiche raffigurazione del santo sopravvissute all’esterno. Tra l’altro questo tipo di pitture giganti nel Salento, anche se è lecito immaginare che ci siano state, sono del tutto scomparse. Bisogna arrivare in altre zone di frontiera per trovarne di eguali, come quelle della zona alpina, di qua e di là dai passi, nel Tirolo.

Dovrebbe essere cura ed orgoglio dei Galatonesi conoscere e conservare tanta traccia di un passato così lontano e così importante perché testimone del ruolo che la nostra città aveva al tempo dei pellegrinaggi.

Dopotutto forse, chi lo sa, è proprio merito di san Rocco se Galatone non è stata cancellata dalle pestilenze!

E ora dovremo stare fermi ad aspettare che si cancelli del tutto san Rocco?

Ma c’è peggior peste distruttiva dell’ ignoranza e dell’insensibilità?

    

   

©2008 Giuseppe Resta

    


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