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di FELICE MORETTI

Seconda parte

    

Funzione e significato dell’immaginario animale

La metodologia di analisi della materia animale fondata su chiavi di lettura e di interpretazione, definite una volta per tutte, assume connotazioni deformanti e riduttive alla conoscenza della mentalità medievale.

I1 ricorso costante e permanente alla metafora, all'allegoria alla similitudine, percepito a più livelli, sfuma, per così dire, la realtà fisica dell'animale, visto solo come segno. Questa immagine del mondo, ereditata dalle opere di autori altomedievali e dai Padri della Chiesa, offre pochi spazi ad una analisi metodologica nuova e a conoscenze scientifiche che cominciano ad affermarsi solo a partire dal XII secolo, e solo in certi ambienti. Prima di allora, la natura tutta intera, la fauna e i rapporti tra animale e uomo sono soggetti all’Auctoritas, che fa dell’animale un semplice intermediario divino o una forza al servizio del diavolo. Ad esso è negata una esistenza autonoma in un mondo antropocentrico nel quale l’animale esiste solo come segno. Il mondo clericale ha bisogno dell'animale per l'attuazione della strategia della persuasione; esso è una chiave di lettura essenziale.

Il bestiario cristiano e quello pagano sono pertanto accolti e raccolti nelle opere e nelle enciclopedie al servizio della Chiesa che, attraverso una sapiente opera di innesto, provvederà alla cristianizzazione dei simboli animali della letteratura pagana, applicandoli ai principali dogmi cristiani. Così, anche il tema della fenice che rinasce dalle proprie ceneri, e largamente diffuso in età antica, si integra senza difficoltà. Essa fa parte di un fondo comune al quale il predicatore attinge per servire da prova alla fede [42], come è il caso del pellicano, che soddisfa anche il bisogno del meraviglioso dell'uomo medievale.

Riflesso di una realtà trascendentale, la bestia non si esibisce, ma si piega agli imperativi morali e teologici del predicatore creando un contatto immediato con l'uomo [43]. Quello che conta  è ciò che la bestia significa, non la sua immagine spesso assai povera e poco dettagliata.

Luca da Bitonto, che privilegia l'allegoria e la similitudine, non sfoggia la sua erudizione nella descrizione particolareggiata di questo o quell'animale; né si sofferma a descriverne l’anatomia, ma solo le abitudini e i comportamenti che hanno la funzione di insegnare all'uomo ciò che deve imitare e ciò che deve evitare. Gionata, ad esempio, «significa dono della colomba, cioè il beato Stefano che, per dono dello Spirito Santo meritò di essere insignito di un triplice privilegio» [44]. «La gallina che riunisce sotto le sue ali i suoi pulcini significa Gerusalemme» [45]. «Come il piccolo della pernice ritorna da sua madre quando sente la sua voce, così noi dobbiamo ritornare convertiti a Dio. La natura di questo uccello consiste nel rubare le uova all'altro e di covarle. Ma allorquando i piccoli si allontanano, come per istinto naturale, abbandonano la nutrice, non appena sentono la voce di chi li ha generati e seguono la genitrice. Similmente il diavolo scatena la sua ira contro le anime di coloro che sono fedeli a Dio. Alla voce del Creatore ritorna chi gli è fedele. Come il falco ritorna sul braccio del suo signore che lo ricompensa con il cibo, cioè con un pezzo di carne, così il Signore ci chiama con la sua carne insanguinata e immolata per noi sulla Croce» [46].

La veridicità o meno delle abitudini animali descritte ha poca importanza nell'economia del sermone; quello che importa  è il suo adattamento ad un significato spirituale.

Il ricorso al mondo animale di Luca da Bitonto segue i  canovacci di autori antichi di bestiari. Il predicatore bitontino non si pone problemi di copyright, così come non se li ponevano altri predicatori; né gli interessa l’originalità. Ciò a cui mira è la verità. Né si preoccupa di riprendere dai testi da lui letti e a sua disposizione quelli che ritiene utile esprimere ed evidenziare senza la necessità di segnalare la fonte.

L’allegoria della talpa, ad esempio, è ampiamente nota nella letteratura altomedievale ed è adattata da Luca da Bitonto nei suoi sermoni al tema del giorno, secondo il procedimento della dilatatio, senza porsi il problema di fare riferimento ad altri autori che ne hanno parlato prima di lui.

La talpa scava gallerie ed innalza cumuli di terra per vivere comodamente con i suoi piccoli fino al giorno in cui una fatale inondazione trascinerà via ogni cosa. Allo stesso modo gli avari ammassano le loro ricchezze; ma quando l’onda delle lacrime dei poveri giungerà a Dio, l’avaro sarà colpito dalla vendetta divina [47].

Se chiara appare l'analogia fra la talpa e 1'avaro, utilissima per il predicatore ad evidenziare il peccato capitale [48] tanto da poter parlare di allegoria "statica", altrettanto chiare appaiono altre allegorie definite "dinamiche" riferite ad altri animali, come ad esempio lo scorpione. «Questo è piacevole a vedersi, ma se poi punge di nascosto con la coda, la sua puntura è come la lussuria, che dapprima sembra dolce ma poi si tramuta in amaro» [49].

Al regno animale, in cui si estrinseca il rapporto fra l'uomo e l'animale, fra il peccato e la virtù,  non viene riconosciuta una propria autonomia. Esso è stato creato per l'uomo e in funzione dell'uomo, e i suoi comportamenti ed abitudini sono lo specchio della natura umana. Nella concezione cristiana, l'animale è stato creato "per parlare" e non per condurre una esistenza indipendente dal concerto del Creato. La sua presenza, i suoi movimenti comportano un linguaggio che segna per i chierici e i predicatori la via maestra verso la dannazione o le beatitudini eterne .Sta all'uomo saper scegliere. Considerato come un semplice significante di una verità che lo trascende, uno strumento di Dio al servizio dei suoi ministri sulla terra, l'animale non appare come forma definitiva così come potrebbe essere fissato da osservazioni zoologiche; esso, invece, si presta a tutte le modificazioni possibili, ad ogni metamorfosi, pronto a ricevere le caratteristiche più contraddittorie atte a favorire la trasmissione del messaggio divino secondo i bisogni didattici degli uomini di Chiesa, per esprimere attraverso l’allegoria la lotta fra il Bene e il Male, delle virtù contro i vizi [50].

Si è già visto come certi animali ricevano più degli altri un trattamento simbolico più immediato per la semplice ragione di essere domestici e per i servizi resi all'uomo (per esempio il cavallo, il porco, il cane, la gallina, 1'asino, il gatto, l'agnello, la colomba, il vitello etc.); così come altre bestie, per la loro natura selvaggia, assumono una statura simbolica di tutto rispetto. In effetti, C. Levi-Strauss [51] ha dimostrato che non vi è un legame evi­dente fra l'interesse simbolico di un animale e la sua importanza nella vita materiale degli uomini. Al contrario, più un animale si distingue per le sue forme mostruose, per le sue inusuali e spesso sozze abitudini, violenza e aggressività, tanto più assume un significato allegorico chiaro e preciso. Basti pensare al lupo o all'orso, al corvo o alla scimmia. Questa, pur godendo di una reputazione fortemente negativa in tutti i bestiari medievali, in Luca da Bitonto assume un ruolo simbolico positivo. Se il Physiologus, seguito da tutti i successivi bestiari dice che «la scimmia ha la figura del diavolo», e se il bestiario di Gervaise, agli inizi del secolo XIII, dice che la Singe est de laide figure de deable a forme et figure plus ressemble diable que bete [52], in un sermone di Luca da Bitonto, la scimmia significa 1'imitazione e la conformazione a tutto ciò che è buono. E, a prova, chiama in causa l'apostolo Paolo che, nella Lettera ai Corinzi (XI) scrive: «Siate miei imitatori, così come io sono di Cristo» [53].

Come già detto precedentemente, gran parte degli animali hanno una ambiguità simbolica; le corrispondenze non sempre sono univoche. Lo stesso animale può rappresentare vizi diversi, moltiplicando all’infinito il gioco di simboli. Gli stessi sermoni di Luca da Bitonto ci offrono una gamma piuttosto vasta di oscillazioni simboliche, talvolta rilevata da una certa originalità non cercata, che si manifesta nell'inclinazione naturale alla novitas.

Gli uccelli, ad esempio, nella considerazione generale della specie, assumono una simbologia negativa; tentazioni del demonio [54] o demonii stessi [55]; ma nel passaggio dalla specie alle categorie, si assiste ad una diversificazione simbolica talvolta determinata dall'exemplum trattato. Ne offre esempio la predica di Francesco d'Assisi alle rondini, ripresa dal francescano pugliese. All'ordine di Francesco che predicava la parola di Dio, le rondini zittirono [56]; così come zittirono le rane all'ordine del sacerdote, per rispetto alle parole delle Sacre Scritture che egli esponeva al popolo dei fedeli [57]

Anche l'elefante che il Medioevo non ha mai cessato di vedere come modello di castità, subisce in Luca da Bitonto una deviazione allegorica nella imprecisa rappresentazione anatomica di richiamo isidoriano, che denota ancora, nella prima metà del XIII secolo, una deficienza di studi zoologici a livello scientifico. «L’elefante è un animale melanconico e senza giunture alle gambe; inoltre è il più grande degli animali ed è difficile da curare. è il simbolo dell'avarizia incorreggibile che non si attenua nemmeno nella vecchiaia. Anzi, si accresce» [58]. Ma la negatività del simbolo si trasforma in positività quando il riferimento riguarda particolari anatomici dello stesso elefante, come i denti, che significano castità e purezza del linguaggio: Dentes elephantorum signant verba casta et munda [59].

L'avarizia e il suo travestimento sotto le fattezze della parsimonia è particolarmente pericolosa in ambiente francescano e assume nei sermoni di Luca da Bitonto un posto privilegiato. Costante è infatti il suo riferimento alla simbologia animale e gli exempla evidenziano questo peccato capitale. Attraverso la predicazione essi individuano i disvalori della società del secolo XIII: una società in continua fibrillazione politica, sociale e soprattutto economica in cui prolifera l'usura e, con essa l'avarizia strettamente imparentata. è questo il peccato capitale più ricorrente nei sermoni dei predicatori mendicanti, da Jacques de Vitry, ad Etienne de Bourbon, ad Antonio da Padova, a Luca da Bitonto, Gilbert de Tournai, Bertoldo da Ratisbona e tanti altri del panorama italiano ed europeo [60] del XIII secolo, ma anche di quelli dei due secoli successivi: da Michele Carcano a Roberto Caracciolo ad Antonio da Bitonto [61].

    

I peccati capitali  

Se nel XIII secolo l'avarizia assume il primato dei vizi capitali, interessante sarebbe seguire il percorso a ritroso sul ruolo primario e sulla relativa importanza che nei secoli precedenti hanno avuto gli altri vizi. Fra IV .e V secolo Evagrio Pontico, uno dei Padri fondatori del settenario dei vizi capitali, aveva composto una lista di otto vizi: gola, luxuria, avarizia, tristitia, ira, accedia, vana gloria et superbia. Con Gregorio Magno, nel VI secolo, la superbia occupa il primo posto della lista e l'ultimo è occupato dalla lussuria, preceduta dalla gola [62]. In questa lista graduata, i vizi carnali erano meno detestabili di quelli spirituali. Questo ordine, salvo spostamenti di lieve importanza fu, per così dire, canonizzato nel XII secolo per cui al primo posto della lista risultò la superbia seguita dalla tristitia, gula, avarizia, luxuria, invidia, ira.

Se la superbia, e quindi l'orgoglio, risultò essere il vizio più importante e perciò madre di tutti gli altri [63], nel Decretorum  liber di Burcardo di Worms è la lussuria che domina.

In Luca da Bitonto questo peccato capitale occupa un posto di tutto rilievo, ma con una novità: la lista è costituita non più da sette ma da otto vizi. Al primo posto della classifica compare infatti l’ignorancia, seguita dalla superbia, invidia, ira, accidia, avaricia, gula, luxuria [64]. Ma sono l’avarizia e la lussuria a godere nei suoi sermoni di un posto di rilievo come si evince dal ricorso all’exemplum, all’allegoria e alla simbologia animale nei suoi sermoni, laddove, tra le proprietà animali e l'allegoria il collegamento si riduce ad avverbi o a verbi: sic, ergo, quia, enim, unde, et quapropter, et ideo; oppure signat, significat, signatur, notatur, ostenditur, defigit. Il leone, ad esempio, nel suo ruolo al servizio del male è simbolo della concupiscenza della carne, da cui la lussuria, la gola, l'ignavia; della concupiscenza degli occhi, da cui la lussuria, l'avarizia e l'invidia; della concupi­scenza dell'orgoglio della vita, da cui l'orgoglio e la collera. «Il leone - scrive Luca da Bitonto - per l'ardore dei suoi sensi, non solo è un animale voracissimo, ma anche libidinosissimo. Perciò è simbolo della lussuria », così come lo è un piccolo serpente chiamato cecula perchè privo di organi visivi [65]. Esso è un animale oltremodo collerico [66]. Sul fronte opposto, vale a dire nel catalogo delle virtù, è la charitas ad essere privilegiata da Luca da Bitonto, seguita dalla justicia.

Il leone e il lupo, e poi a seguire 1'aquila, il pellicano e il serpente sono gli animali che più frequentemente ricorrono nei sermoni di Luca da Bitonto per il loro spiccato significato simbolico e anche in virtù di una tradizione letteraria che affonda le radici in età antica e tardoantica [67]. Altri animali, invece, in particolare certe bestie selvagge che scorrazzavano ancora nelle foreste dell'occidente medievale del XIII secolo, fanno la loro presenza in maniera episodica, come, ad esempio, il cervo o 1'orso, la volpe o la lepre, associata, quest’ultima, al peccato di avarizia. «Come l'avaro nasconde le sue frodi e i suoi furti, difendendo il mal profitto ottenuto con 1'usura, come colui che pianta l’orecchio a terra e dissimula lo sguardo, non ascolterà le numerose menzogne e gli spergiuri, nè vede le azioni fraudolente che si compiono sotto gli occhi, allo stesso modo si comporta il leprotto quando schiaccia la sua testa sul terreno e fa finta di non vedere» [68]. 

Particolare interesse assume invece in Luca da Bitonto il simbolismo del gatto anche in considerazione del fatto che la simbolica medievale muove i suoi passi su un terreno inesplorato o quasi, dal momento che il Medioevo si sforza di trovare una dimensione morale dell'animale, prima non goduta.

Fu grazie ad Isidoro di Siviglia che il gatto fece il suo ingresso nel bestiario medievale alla fine del XII secolo. «I1 gatto è così chiamato perché è nemico dei topi. Il popolo lo chiama “gatto” perché lo associa alla parola “cattura”. Altri invece dicono che è così chiamato perché discerne (catat). In effetti, esso ha una vista così penetrante che trionfa sulle tenebre notturne grazie alla luminosità dei suoi occhi. Per cui “catus”, cioé “ingegnoso” viene dal greco kaiesthai» [69].

Quando il gatto entra a far parte del bestiario medievale, è associato al topo anche nelle raffigurazioni in cui il gioco del gatto e del topo viene utilizzato in funzione didattica, ed è connotato come gioco perverso, messo in relazione con il diavolo che gioca con l'anima umana.

Questo gioco assume poi forma di combattimento nel momento decisivo della morte, allorquando l'anima, nell'abbandonare il corpo, vacilla fra Dio e il diavolo. è quello il momento in cui si decide il suo destino nell’eternità. è quello il momento in cui il peccatore crede di essere assalito dai gatti, come si legge in una serie di storie esemplari [70]. La perversione di questo gioco, che si trasforma in lotta, costituisce originalità nelle rappresentazioni esemplari della predicazione del XIII secolo. è in Cesario di Heisterbach [71] che la mora­lizzazione del tema conosce un considerevole successo. Ma l’analisi del sermone XXIV di Luca da Bitonto dimostra la fruizione originale della metafora moralizzante sul gioco fra gatto e topo, anche da parte del predicatore bitontino. «Come il diavolo si prende gioco di alcune anime, come fa il gatto con il topo che, lasciato fuggire più volte, viene poi catturato e ucciso, allo stesso modo si comporta il diavolo quando concede che alcune anime per un certo tempo si allontanino da lui. Ma molte anime si prendono gioco del diavolo, allo stesso modo con cui il gatto cattura un uccello per giocarvi, così come è solito fare con il topo; ma l'uccello non si lascia catturare e fugge. Alla stessa maniera l'anima saggia inganna il diavolo non ritornando a lui. Per cui Proverbi, (VI): Sono sfuggiti come la gazzella dalla mano del cacciatore e come l'uccello dall'insidia dell’uccellatore» [72].

Questa allegoria, che racchiude in sé connotazioni ludiche, costituirà il momento embrionale dell'exemplum relativo al gatto, e si diversificherà in una gamma di peccati che la Chiesa adatterà alle varie categorie sociali costituenti l'uditorio dei predicatori, ivi compresi i preti malvagi che derubano il popolo anzichè proteggerlo [73].

Se Luca da Bitonto non avesse fatto richiamo al concetto morale del gioco fra la vita e la morte, fra il gatto e il topo, ci saremmo trovati dinanzi ad immagini dove incanta e affascina il ruolo della Natura che muove le fila dell'istinto animale, non soggetto ad alcun processo morale. La sua autonomia sarebbe stata giustificata e legittimata proprio in nome della Natura. è evidente che il gatto, sia negli exempla, sia negli accostamenti ai concetti morali riferiti alla sua natura, costituisce uno degli esempi più vistosi della sua refrattarietà ad ogni tentativo di addomesticazione da parte dell'uomo.

Questa refrattarietà non fu messa nella dovuta evidenza se non nella seconda metà del secolo XIII, quando la natura selvaggia del gatto fu messa in relazione con la donna e i suoi comportamenti, considerati fuori dalle norme alimentari e sessuali: sregolatezze tipiche dei gatti. Lussuria e vanità furono i peccati che associarono la donna al gatto.

Questa associazione è testimoniata dalle rappresentazioni della pittura italiana alla fine del Medioevo e nel Rinascimento dove il gatto e la donna occupano lo stesso spazio della casa e allorquando l’animale, rappresentato accanto alla Vergine, diventerà un attributo mariano in un capovolgimento di simboli e allegorie [74].

L'istinto naturale del gatto costituirà negli exempla dei predicatori il trionfo del male e del diavolo sul peccatore, vulnerabile come il topo. Ma, nonostante questa sua pregnanza simbolica, anche il gatto si defila dal bestiario di Satana e si rifugia in quello di Cristo, quando diventa suo portavoce e difensore non più della natura, ma della dottrina e ortodossia della Chiesa contro gli eretici e le loro bestemmie. Questo insolito ruolo del gatto, che assume una singolare dimensione morale, lo si coglie in un racconto di Luca da Tuy (metà del XIII secolo). «A Lodi, un gatto domestico si scagliò contro un eretico che, in punto di morte, rifiutò l'eucarestia e bestemmiò il Sacramento» [75].

   

Il mondo dei pesci

Nei sermoni di Luca da Bitonto, l'allegoria animale, riferita al mondo terrestre, occupa un posto di primaria importanza, seguito da quello degli uccelli. Poco spazio trovano invece i pesci genericamente definiti e privi di elementi particolari atti a caratterizzarli se non nella ambiguità simbolica significativa già precisata da Ambrogio per il quale sunt ergo boni et mali pisces, modelli per l'uomo di vizi e di virtù [76].

Anche nella trasposizione iconografica della vocatio animalium con Adamo che domina la scena, come quella rappresentata nel Tappeto della Creazione di Gerona, i pesci non sono facilmente contraddistinti nella loro identità. L'incompiuto sistema di conoscenze del regno dei pesci stimolò solo più tardi, agli inizi del secolo XIII, un interesse nuovo all'esplorazione. Fino ad allora, fu la visione teologica a prevalere su quella scientifica. Né la distinzione fra pesci di acqua salata e pesci di acqua dolce interessa Luca da Bitonto se non per sottolineare, alla luce dell'autorità biblica, l'associazione dei primi alla paura della dannazione eterna e quindi al riscatto dei peccati attraverso il sacramento della penitenza; degli altri, alla speranza del regno eterno: «I due pesci significano la paura e la speranza. Il pesce della paura viene pescato in acqua salata, cioè  nelle lacrime del pentimento, generate dal timore dell’incendio eterno … Il pesce della speranza viene pescato in acqua dolce, cioè nelle lacrime della pietà, generate dall’amore e dal desiderio del Regno. Questi sono i pesci che il Signore promette a coloro che si pentono dei loro peccati. Il primo pesce allontana la vanagloria, perchè l’uomo non osi essere superbo, l’altro pesce elimina la disperazione perchè l’uomo non viva senza speranza » [77]. «I pesci, inoltre, stanno a significare le consolazioni dello spirito che il Signore concede in questa vita a tutti coloro che aspirano ai beni eterni, ma anche le pene che il Signore concede in questa vita a coloro che aspirano a quegli stessi beni. I pesci infatti vivono nascosti nelle acque che celano le tribolazioni» [78].

Il francescano pugliese richiama spesso il mondo dei pesci anche con similitudini e allegorie originali che evidenziano le attività della vita di mare e gli strumenti per esercitarle. «Le reti dei pescatori sono le parole dei predicatori di fede e di moralità indiscussa, riunite dalle autorità vetero e neotestamentarie; sono chiamate reti perché trattengono; perchè quelli che le reti pescano non muoiano, ma vengano invece tratti al celeste convivio. Gli uomini sono come i pesci del mare pescati dalle reti» [79].

A differenza di Jacques de Vitry che attribuisce al pesce un giudizio di valore che lo classifica come bonus piscis o malus piscis nella distinzione ed individuazione delle categorie, in Luca da Bitonto il pesce, nella genericità della specie, è soggetto ad una fluttuante simbologia a secondo del thema, cioè del versetto biblico da cui si snoda poi il sermone. Il thema, sottoposto ad una serie di divisioni e ulteriori suddivisioni, con un uso incrociato dei diversi sensi della Scrittura e delle divisioni scolastiche, fa crescere l'albero della predica, con diverse ramificazioni. Per cui, non è raro che un predicatore colto e raffinato come Luca da Bitonto attribuisca valori simbolici, spesso in antitesi, ad uno stesso soggetto animale o ad una specie come nel caso dei pesci. Prendendo infatti come riferimento autorevole un passo del salmo di S. Agostino, Luca dà dei pesci un significato negativo, associandoli al peccato di avarizia: «I pesci nuotano nelle profondità del mare, così come gli uomini avidi, vanno alla ricerca degli insaziabili beni temporali negli abissi del secolo» [80]

Ma la simbologia acquista nuovi significati quando Luca da Bitonto fa riferimento alle dimensioni dei pesci: «I pesci piccoli stanno a significare gli esempi dei santi, e sono piccoli proprio per la loro umiltà; sono pochi per la loro rarità; gli atti dei Santi sono le carni dei pesci; le loro pinne sono quelle della contemplazione; le loro squame sono le aspre pene. Si nutrono in acque amare e procellose, cioè in quelle della tribolazione» [81]. Anche per i pesci, così come per gli altri animali passati in rassegna è evidente la povertà del vocabolario. Non vi sono sforzi per descriverne le particolarità fisiche; gli animali si riducono a parti del loro corpo. Sono esse a darne il valore simbolico. 

Il regno animale nei sermoni di Luca da Bitonto non si esaurisce nei soggetti trattati, né questo lavoro ha la pretesa di essere esaustivo. Ciò che mi preme evidenziare è la funzione dei sermoni, di questo grande strumento di comunicazione di massa degli Ordini mendicanti, di cui Luca da Bitonto fu un degno rappresentante. Attraverso questo strumento i predicatori si assumono il compito di istruire dal pulpito i fedeli sulla complessa materia morale, perché “estirpare i vizi” è uno degli obiettivi programmatici dei francescani e dei domenicani. Lo stesso san Francesco lo inserisce nella Regola: «Ammonisco ed esorto i frati che nella loro predicazione le loro parole siano ponderate e caste, ad utilità ed edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, le pene e la gloria» [82].

«L'oratore mendicante e itinerante - scrive Corrado Bologna - secondo una formula antropologica non dissimile da quella che spinge i gruppi in lotta nei Comuni ad invitare ad assumere la funzione di Podestà (spesso un intellettuale, o un poeta in italiano o in provenzale), diviene il mediatore fra interessi opposti delle parti nella res publica, o communis, quindi l'operatore simbolico di una pedagogia della comunanza, e della comunicazione; è il verbalizzatore dei mali e delle speranze comuni, quindi da comunicare, capace di plasmare un orizzonte prospettico e rappresentativo, quindi operativo e liberatorio, là dove senza forza di mediazione rischia di prevalere l'alienazione irrelativa della crisi» [83]

Il predicatore mendicante, questo "professionista della parola" risultò allora essere, nello stesso tempo, il parafulmine degli umori sociali e il timoniere delle coscienze. Il "catechismo della persuasione" passava anche attraverso il regno animale con il rimescolamento delle categorie di sacroe profano, comunicando ai credenti il messaggio di una salvezza guadagnata nel tempo ma proiettata, quanto ai tempi di realizzazione, nel futuro. E tanto più certi potevano essere nelle coscienze questi tempi di realizzazione, quanto più coincidevano comunicazione e ricezione. Da qui, l’abilità del predicatore di condurre l’uditorio sul terreno concreto di una conoscenza alla portata di tutti, quale poteva essere il mondo animale. E tanto più certo poteva risultare il suo successo, quanto più egli riusciva ad instaurare un dialogo con l’uditorio, anche se ridotto ad un ruolo silenzioso. 

    


Note

    

42 Cfr. Voisenet, Bestiaire chrétien cit., 202-211.

43 R. Delort, Les animaux en Occident du X au XVI siècle. Le mond animal et ses représentations au Moyen Âge, Toulouse 1985, 11-45; M. Zink, Le monde animal et ses représentations dans la littérature française du Moyen Âge (XI-XV siècle), Atti del XV Congresso della Società degli Storici medievisti, Toulouse 1985, 47-71, qui 59.

44 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 14, f. 57: […] Jonathas qui interpretatur columbe donum significat beatum Stephanum qui ex dono Spiritussanti triplici privilegio meruit insigniri […].

45 Ibid: […] Jherusalem,  Jherusalem que occidis prophetas et lapidas eos qui ad te missi sunt quotiens volui congregare filios tuos  quem  admodum  gallina congregat pullos suos sub alas et noluisti […].

46 Ivi, S. 37, f. 150: […] Item debemus converti sicut pullus perdicis ad genitricem suam […] Natura huius avis est quod altera alteri furatur ova et fovet ea. Sed postquam egrediuntur pulli, quadam industria naturali, mox ut audiunt vocem illius que ova genuit, dimittunt nutricem, sequentes genitricem. Ita dyabolus furatus est animas fidelium. Sed nunc qui audiunt vocem creatoris debent redire ad illum […] Item converti debemus sicut nisus ad manus domini sui, qui ostendit ei cibum, scilicet frustum cranium. Hoc modo ad se nos dominus revocat, ostendendo nobis carnem suam cruentatam ed immolatam pro nobis in cruce […].

47 Ivi, S. 44, f. 178: […] Cupidi sunt ad modum talpe cumulos divitiarum post se reliquentes, et ad solem mortem perpetuarn fortientes […]. Le abitudini della talpa furono già descritte da Isidoro di Siviglia, Etym, XII, III, 5, e riprese da Rabano Mauro senza aggiungere nulla di nuovo, De Universo, VIII, II, P. L, 226-227. Tommaso di Cantimpré  nel suo Liber de natura rerum cit., IV, 52, 103, dà dell'animale una simbologia positiva, perché se pur cieco, ha due occhi sotto la pelle a significare la saggezza del Creatore (in hoc videnda est sapientia conditoris).

48 M. Vincent-Cassy, Les animaux et les péchés capitaux : de la symbolique à l'emblématique, in Le Mond animal et ses representations au Moyen Age (XI-XV siècles), Toulouse 1985, 121-135; si veda anche Van den Abeele, L'allégorie animale cit., 133.

49 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 5, f. 25: Scorpio blandus est in facie, si cauda pungit occulte, scilicet luxuria que in principio videtur dulcis, sed in fine sentitur amara. L'immagine dello scorpione porta con sé un carico di denunce ed insegnamenti. La lussuria è una delle tante metamorfosi cui è soggetto l’animale; la più nota è associata al peccato di lingua dei detrattori. Sai chi sono costoro? – predica San Bernardino da Siena - So' quelli scarpioni d'ieri, con quelle tre malignità, che abracciano colle branche, co lusinghe, sai; colla lingua leccano, con dolci parole e colla coda pongano, sai; col rasoio sotto. La cit. è tratta da L. Bolzoni, La rete delle immagini cit., 221. Ma si veda anche C. Casagrande e S. Vecchio, I peccati della lingua. Disciplina ed etica nella cultura medievale, Roma 1987. Sul concetto di allegoria ‘statica’ e allegoria ‘dinamica’, si veda B. Van den Abeele, L’allegorie animale cit., 131-132.

50 Voisenet, Bestiaire chrétien cit., 243-244.

51 C. Levi-Strauss, Le totemisme aujourd’hui, Paris 1962.

52 F. J. Carmody (a cura di), Physiologus latinus, Paris 1939, 37-38. A partire dai trattati sugli animali di Aristotele e Plinio, alle Etimologie di Isidoro di Siviglia e alle opere di Rabano Mauro, Hildegarde di Bingen, Ugo di San Vittore, Bartolomeo Anglico, Vincenzo di Beauvais e Tommaso di Cantimpré, e ai bestiari moralizzati del XIV secolo, la scimmia è l'animale mostruoso, laido, repellente, diabolico, pur se talvolta assume un ruolo ambiguo e diventa ausiliario del predicatore in quegli exempla che hanno come attori usurai e mercanti avidi e avari, il cui mal guadagno è gettato in acqua dalla scimmia. Si veda C. Ribaucourt, Le singe à la bourse d'or, in Jacques Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L'animal cit., 241-253, qui 250, n. 35. Sul ruolo della scimmia come ausiliario del predicatore, si veda F. Moretti, La ragione del sorriso e del riso nel Medioevo, Bari 2001, 124-125.

53 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 84, f. 376: […] Symee que imitantur quod vident signant bonorum imitationem et conformationem. Unde ait apostolus prima ad Corinthos (XI). Imitatores mei estote, sicut et ego Christi […] Inspice et fac secundum exemplar quod tibi in monte monstratum est […].

54 Ivi, S. 34, f. 136: […] Nam alii subvertuntur temptationibus demonum, qui designantur per volucres […].

55 Ivi, S. 34, f. 139: […] Tercio, quia a volucribus id est demoniis devorantur […].

56 Ivi, S. 55, f. 232: […] quod fecit beatus Franciscus, qui precepit hyrundinibus ut silerent dum ipse proponeret  verbum dei. Et continuo siluerunt […]. Sulle diverse versioni ed interpretazioni della predica agli uccelli, si veda Frugoni, Francesco e la natura cit., 233-268.

57 Ivi, S. 55, f. 232 : […] Narrat beatus Ambrosius quod cum plurima ranarum murmura auribus religiose plebis obstreperent, sacerdotem precepisse  ut conticescerent, ac reverentiam sacre scripture deferrent teneri. Tunc ille subito conticuerunt […]. La rana, si sa, non godeva di buona reputazione presso gli autori di bestiari medievali, né nella tradizione antica, come d'altronde il rospo a cui era associata. Cfr. C. Bremond, Le Bestiaire de Jacques de Vitry cit., ll6-117; J. Berlioz, Le crapaud, animal diabolique: une exemplaire construction médiévale, in Jacques Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L'animal cit., 267-288; P. Boglioni, Les animaux dans l'hagiographie monastique, in Jacques Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L'animal cit., 66, 75; Voisenet, Bestiaire chrétien cit., 39, 67, 74, 82, 83, 93, 110, 117, 123.

58 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 99, f. 470: […] Elephans enim est animal melancolicum, et ideo nullas habet iuncturas. Preterea sicut elephans maior est inter cetera animalia. Ita hec species maior et difficilior ad curandum, et signat avariciam que difficile emendatur, quia nec in senectute deficit, sed magis accrescit […]. Sulla simbologia dell'elefante, cfr. F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘Bestiari fantastici’ delle cattedrali. La cattedrale di Bitonto, Fasano 1995, 138-141. Dell'elefante parla il Bestiario toscano. Il ‘Libro della natura degli animali’ e altri Bestiari, in L. Morini (a cura di), Bestiari medievali cit., passim.

59 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 84, f. 376.

60 Sarebbe certamente interessante un ricerca sui vizi e virtù presenti nei sermoni dei predicatori del XIII secolo al fine di costituire una lista che integri i risultati fino ad ora conseguiti da Martine De Reu per quelli relativi ai secoli X e XI,  (M. De Reu, Vertus chretiennes et vices demoniaques aux X et XI siècles, in Predicazione e società nel Medioevo cit., 93-118) e sulla base di una letteratura già disponibile sull’argomento. Si veda Casagrande, Vecchio, I sette vizi capitali cit.; C. Casagrande e S. Vecchio, La classificazione dei peccati fra settenario e decalogo (secoli XIII-XIV), in Documenti e studi della tradizione filosofica medievale, V, 1994.

61 Moretti, La ragione del sorriso cit., 62, nota 29.

62 De Reu, Vertus chretiennes cit., 101-102.

63 Casagrande, Vecchio, I sette vizi capitali cit., 2-35.

64 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 23, f. 92.

65 Ivi, S. 49, f. 202: […] Leo propter vehemanciam caloris non solum animal voracissimum, sed libidinosissimum perhibetur. Et ideo deficit luxuriam […]. Ivi., S. 44, f. 178: […] Luxuriosi sunt ad modum cuiusdam parvi serpentis, qui vocatur cecula; eo quoniam oculis cercat […].

66 Ivi, S. 99, f. 470 : […] Leo enim est animal valde colericum […] Unde signat superbiam […].

67 Voisenet, Bestiaire chrétien cit., 29-135.

68 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 62, f. 267: […] Similiter avarus occultat fraudes et furta, et fenora sua dicit […] O stulte qui plantavit aurem non audiet innumerabilia mendacia et periura tua. Qui finxit oculum non considerat fraudes et facta; tales similes sunt lepusculo de quo dicitur quod caput terre imprimens, dum videntem ipse non videt […].

69 Isidoro di Sivilgia, Etymologiarum sive Originum libri XX, XII, 2; cfr. L. Bobis, Chasser le naturel L’utilisation exemplaire du chat dans la littérature médiévale, in Jacques Berlioz et Marie Anne Polo de Beaulieu (a cura di), L’animal cit., 226.

70 Si veda ad esempio, Giovanni di San Gimignano, Summa de exemplis, Venetiis 1584, cap. XXXIX, f. 139v.: “Allo  stesso modo il diavolo assale gli uomini, come il gatto i topi …”. Cfr. Bobis, Chasser le naturel cit., 237, nota 42.

71 Cesario di Heisterbach, Dialogus miraculorum, ed. J. Strange, Colonia-Bonn-Bruxelles, l, l851, VI, 36, 388-389.

72 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 24, f. 96: […] Cum quibusdam namque ludit diabolus sicut cum mure murilegus, qui ad tempus murem dimittit et fugiendo iterum capit et interficit, sic et dyabolus permittit quosdam ad tempus a se recedere. Sed a multis illuditur ei, sicut contigit et de murilego qui aliquando capit avem et vult secum ludere sicut consuevit cum mure. Sed illa evadit, nec se de cetero capi sinit; in hoc modo sapiens dyabolo i1ludit ad eum non redeundo. Unde Proverbiorum VI: Eruere quasi damnula de manu et quasi avis de insidiis aucupis […].

73 J. Th. Welter, Tabula exemplorum secundum ordinem alphabeti. Recueil  d’exempla compilé en France à la fin du XIII siècle, Paris, Toulouse 1926, n. 251, 66, laddove il gatto che divora il formaggio significa i prelati che affidano la Chiesa a preti perfidi. Ma per altri exempla relativi al gatto, si veda anche Jacques de Vitry, The "exempla" or illustrative story from the Sermones vulgares of Jacques de Vitry, ed. Th. F. Crane, Londres 1890, XI, 4. Etienne de Bourbon riporta un exemplum in cui associa il gatto ai prelati che ammassano i tesori delle loro chiese; cfr. A. Lecoy de La Marche, Anedoctes historiques cit., 420 : Qui bona Ecclesie temporalia committunt illis qui non resident in eis, nec curant nisi ipsa bona rapere et comedere, sunt similes illis qui catis committunt custodiam caseorum. I1 processo di persuasione dei predicatori medievali non si attua solo con il "catechismo della paura", ma anche con quello del riso, soprattutto quando mettono in campo exempla i cui attori principali sono gli animali. Per questi aspetti, si veda  J. Berlioz (a cura di), Le rire du prédicateur. Récits facétieux du Moyen Age. Textes traduits par A. Lecoy de La Marche, Brepols 1999; J. Horowitz, S. Menache, L’humour en chaire. Le rire dans l’Eglise médiévale, Paris 1994; Moretti, La ragione del sorriso cit., 69-155.

74 Cfr. Bobis, Chasser le naturel cit., 238 ; ma si veda anche W. E. Foucart, P. Rosenberg, Le chat et la palette. Le chat dans  la peinture occidental du XV au XX siècle, Paris 1987; D. Buisson, Le chat vu par les peintres, Paris 1988 ; F. Amodeo, Le chat: art, histoire, symbolisme, Paris 1990.  

75 Lucas De Tüy, De altera vita fideique controversiis adversus Albigensium errores libri III, ed. P. Joanne Mariana, Ingolstad 1612, III, 14 ; cfr. Bobis, Chasser le naturel cit., 239-240. Sul panegirico del gatto, in un rovesciamento di pregiudizi si veda F. A. Paradis de Moncrif, Storia dei gatti, Marsala 2002.

76 S. Ambrosii Hexaemeron, lib. quintus, III, 7; V, 13; VI, 15, in P. L. coll. 209-211-212. Dell'ambiguità simbolica dei pesci parla anche Rabano Mauro, Allegoriae in universam Sacram Scripturam, in P. L. 112, col. 1030; cfr. H. Zug Tucci, Il mondo medievale dei pesci fra realtà e immaginazione, in L'uomo di fronte al mondo animale nell'alto Medioevo, Atti delle Settimane di studi del Centro Italiano di Studi sull'alto Medioevo, XXXI, Spoleto 1985, t. I, 291-360.

77 Luca da Bitonto, Sermones cit., S. 47, f. 194: […] Duo pisces sunt timor et spes. Piscis timoris capitur in aqua salsa, scilicet in lacrimis compunctionis quas generat timor incendii sempiterni […] Piscis spei capitur in aqua dulci scilicet in lacrimis devotionis quas generat amor et desiderium regni. Hos pisces promittit Dominus penitenti. Primus piscis fugat vanam gloriam, ne sit homo presumptuosus. Secundus tollit desperacionem, ne sit ultra modum meditosus […]

78 Ivi, S. 67, f. 293: […] Pisces sunt consolationes spirituales et visitationes interne, que tribuit dominus in hac vita desiderantibus eterna. Pisces enim absconduntur in aquis et iste latent in tribulationibus […].

79 Ivi, S. 84, f. 378: […] Recia piscatorum sunt eloquia predicatorum de fide et moribus ex diversis auctoritatibus utriusque testamenti complexa, et dicuntur recia quasi retinencia; quia quos capiunt non perimunt sed ad celeste convivium trahunt […] homines quasi pisces maris […]. Anche s. Antonio da Padova fa ricorso con vivace immagine alle attività di mare nel descrivere la sorte di coloro che impiegano l’esistenza nelle futilità di questo mondo: Piscatores sunt huius mundi amatores; solliciti et curiosi circa divitias et delicias. In flumen mittentes hamum sunt mercatores falsi, qui quasi esca falsae pulchritudinis cooperiunt hamum suae mentis, ut capient eum qui emere cupit. Expandentes  rete super faciem aquarum sunt maledicti usurarii, qui in rete usurae magnos et parvos, divites et pauperes comprehendunt […] Hi homnes, tam illi, qua misti, in fine suae vitae […] lugebunt […] marcescent […] confundentur. Cfr. Sermones, II, 501-502; ma si veda P. Scapin, Capisaldi dell’antropologia antoniana, in A. Poppi (a cura di), Le fonti e la teologia cit., 679-692, qui 691.

80 Ivi, S. 52, f. 219: […] In piscibus curiositas avaricie, unde Augustinus super illud psalmus: Pisces maris qui perambulant semitas maris. Sunt curiosi qui in profundo huius seculi temporalia, et propter fluenciam pertinaci studio querunt […].

81 Ivi, S. 87, f. 403: […] Pauci pisciculi sunt exempla sanctorum, qui pisciculi dicuntur propter humilitatem; pauci  per raritatem […] Actus sanctorum sunt carnes pisciculorum […] Piscis isti habent pennulas contemplationis […] squamas aspere castigationis […] Nutriuntur in aquis amaris et procellosis, id est in tribulationibus […].

82 Francesco d’Assisi, Regula bullata, IX, in Fontes Franciscani, 178.

83 C. Bologna, ‘Io son la voce di choluj che clama …’, in Predicazione e società nel Medioevo cit., 16.

     

       

   

©2006 Felice Moretti. Il saggio è stato pubblicato a stampa nella rivista «Il Santo», 43, Padova 2003.

  


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